Il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Donato Capece ha avuto il coraggio di affermare, dopo la morte del detenuto di Bologna “Non esiste luogo più sicuro del carcere, dove i detenuti sono seguiti e curati”.
Una simile affermazione va ben oltre le difese di categoria, va oltre il frasario di circostanza, è una macabra premeditazione nella consapevolezza che non c’è più tempo.
E quando la bomba del contagio esploderà per il sovraffollamento e la promiscuità, non servirà a nulla ricordare che un poliziotto l’aveva esclusa minimizzando il problema.
Non possiamo certamente permetterci un paragone con la Norvegia, dove per l’emergenza covid hanno eliminato la permanenza di due detenuti in una sola cella, quando in Italia in una sola cella ce ne sono otto.
Persino l’Iran ha liberato 85.000 detenuti.
I detenuti per reati minori possono scontare la pena agli arresti domiciliari, e occorre comunque un provvedimento immediato di amnistia sociale.
Scontiamo ancora l’eredità ideologica del tribunale dell’inquisizione, mai sopita, che ancora inquina in modo perverso la società italiana.
Nel processo romano se l’accusatore non portava prove sufficienti contro l’accusato, veniva condannato alla stessa pena che avrebbe dovuto essere comminata all’accusato, e la cultura giuridica romana è certamente una delle grandi eredità dell’umanità.
Poi è arrivato il processo inquisitorio, inventato dalla chiesa cattolica, per il quale bastava una accusa infondata per essere già ritenuti colpevoli davanti a tutta la società.
Il processo inquisitorio si risolveva in un macabro rituale per consentire alla perversione di soddisfare la brama di violenza insita nell’esercizio del suo potere.
Con il processo inquisitorio la condizione dell’accusato era già quella di condannato, e il sentimento comune era quello di desiderare che il condannato “marcisse” in una cella di cui si doveva “buttare la chiave”.
Quel sentimento non è mai stato cancellato e ancora alberga nella nostra società.
Gli italiani hanno barattato il senso di umanità con la parvenza di sicurezza, troppo ottenebrati per capire che l’illegalità che più si teme è in effetti in stretta connessione con la marginalità.
Una società giusta non ha bisogno di prigioni.
Non buttiamo la chiave, buttiamo il carcere.
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