Riceviamo e Pubblichiamo un contributo di Antonia Romano, consigliera comunale di Trento e membro del coordinamento nazionale di Potere al popolo, contro il tentativo di abolizione della Legge Merlin
Il 27 marzo il consiglio comunale di Trento ha approvato due mozioni, una del m5s e l’altra della Lega, impegnando il sindaco a farsi portavoce presso il governo provinciale e il Parlamento affinché si proceda verso l’abolizione della legge Merlin.
Nell’aula dove sono consigliera comunale è accaduto, dunque, ciò che temevo quando ho visto che sono state depositate le due mozioni. È accaduto che si è affrontato in modo superficiale un fenomeno complesso, di cui non si sono analizzati i molteplici aspetti, ma si è data una chiave di lettura prevalente: togliere dalle strade le prostitute in nome del decoro urbano e della sicurezza. Certo, si è parlato di tutela della salute e contrasto allo sfruttamento. La mozione del m5s parla chiaramente di “severe norme sulla sicurezza, sull’igiene e su periodici controlli medici” ma di chi? delle donne o dei loro clienti? perché i vettori di infezioni anche alle loro ignare compagne sono loro.
In entrambe le mozioni si fa riferimento alla crisi economica e alla riscossione delle tasse delle prostitute per ridurre la crisi. Nel paese europeo che ha i più grandi evasori fiscali vogliamo regolamentare la prostituzione per riscuotere le tasse!!!
Il fenomeno della prostituzione non può essere considerato un problema di ordine pubblico, è un problema di ordine sociale e soprattutto di ordine culturale ed economico. Non ha quindi alcun senso, se si assume questo tipo di lettura, proporre di riaprire bordelli affinché non si vedano le prostitute in strada e chiedere di abolire la legge Merlin va proprio nella direzione della riapertura di case chiuse.
Il fatto che la prostituzione sia un problema principalmente economico è dimostrato dalla constatazione che in Italia negli anni ‘80, quindi negli anni precedenti la crisi economica e finanziaria, la prostituzione. era diminuita. In Grecia, paese martoriato da una gravissima crisi economica, la prostituzione, che è legale soltanto nelle case di tolleranza registrate, è aumentata mentre le tariffe sulle prestazioni sono crollate, sia sulla strada che nei bordelli arrivando ad avere anche tariffe di 3 euro a prestazione.
Non si può tuttavia negare che nel nostro paese ci siano sex workers che da anni lottano per il riconoscimento della professione, rivendicano alcuni diritti dalla pensione all’accesso a mutui e prestiti e soprattutto chiedono di essere ascoltate. Sono contro ogni forma di sfruttamento anche quello legalizzabile dello Stato. Da noi, a Trento, non sono mai state interpellate così come, in occasione della discussione su queste due mozioni, non sono state interpellate le associazioni che operano sul territorio a contatto con le prostitute. L’aula avrebbe dovuto dedicare una seduta monotematica, come accade per argomenti ritenuti importanti, a una questione così delicata, coinvolgendo nella discussione le persone a vario titolo interessate ed esperte. Invece queste decisioni politiche la nostra aula le ha prese basandosi sulle proprie individuali concezioni, senza approfondimenti e, a giudicare dagli interventi di alcuni, senza preparazione. Del resto basta leggere la premessa della mozione della Lega, che è una mozione da loro presentata quando in Italia c’era il governo Monti (2011- 2013) e che non è stata aggiornata neanche nei riferimenti ai paesi citati, visto che è citato il caso della Francia senza alcun riferimento alla legge del 13 aprile 2016, che il giorno 1 febbraio 2019 è stata dichiarata costituzionale e che, approvata da una maggioranza trasversale in Parlamento dopo anni di indagini e dibattiti, ha introdotto la criminalizzazione dell’acquisto di sesso, ha decriminalizzato le persone prostituite e ha creato programmi di uscita, politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione, sfruttamento sessuale, induzione alla prostituzione e tratta.
