Pubblichiamo questa testimonianza inviataci da un giovane insegnante precario, assunto con i famosi “contratti Covid”. Oltre a raccontarci l’odissea di migliaia di lavoratori con questo contratto, abbiamo scoperto una situazione davvero inaccettabile: dopo mesi di lavoro moltissimi di loro non hanno ricevuto alcuno stipendio. Mesi di arretrati che pesano soprattutto sulle spalle dei tanti che hanno dovuto trasferirsi al nord e sobbarcarsi in anticipo mesi di affitti e ogni altra spesa lontano da casa. Una situazione che questo governo deve sanare al più presto perché non esiste scuola pubblica di qualità senza che vengano garantiti rispetto, diritti, salari e dignità a chi nelle nostre scuole insegna.
Non tutti ricorderanno eppure, durante il tedioso dibattito sui banchi a rotelle, un’altra proposta, altrettanto improvvisata, veniva presentata dalla ministra come soluzione al ritorno in classe dopo la prima ondata del Sars-Cov-2: parliamo del cosiddetto organico aggiuntivo Covid.
L’idea in linea di principio potrebbe non apparire così bizzarra, al contrario, avrebbe potuto rappresentare il punto di inizio – seppure solo come soluzione emergenziale – di un’azione di contrasto al sovraffollamento delle aule. Il fine sarebbe stato quello di scorporare le classi per garantire il distanziamento creando gruppi da 15- 16 alunni ed assumendo, per coronare tale operazione, personale docente ed ATA aggiuntivo.
Eppure, come nelle più prevedibili storie della pubblica istruzione italiana, quella che poteva essere un’occasione si è trasformata, nel giro di poche settimane, prima in un’operazione di facciata con cui la ministra si è pavoneggiata nei talk televisivi, poi una toppa insufficiente alla soluzione del problema per divenire, in ultimo, una vergognosa ed inaccettabile storia di lavoro pubblico non pagato.
Innanzitutto partiamo dai dati, il ministero ha fissato la cifra dei posti aggiuntivi covid da assumere con contratto a tempo determinato a 50mila unità per il personale docente e 20mila per il personale ATA.
Già questi numeri da soli basterebbero a comprendere l’inefficacia di tale operazione, basti pensare che il solo anno scolastico 2020/2021 è iniziato con più di 250mila cattedre vuote da coprire con altrettanti supplenti, una cifra che restituisce l’enormità del problema della carenza di docenti nel nostro paese.
Così sul finire di settembre iniziò l’odissea dei cosiddetti “posti Covid”, 70mila tra docenti e personale ATA che avrebbero dovuto risolvere il problema del distanziamento, ma è andata davvero così? Quali e quante scuole hanno usufruito di questa possibilità?
Partiamo col dire che l’organico aggiuntivo è stato destinato prioritariamente alla scuola dell’infanzia ed alla primaria, cosa giusta se si considera la difficoltà di far rispettare le regole del distanziamento a bambini tra i 6 e i 10 anni, ma non bastevole a giustificare l’esiguità dei docenti chiamati in causa.
Per quanto riguarda la scuola secondaria difatti l’organico aggiuntivo ha riguardato solamente il primo grado (la scuola media), lasciando così totalmente tagliata fuori la scuola superiore che, difatti, al momento in cui scriviamo è ancora molto lontana dal rientro in classe che viene prorogato di settimana in settimana.
Un’operazione valida solamente per la metà della popolazione scolastica dunque, ma anche in questo caso viene da chiederci se abbia trovato realmente attuazione; entrando nel dettaglio infatti ci renderemo conto di come non sia tutto oro neanche quel poco che luccica.
Non tutte le scuole – elementari e medie – hanno potuto beneficiare di tale possibilità, anzi in una ampia fetta di istituti non è stata scorporata alcuna classe!
Eppure, anche dove l’operazione è andata a buon fine, finanche nei casi più virtuosi, la riduzione degli alunni per classe non ha riguardato tutte le sezioni ma solo un 50% – 60% dei corsi. Per non parlare del fatto che quegli istituti beneficiari dell’organico aggiuntivo si siano poi scontrati con l’atavico problema strutturale della scuola italiana: la mancanza pressoché totale di aule disponibili.
Così per molte scuole scorporare le classi è stato un incubo vissuto nel totale abbandono da parte delle istituzioni centrali, ogni scuola si è attrezzata alla buona, usufruendo di aula magna, laboratori, plessi improvvisati e così via, tutti luoghi dove venivano svolte attività alle quali gli alunni hanno dovuto rinunciare.
