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Anche quest’anno il mondo intero vedrà le donne mobilitarsi al grido di Non Una Di Meno contro ogni forma di violenza e discriminazione di genere. Da tre anni, ormai, il movimento femminista globale nato dalla rabbia e dalla determinazione delle donne dell’Argentina e di tutta l’America Latina, ha invaso le strade e le piazze del resto del mondo per ricordarci l’urgenza di un tema troppe volte minimizzato, quello della violenza che le donne, ma anche gay, lesbiche, trans e queer sperimentano tutti i giorni sulla propria pelle tanto nella sfera pubblica, quanto nella sfera privata. Un movimento internazionale, organizzato su scala mondiale che, dalla rivendicazione costante di autonomia e indipendenza da ogni altro movimento o soggetto politico, arriva ad attraversare tutte le lotte attive sui nostri territori: dalla lotta al capitalismo come sistema economico basato sulla violenza e sul saccheggio a quella per la tutela dell’ambiente, dalle mobilitazioni per avere accesso a condizioni di lavoro più umane e dignitose a quelle per il diritto alla casa, dalla lotta contro ogni muro e confine a quella per liberarsi da vecchie e nuove forme di controllo economico, sociale e politico. Le donne come soggetto politico globale attraversano lo spazio pubblico e lo spazio privato, ma nel farlo continuano a subire una serie di discriminazioni e violenze che ci ricordano quale dovrebbe essere il loro posto tanto a casa quanto a lavoro e per strada. Un posto che, però, non ci sta più bene e che le donne per prime rifiutano ormai con determinazione.
Perché uno sciopero?
La giornata dell’8 marzo viene convocata ormai da tre anni come giornata di sciopero femminista globale e, in quanto tale, ci pone interrogativi su cosa intendiamo per sciopero oggi e su quanto il movimento femminista internazionale possa contribuire a rilanciare la parola sciopero, arricchendola di nuovi significati anche alla luce delle più recenti trasformazioni del mondo del lavoro su scala globale. L’idea alla base è molto semplice, e ben riassunta da uno degli slogan più conosciuti del movimento Non Una Di Meno: se le nostre vite non valgono, allora scioperiamo! Il tasso altissimo di femminicidi che si registra in tutto il mondo, gli attacchi costanti al diritto all’aborto anche in paesi in cui, come l’Italia, dovrebbe essere dato per scontato, le diseguaglianze salariali che emergono dai preoccupanti dati del Gender Gap Report e gli innumerevoli casi di stupri e violenze domestiche fanno emergere un quadro in cui la vita delle donne vale ovunque meno di quella degli uomini. Eppure, fino a quando le donne stesse non hanno deciso di alzare la voce per dire basta a questo sistema di oppressione e violenza, tutto questo ci è stato presentato come normale. Ma la realtà vissuta da noi donne ci costringe a prendere coscienza di quanto il nostro ruolo sociale ed economico sia imprescindibile per mandare avanti la nostra società: siamo noi che con il nostro lavoro troppo spesso dequalificato, precario e sottopagato contribuiamo alla crescita economica complessiva e al mantenimento del bilancio familiare, siamo noi che col nostro lavoro domestico e di cura gratuito manteniamo le nostre famiglie senza il supporto di servizi sociali necessari ma sempre più assenti a causa dei continui tagli al welfare e privatizzazioni, siamo noi che portiamo avanti interi settori lavorativi, come quello dell’istruzione, dei servizi alla persona, dell’assistenza sanitaria….
