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GLI STATI UNITI D’AMERICA AVVIANO UNA NUOVA AGGRESSIONE MILITARE CONTRO IL VENEZUELA E L’INTERA REGIONE

È di ieri la notizia di una nuova operazione militare degli USA al largo delle coste caraibiche. Venerdì 14 novembre infatti il Segretario della Difesa statunitense  Pete Hegseth ha twittato: “Oggi annuncio l’operazione ‘Southern Spear’. Guidata dalla Joint Task Force Southern Spear e dal U.S. Southern Command, questa missione difende la nostra patria, elimina i narco-terroristi dal nostro emisfero e protegge la nostra patria dalle droghe che stanno uccidendo la nostra gente”.

L’operazione viene annunciata nel momento in cui la USS Gerald R Ford, la portaerei più potente degli Stati Uniti, si sta avvicinando alle coste del Venezuela, in quello che è stato descritto come uno straordinario dispiegamento di forza militare statunitense che non si vedeva da generazioni in Sud America. Quello che sta succedendo è un vero e proprio rinnovamento della Dottrina Monroe: con il pretesto di combattere il traffico della droga proveniente dal continente sudamericano, il Presidente sta semplicemente affermando la supremazia degli Stati Uniti sulle due Americhe. La posta in gioco per gli USA è chiara: da un lato si tratta di garantirsi l’accesso alle immense risorse di petrolio, acqua e altre materie prime, ma anche alla produzione di generi alimentari del continente sudamericano (guerra economica e commerciale); dall’altro lato vogliono soffocare le esperienze di governi progressisti e socialisti (battaglia ideologica).

L’ampliamento della presenza militare USA in Sud America e nei Caraibi è confermato dalla riapertura di una base militare in Puerto Rico chiusa nel 2006: già a settembre di quest’anno l’esercito statunitense aveva spostato vari caccia F-35 nella vecchia base “Roosevelt Roads” in cui le piste di partenza e atterraggio sono state nuovamente asfaltate.

Inoltre, il governo Trump sta esercitando una forte pressione sul presidente dell’Ecuador Daniel Noboa – un giovane 38enne nato a Miami, Florida, USA, e figlio di una famiglia di imprenditori che si è arricchita con il commercio di banane (sic!) – che ha indetto un referendum volto a eliminare l’esplicito divieto costituzionale di aprire basi militari straniere sul suolo ecuadoriano. Se il referendum del 16 novembre dovesse passare, l’Ecuador – reduce da uno sciopero generale di 35 giorni indetto dalla Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE) contro l’eliminazione del sussidio sul diesel e contro le ingerenze straniere nel paese – in pratica consegnerebbe agli USA le sue isole dell’Oceano Pacifico, le Galapagos in primis.

Ma l’offensiva imperialista degli USA non si limita alla militarizzazione del Continente. Prima delle elezioni parlamentari di fine ottobre in Argentina, il segretario del Tesoro statunitense Scott Bessent è venuto in soccorso al presidente di ultra-destra Javier Milei con l’acquisto di pesos argentini e l’accordo per uno scambio valuta con la Banca Centrale argentina per un valore di 20 miliardi di dollari. Questa iniezione di dollari ha tranquillizzato i mercati argentini, ma si tratta di una stabilizzazione a breve termine che non risolve i problemi strutturali del Paese (crollo della produzione industriale, insicurezza alimentare, povertà dilagante, smantellamento del welfare etc.). Il ricatto di Trump, però, ha funzionato.

Un ultimo esempio per come l’internazionale reazionaria si sta strutturando lo abbiamo visto sempre a fine ottobre di quest’anno a Rio de Janeiro, in Brasile. Il governatore dello Stato di Rio, Claudio Castro, ha condotto un’operazione militare nelle favelas delle città uccidendo oltre 120 persone, molte di cui innocenti. Infatti, più che un intervento contro la banda criminale “Comando Vermelho” si è trattato di un attacco violento contro i poveri e di un messaggio verso l’esterno: il governatore Castro è uno sfegatato bolsonarista; l’operazione è stato un esempio per come i metodi trumpiani vengano applicati sempre di più all’interno dei paesi latinoamericani, ma anche una “richiesta” di un diretto intervento di Trump in vista delle prossime presidenziali nell’ottobre del 2026.

Trump risponde alla crisi dell’egemonia statunitense con una maggiore militarizzazione del mondo. L’Europa – con a capo il governo italiano di Giorgia Meloni – segue a pari passo aumentando le spese militari e attaccando i diritti delle classi popolari. Oggi, più che mai, è un nostro obbligo interrompere il funzionamento di questa vera e propria generalizzata economia di guerra, come ci hanno insegnato i portuali del nostro Paese con gli scioperi generali dei mesi scorsi e milioni di persone di tutto il mondo scese in piazza per la pace e contro la guerra.

Così, di fronte a quello che sta avvenendo nel continente latinoamericano, una nostra massiccia partecipazione allo sciopero generale del 28 novembre e alla manifestazione nazionale del 29 novembre a Roma è ancora più importante.

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