Insomma, quella nata come una buona intuizione è diventata, nella sua applicazione reale, una semplice toppa per tamponare alla buona il problema della riapertura; certo, non era un’impresa delle più facili, ma le cause principali di tale fallimento vanno ricercate sia nella superficialità adottata dal ministero e soprattutto nell’esiguo numero di risorse tecniche ed economiche assegnate; nulla di nuovo insomma, quando c’è da investire concretamente nella scuola pubblica i nostri governanti si tirano sempre indietro, ma l’emblema del fallimento di questa operazione è stato sicuramente il trattamento riservato al personale docente e ATA aggiuntivo.
Inizia qui infatti la parte più sgradevole e vergognosa di tutta questa storia, così quella che era una toppa raffazzonata è diventata – ed è tuttora – un caso inaccettabile di lavoro gratuito, di personale trattato come straccio per lavare a terra!
L’operazione di assunzione del “personale Covid” è avvenuta in maniera tutt’altro che semplice e corretta. Il primo scandaloso problema fu la clausola che prevedeva il licenziamento del personale in questione qualora si fosse ritornati in una modalità di didattica a distanza; insomma, ad Ottobre chi sceglieva di accettare una chiamata su “posto covid” doveva essere pronto a trovarsi disoccupato da un giorno all’altro se l’Italia fosse rientrata in lockdown o le scuole chiuse, non ci voleva un indovino per immaginare che di lì a poche settimane sarebbe arrivata la seconda ondata.
Fortunatamente gli aspiranti docenti non furono disposti ad accettare tali condizioni, così alla metà di Ottobre il Parlamento si trovò costretto a dichiarare decaduta la clausola in questione; di lì a poche settimane decine di migliaia tra docenti e personale ATA furono assunti con “contratto Covid”.
I problemi erano però appena cominciati, dopo pochi giorni, verso la fine di ottobre, al ministero si accorsero magicamente di aver sbagliato i conti e di non aver stanziato le risorse necessarie neanche per quei – già insufficienti – 70mila, così in molte regioni fu subito diramata una circolare che intimava alle scuole di sospendere qualsiasi contratto Covid non fosse ancora entrato in essere.
Il colpo di grazia è stato però il modo in cui il ministero ha gestito i pagamenti degli stipendi dell’organico Covid. Partiamo col dire che tali contratti hanno scadenza al terminare delle lezioni, sono dunque a tutti gli effetti contratti che coprono l’intero anno scolastico, eppure da un punto di vista esclusivamente retributivo sono classificati come “supplenze brevi e saltuarie”; ciò prevede, da un lato, una sostanziale penalizzazione in busta paga di circa 175€ lordi mensili, dall’altro, l’emissione diretta dello stipendio da parte del Miur, che tradotto in parole poche vuol dire essere pagati meno e in ritardo, dato che le “supplenze brevi” subiscono da sempre un ritardo nei pagamenti di svariati mesi, condizione inaccettabile a cui annualmente vengono sottoposti migliaia di docenti che effettuano supplenze brevi.
A questo punto verrebbe da chiederci, ad oggi il personale Covid è stato pagato?
La risposta è pressoché scontata, al momento attuale – gennaio 2021 – poco più della metà del personale ha ricevuto il solo stipendio di Ottobre, e in casi eccezionali quello di Novembre, il resto invece?
Il restante personale Covid – categoria in cui rientra il sottoscritto, docente in servizio presso un istituto secondario di primo grado dalla prima decade di Ottobre – non ha mai percepito neanche una mensilità!
Questo è il finale di una triste storia all’italiana, migliaia di docenti e personale ATA che da più di quattro mesi lavorano gratuitamente al cospetto del MIUR, migliaia di lavoratori precari, molti dei quali emigrati, che da mesi non sanno come pagare affitto, mutuo, viveri e spese di trasporto per raggiungere il luogo di lavoro.
Tutto questo avviene nell’indifferenza più totale del MIUR e della Ministra Azzolina, quest’ultima forse troppo impegnata a farsi pubblicità nei talk televisivi piuttosto che ad interessarsi realmente ai problemi di una popolazione scolastica – alunni docenti e personale – che nell’ultimo anno ha forse assistito al decisivo colpo di grazia sferrato alla pubblica istruzione.