Lo sciopero, quindi, deve essere compreso innanzitutto come strumento per ridare visibilità al protagonismo economico e sociale delle donne, troppo spesso nascosto e taciuto: uno sciopero da intendere nella sua valenza più “classica” come blocco del lavoro produttivo in cui siamo coinvolte e che pure, almeno in Italia, non vede il sostegno dei principali sindacati a differenza di quanto avviene in altri stati come Spagna e Argentina, ma che vede, fortunatamente, l’adesione di molti sindacati di base. C’è di più: oltre alla dimensione sindacale, lo sciopero femminista ne assume anche un’altra, più strettamente politica, come astensione dal lavoro riproduttivo, ovvero cura della casa e della famiglia, (e quindi non riconosciuto come lavoro e svolto gratuitamente dalle donne quasi come fosse un nostro obbligo naturale o morale), e come liberazione dagli angusti limiti delle rappresentazioni di genere che ci vogliono sempre deboli, sempre vittime, sempre bisognose della protezione e del sostegno dell’uomo di turno. A questo si aggiunge la necessità di trovare strumenti adatti per scioperare in un contesto generale in cui il mercato del lavoro è segnato sempre più dall’atomizzazione dei lavoratori, dal precariato, dall’individualismo e dalla difficoltà di ritrovarsi fisicamente nei luoghi di lavoro e, quindi, di arrivare a quella forma di riconoscimento reciproco che è alla base del processo di presa di coscienza di classe di lavoratori e lavoratrici.Ovviamente la difficoltà specifica del contesto italiano è quella di riuscire a coprire lo sciopero nei posti di lavoro, pur avendo solo il sostegno di alcuni sindacati di base: perciò, diffondere la voce, creare case dello sciopero, convocare assemblee sui luoghi di lavoro è fondamentale per coinvolgere anche chi non ha mai sentito parlare di femminismo fino ad ora e che pure dovrebbe costituire il soggetto principale di una giornata di sciopero: le lavoratrici. Siamo convinti che questa frammentazione della classe lungo le linee di genere e di razza non sia una prova evidente della scomparsa della classe stessa, ma anzi testimoni la necessità di ricomporre tali divisioni proprio nell’ottica di un miglioramento complessivo delle condizioni di lavoro e di vita di tutte e tutti.
In tal senso, ci sembra che la mobilitazione delle donne su scala internazionale ponga l’accento su alcuni temi veramente trasversali, configurandosi come fronte di lotta comune, che dovrebbe implicare il sostegno e supporto attivo anche degli stessi uomini: parlare di femminilizzazione del lavoro oggi non vuol dire soltanto evidenziare il numero enorme di donne nel mondo del lavoro, ma significa individuare un modello che, seppur storicamente nato come connotato della forza lavoro femminile e concretizzatosi nelle forme più dequalificate, precarie e sottopagate di lavoro (a causa dell’imposizione del modello di donna da intendere principalmente come moglie e madre), è divenuto ormai un modello che va oltre le differenze di genere, costituendosi come unica forma di lavoro specialmente per i e le più giovani. Le rivendicazioni che il movimento femminista internazionale porta in piazza l’8 marzo, dunque, risultano essere condivisibili da tutte e tutti: lottare per la fine delle discriminazioni economiche così come di quelle culturali e sociali che naturalizzano e legittimano anche le precedenti, è un obiettivo politico per tutte e tutti coloro che hanno l’obiettivo di trasformare l’esistente e di costruire un mondo più equo ed egalitario in cui le differenze non debbano trasformarsi in disuguaglianze, ma restino su un piano di orizzontalità e, quindi, di arricchimento comune.
Rompiamo i confini: la nostra lotta è internazionale!
È proprio a partire dall’esigenza di scardinare la logica dell’ordinamento gerarchico e dello sfruttamento, della messa a valore di ogni differenza, che la marea femminista mondiale rivendica chiaramente il suo antirazzismo e la sua dimensione internazionalista. Innanzitutto occorre fare chiarezza su un punto: non tutte le donne subiscono le stesse violenze e le stesse discriminazioni e anche in questo caso le divisioni di razza e di classe esercitano un peso specifico notevole: sappiamo tutti le peculiari condizioni che caratterizzano la vita delle donne migranti, così come sappiamo che esistono tante donne ricche e potenti che hanno tutto l’interesse a mantenere la loro posizione sociale ed economica alimentando sfruttamento e violenze e non è certamente per loro che decidiamo di mobilitarci, anzi, le poniamo sicuramente nel versante dei nostri avversari.
