Più passano le ore e più appaiono chiare le responsabilità di Frontex e delle autorità italiane.
Provo a ricostruire tutte le tappe di quella che rimarrà una pagina vergognosa della storia nostro Paese.
Ore 4.57 di sabato 25 febbraio:
giunge ad una stazione radio italiana una richiesta di mayday da parte di un’ imbarcazione in difficoltà nel Mar Ionio. Non sono specificate le coordinate e l’ Mrcc di Roma chiede a tutte le navi in transito nella zona di mantenere alta l’attenzione e segnalare qualsiasi avvistamento.
Ore 21.26 sempre di sabato 25 febbraio:
sono passate 16 ore dalla prima segnalazione e un aereo di Frontex, l’Eagle 1, di pattugliamento sullo Ionio per l’operazione Themis, avvista il barcone e lo fotografa. La segnalazione viene inviata al centrale operativa di Frontex e ad altri 26 indirizzi tra cui l’ Mrcc di Roma. Il rapporto dell’ Eagle 1 parla di un natante in buona navigabilità che procede ad una velocità di 6 nodi, con una persona sul ponte, nessun giubbotto di salvataggio visibile e nessun uomo in acqua. Soprattutto però segnala che i sensori rilevano una significativa risposta termica che vuol dire che sottocoperta ci sono numerose persone. Nelle dichiarazioni successive al naufragio il portavoce di Frontex dirà che alle autorità italiane era stata comunicata la presenza di un’imbarcazione “pesantemente sovraffollata”. Sempre l’ Eagle 1 rileva poi una telefonata partita dalla barca verso la Turchia. L’ aereo per un po’ segue l’imbarcazione ma una volta terminato il carburante ritorna alla base, all’aeroporto di Lamezia Terme da dove inspiegabilmente non parte nessun altro mezzo per monitorare la situazione.
Da questo momento in poi emergono le pesantissime responsabilità delle autorità italiane.
L’ Mrcc attarda ad attivarsi e quando lo fa “da Roma, qualcuno decide di fare uscire in mare non le motovedette della Guardia costiera classe 300, inaffondabili e autoraddrizzabili, capaci di affrontare condizioni meteo ben peggiori, ma due mezzi della Guardia di finanza per un’operazione di repressione reati”.
Nello specifico poco dopo mezzanotte viene fatta partire dal porto di Crotone la motovedetta V5006 che dopo poco deve rientrare perchè inadatta ad affrontare il mare forza 4 e da Taranto il pattugliatore d’altura P.V. 6 Barbarisi, anche questo un mezzo non adatto ai soccorsi, che però non riesce ad individuare il barcone e decide di tornare indietro.
Nonostante le stesse unità della GdF abbiano costato le condizioni di mare difficili le autorità non attivano le classe 300 e il barcone viene abbandonato al suo destino.
Intorno alle 4 di domenica alcuni pescatori presenti sulla spiaggia di Cutro avvistano il barcone a qualche centinaio di metri dalla riva e lanciano l’allarme. Contemporaneamente dal barcone parte anche una telefonata al 112 ma si sentono solo urla. I pescatori riferiscono di numerose persone che da bordo provano a chiedere aiuto con le luci dei telefonini ma purtroppo nel giro di pochi minuti assistono al naufragio. Il barcone travolto dalle onde probabilmente impatta con una secca, si rovescia e si rompe in più punti. La scena descritta è agghiacciante.
Alle 4.30 giungono i carabinieri che cercano di prestare i primi soccorsi.
La Capitaneria di Porto invece afferma di aver ricevuto la segnalazione di quanto stava avvenendo alle 4.47 tramite il numero 1530 e questo farà si che la pattuglia della Guardia Costiera giungerà sul posto solo alle 5.35 segnalando “«persone in ipotermia», «trascinate a riva dalla risacca» e «alcuni cadaveri». Subito dopo, una motovedetta proveniente da Crotone inizia le «attività di ricerca e soccorso al largo»”.
Il quadro che ne esce fuori è chiarissimo e racconta dell’assoluto disinteresse delle autorità italiane e europee per la salvaguardia della vita umana, di un vergognoso scaricabarile e di un approccio folle fondato non sul dovere di soccorrere chi è in pericolo ma sulla fantomatica repressione di reati.