La scena si ripete uguale: file a perdita d’occhio, attese interminabili, rabbia che si respira mista a un ossigeno che continua a far paura perché sai mai che ti becchi il Covid-19.
Alla fermata del bus, lungo le scale che conducono alla metro, provando a raggiungere – ordinatamente – la pensilina sperando in un tram. Stamattina milioni di italiani hanno vissuto lo stesso film.
Un film, tra l’altro, già scritto. Non sono bastati due mesi di lockdown per attrezzarsi, per adeguare il trasporto pubblico ai nuovi standard, che prevedono un 25%-30% di riempimento delle carrozze e dei pullmann.
Ammettiamolo: è una sfida bella grossa, forse tra le più difficili che ci presentano questi tempi di pandemia.
La domanda è: si è fatto tutto il possibile per reggere? Per permettere a milioni di lavoratori e lavoratrici di muoversi nelle nostre città?
Bisognava agire subito e velocemente. Si è provato a guadagnare tempo, invocando la “fine dell’ora di punta”, spingendo le aziende a differenziare gli orari di entrare e di uscita, così da limitare i picchi. Sono stati affissi cartelli, attaccati adesivi, dipinti piedi che disegnano file che rispettino il distanziamento sociale.
Ammesso e non concesso che su questo fronte sia stato fatto tutto il possibile, si sapeva che non sarebbe stato sufficiente.
I problemi del TPL non nascono con la pandemia. La sua assoluta insufficienza ha una storia lunga di anni, non di mesi.
Servono più corse, più autobus, più treni, più metro. Ancora di più col Covid-19 tra di noi. Ma decine di treni non li tiri su in 2 mesi. E nemmeno centinaia di bus o tram. Soprattutto se poi hai sistematicamente distrutto capacità produttive, permettendo, ad esempio, che la FIAT dell’osannato Marchionne chiudesse la Irisbus di Flumeri (AV), perché tanto i bus li compriamo dalla Turchia, dalla Repubblica Ceca, dalla Francia.
Come si è presentata l’Italia a questa sfida?
Sono anni che si dice che dobbiamo investire nel trasporto pubblico locale. Per la vivibilità delle città, per un’aria pulita, per la sostenibilità ambientale. Belle parole che cozzano contro le politiche di austerità applicate negli ultimi anni. E che hanno dato mazzate sui denti al TPL.
Stando ai dati del 2017 della Cdp relativi al solo trasporto su strada:
- Il parco autobus circolante si è ridotto dalle 58.307 unità nel 2005 alle 50.576 nel 2015, con un crollo dell’1,3% all’anno
- Le nuove immatricolazioni sono passate da 3.758 nel 2005 alle 953 nel 2016, con una variazione media annua del 10,8%, chiaramente in negativo.
- Questo comporta un’età media dei nostri autobus di 11,4 anni. Se si fa il confronto col 2004 è impietoso: 9,8 anni.
- Il parco autobus italiano è tra i più vecchi d’Europa, con una media doppia rispetto a quella tedesca e di ben 5 anni superiore a quella europea (7 anni).
- Gli autobus sono prevalentemente a diesel (70%) e in minor misura a metano (circa 27%), altre forme di alimentazione sono quasi assenti. Del tutto assenti per la flotta extraurbana, laddove nel 2015 il 99% delle unità era a diesel.
Insomma, nelle nostre città, già ben prima del coronavirus, avevamo pochi autobus e per di più vecchi e inquinanti. Davvero si poteva pensare che il TPL avrebbe retto?
Qualcuno ora dirà che non bisogna “politicizzare”, che non è il momento della polemica. Che tanto non serve a niente e che bisogna rimboccarsi le maniche. Beh, quel qualcuno dice una stronzata. Perché se vogliamo che il futuro non assomigli alla normalità del passato e di questi giorni, allora dobbiamo capire cos’è che non è andato e perché. E se il TPL si è presentato a questa sfida in condizioni assolutamente inadeguate è perché politici e amministratori di tutti i colori hanno permesso lo sfascio del TPL e dei servizi pubblici delle nostre città. Sono gli stessi che hanno assestato duri colpi alla sanità pubblica. Responsabili dello scempio sono loro e le politiche neoliberiste che hanno regnato anche nel nostro Paese per 30 anni.
Individuare le responsabilità non significa voler sfogare rabbia e frustrazione. E nemmeno trovare un facile capro espiatorio. Significa, invece, capire a fondo affinché non possa tornare a ripetersi da oggi in poi.