La posta in campo è tutta politica e riguardala trasformazione di un intero sistema economico e sociale a partire da una prospettiva di genere che tenga conto anche di altri elementi: nessun arroccamento in difese identitarie di una pretesa purezza femminile. È proprio su questo punto che si chiede di prendere posizione, di schierarsi, al di là del genere. In tal senso l’internazionalismo e l’antirazzismo costituiscono dei punti cruciali di questa giornata di mobilitazione e anche della nostra prospettiva di azione politica come Potere al popolo! Ma non solo: se è vero che non tutte le donne si trovano a sperimentare la stessa condizione di sfruttamento, violenza e oppressione, è perché altri fattori intervengono nell’ordinamento gerarchico delle differenze in disuguaglianze, dalla posizione economica alla nazionalità, dalla religione al colore della pelle. È proprio per questo che un movimento che intenda mettere fine alla violenza e alla discriminazione di genere deve tenere conto delle differenze esistenti tra donne e deve saperle articolare in una prospettiva di lotta comune che è, per l’appunto, quella della fine di un sistema così economicamente, socialmente e culturalmente violento. E per questo che lo sciopero dell’8 marzo si configura come sciopero globale: le donne nel mondo si mobiliteranno dall’Argentina alla Polonia, dall’Italia al Messico, dal Kurdistan al Brasile, dall’India agli Stati Uniti perché solo facendosi sentire insieme e dappertutto si può riuscire a cambiare qualcosa. Perciò riteniamo che questa giornata di mobilitazione debba saper costruire ponti tra realtà anche molto distanti tra loro, costituendosi come momento di rottura dirompente non solo rispetto alle nuove politiche economiche globali che, in nome di crescita e sviluppo si ripercuotono soprattutto sulle spalle delle donne, ma anche rispetto alla falsa alternativa delle risposte razziste e reazionarie che si stanno diffondendo dagli Stati Uniti di Trump al Brasile di Bolsonaro, passando per l’Italia di Salvini e Di Maio. Atal proposito, per quanto riguarda l’Italia, ci sembra davvero evidente perché sentiamo l’esigenza di sostenere la mobilitazione di Non Una Di Meno: il governo del cambiamento ha segnato davvero una svolta nella vita delle donne italiane, ma in peggio, dal terribile disegno di legge Pillon (su cui già abbiamo preso posizione), ai continui attacchi al diritto all’aborto, alle crociate portate avanti dai pro-life da Nord a Sud, alle nuove regole sul congedo di maternità che ci “permettono” di lavorare fino al nono mese di gravidanza, allo sdoganamento di omofobia e sessismo anche tra la nostra classe politica.
Bisogna prendere posizione!
Per tutti questi motivi crediamo, in quanto movimento politico che riconosce da sempre nell’antisessismo uno dei sui principali tratti costitutivi, che la giornata di mobilitazione e sciopero dell’8 marzo vada sostenuta in tutta Italia e in tutto il mondo. Saremo presenti nei cortei organizzati dalla rete Non Una Di Meno nelle nostre città, rispettando l’autonomia e l’autodeterminazione di un movimento che trova nella sua eterogeneità un punto di forza a tutti gli effetti; organizzeremo momenti di approfondimento e confronto sui nuovi attacchi che arrivano ogni giorno ai diritti delle donne verso e oltre l’8 marzo e soprattutto crediamo che sia fondamentale far arrivare l’importanza di mobilitazioni come queste a tutte le donne che costituiscono quel popolo a cui vogliamo ridare potere: le lavoratrici, le casalinghe, le precarie, le migranti, le escluse da questo sistema economico,conformemente alla nostra idea di femminismo popolare, ovvero di un femminismo che parte dal basso. Nelle nostre Case del Popolo sparse ormai in tutta Italia manteniamo un’attenzione particolare sulle tematiche di genere: nei nostri sportelli di salute forniamo informazioni e assistenza alle donne che non sanno spesso come orientarsi nel complesso mondo delle IVG, nelle nostre camere del Lavoro abbiamo a che fare con numerosissimi casi di lavoratrici precarie o a nero, per non parlare dei casi di molestie.