Ma si sa, i dati, le informazioni corrette, la citazione di fonti, non interessano, come non interessa la nostra storia. Dal 1958 l’Italia ha abolito i bordelli e persegue lo sfruttamento della prostituzione ma non il suo esercizio. La Legge Merlin doveva rappresentare solo un primo passo avanti nella lotta politica contro lo sfruttamento delle donne, lotta che non si è compiuta. Quelle che erano le condizioni di vita delle donne nei bordelli italiani sono descritte nelle lettere drammatiche che le prostitute scrivevano a Lina Merlin. È stata una legge rivoluzionaria per l’epoca e solo chi non conosce la storia del nostro paese, solo chi non sa cosa volesse significare per alcune donne italiane lavorare in quelle case ed essere iscritte ai registri, può definirla fallimentare e chiederne l’abrogazione, quando la senatrice Merlin meriterebbe l’intitolazione di piazze e strade.
Solo in Italia si stima che le vittime di tratta ai fini della prostituzione siano tra le 75 e le 120 mila. La maggior parte è costituita da donne di nazionalità nigeriana costrette, spesso con l’inganno, a finire sui marciapiedi.
I due modelli su cui si concentra attualmente il dibattito non sono molto diversi tra loro: il primo si basa sulla regolamentazione del fenomeno con la costruzione di apposite strutture dove svolgere le attività legalmente, in qualche caso con la gestione da parte dello stato, nella maggior parte dei casi la gestione è affidata a imprenditori, veri e propri manager. Guarda caso, nei paesi dove è adottato questo sistema, i manager sono quasi tutti uomini. L’altro è il modello adottato per esempio in Nuova Zelanda e che prevede la decriminalizzazione anche dei reati di favoreggiamento. Gestire un bordello o un’agenzia di escort non è più un reato, quindi qualsiasi sfruttatore o trafficante può gestire i suoi affari impunito. Possiamo immaginare quali organizzazioni malavitose avrebbero in Italia il monopolio del business.
In aula sono stati citati diversi paesi, come modelli possibili a cui ispirarsi. Invito a leggere i rapporti delle ricerche condotte in questi stati. Mi limito solo a citare il vice-sindaco del comune di Amsterdam che, nel 2011, ha dichiarato che depenalizzare lo sfruttamento della prostituzione era stato un “errore nazionale” e che il governo era stato “riprovevolmente ingenuo”.
Nel più antico bordello di Monaco l’affitto di una stanza si aggira intorno a 165 euro e il prezzo minimo di una prestazione è 30 euro, quello che, secondo il manager, “le ragazze riescono a fare con 30 euro”. Quindi, al prezzo minimo, una donna deve servire almeno 6 uomini in 24 ore affinché possa guadagnare qualcosa.
Un lungo dibattito andrebbe aperto sul legame tra neoliberismo, leggi di mercato e mercificazione anche dei corpi. Andrebbe approfondito questo tema perché io stessa ho dubbi.
Ma su una cosa non ho alcun dubbio: il miglior contrasto allo sfruttamento della prostituzione può essere condotto attraverso politiche di lotta alla povertà, attraverso la costituzione di corsie preferenziali per dare lavoro a chi vuole uscire dalla prostituzione anche con defiscalizzazione per chi si impegna a far lavorare chi si prostituisce, offrendo alternative concrete. Occorre ridistribuire le risorse economiche. Troppa gente non arriva alla quarta, anche alla terza settimana. Occorre abolire il reato di clandestinità che costringe molte donne a essere schiave della malavita organizzata. Occorre accanto a ciò un grosso impegno culturale per trovare risposte a domande che lascio aperte: può ogni desiderio essere soddisfatto? Può il denaro consentire questo? Possono le leggi di mercato essere applicate alle persone e ai loro corpi?
Concludo con una considerazione: in aula si è detto spesso che “è il mestiere più antico del mondo”.
È il mestiere più antico del mondo patriarcale. Quel patriarcato il cui rigurgito ha portato l’Italia al governo più fascista della storia della nostra Repubblica e che da domani, per tre giorni, a Verona celebrerà il congresso mondiale della famiglia con una carrellata di relatori che sono la migliore espressione dell’attacco alle donne, alla loro libertà, alla loro autodeterminazione messo in atto dall’attuale governo italiano.
Antonia Romano
coordinamento nazionale Potere al popolo