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Sullo stupro di Parma

Sullo stupro di Parma

È difficile centrare il punto in questa notizia, perché qui si mischiano molte cose. C’è uno stupro, inaccettabile come ogni stupro, c’è un uomo violento che considera il corpo femminile un oggetto per le proprie perversioni, c’è l’abuso di droghe che esaltano gli istinti più brutali, il delirio di onnipotenza.

E poi c’è una buona parte di città, ben vestita, trendy, che da decenni cresce all’insegna di poche parole chiave: soldi (sporchi o puliti poco importa), apparenza, serate da bere e da sniffare, indifferenza.

È la città di Federico Pesci, che lo considera un vincente, un modello da seguire, non un drogato, non un violento, non uno stupratore. La stessa città che poi urla contro i neri che spacciano e rovinano il decoro urbano, riversa bile razzista sui social. Anche di questo dovremmo parlare, per parlare di lui.

Ma non solo. Perché nel criminale in questione ha agito anche un’idea di virilità che non riusciamo a metterci alle spalle, e che anzi fa di Parma un triste primato: 24, tra violenze e femminicidi, negli ultimi 12 anni.

Si tratta di una cultura talmente trasversale da permeare ogni ambito: non c’è classe sociale o credo politico che ne sia immune. Una cultura machista che impedisce ai maschi di accettare debolezze o fallimenti, e che li spinge ad affermare e riaffermare un dominio, anche nei modi più brutali.

Per parlare di ciò che è accaduto, quindi, dovremmo dire che l’eterna questione della violenza sulle donne non è mai un problema femminile: è esclusivamente maschile.

Gli uomini, tutti, devono mettersi in discussione, rinunciando a quelle logiche maschiliste e patriarcali che ancora segnano la nostra quotidianità, le nostre relazioni, il nostro linguaggio.

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