Anche a livello di elaborazione politica, poi abbiamo messo in chiaro fin dall’inizio del nostro percorso come Potere al popolo! quali sono le nostre concrete rivendicazioni in chiave di genere.
In campo lavorativo rivendichiamo parità di diritti, di salario, di accesso al mondo del lavoro a tutti i livelli e mansioni a prescindere dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale; lavoro per tutte le donne e divieto d’indagine sulla condizione matrimoniale, di maternità, di orientamento sessuale nelle assunzioni o licenziamenti; riduzione dell’orario, dei carichi e dei ritmi di lavoro e riposo il sabato e la domenica oppure due giorni consecutivi se l’azienda è a turnazione continua; trasformazione a tempo indeterminato dei contratti precari sia nel settore privato che in quello pubblico, rifiuto del “Decreto dignità” e del reddito di cittadinanza in nome di una politica seria che crei lavoro e reddito.
Per quanto concerne la dimensione del welfare, rivendichiamo servizi sociali garantiti e gratuiti che liberino il tempo di vita (come asili, servizi per gli anziani, aumento dei nidi e delle scuole per l’infanzia in prossimità dei luoghi di lavoro), un’implementazione del sistema dei consultori che richiedono investimenti nel segno della continuità e non tagli su tagli e, infine, la totale difesa del diritto all’aborto assistito, pubblico e gratuito e la conseguente abolizione dell’obiezione di coscienza all’interno dei consultori laici e negli ospedali pubblici.
Per quanto attiene più alla dimensione della violenza, invece, pretendiamo che l’educazione e i suoi principali strumenti diventino mezzo di decostruzione del sessismo e di ogni forma discriminatoria, che educhino al riconoscimento della molteplicità delle diversità; misure di allontanamento immediato non solo di familiari o conviventi violenti, ma anche (sui posti di lavoro) di capi, padroni, colleghi responsabili di molestie, mobbing, discriminazioni, abusi, affinché le lavoratrici che denunciano siano tutelate.
Per quanto concerne, infine l’antirazzismo, rivendichiamo pieni diritti per le donne migranti e, dunque, diritto alla cittadinanza, alla residenza, alla casa e al lavoro, eguale trattamento contrattuale e salariale e, ovviamente, ribadiamo la nostra più ferma opposizione al Decreto Sicurezza che, nel nome dell’imposizione di politiche palesemente reazionarie e razziste (come la riapertura dei Centri di Permanenza e Rimpatrio) non solo contro la componente migrante, ma contro tutto il corpo sociale del paese nelle sue forme di organizzazione dal basso e lotta, strumentalizza evidentemente il tema della violenza di genere per portare acqua al suo solo mulino.
Crediamo che uno dei meriti principali del nuovo movimento femminista internazionale sia stato quello di obbligare la società e diversi soggetti politici a prendere posizione e schierarsi: in Argentina e in Spagna questo nuovo rapporto di forza ha imposto ai sindacati, grazie alla mobilitazione attiva e dall’interno di tante iscritte, di sostenere e coprire lo sciopero, mentre tutti i partiti politici si stanno confrontando coi temi della violenza di genere e dell’antisessismo, o sostenendoli, o attaccandoli. Perciò non abbiamo dubbi sulla necessità di schierarci: l’uguaglianza di genere è uno dei nostri tratti essenziali e crediamo che mantenere una prospettiva antisessista in ogni campo di analisi e azione politica sia imprescindibile per creare un mondo nuovo, un mondo più equo e giusto, un mondo privo di disuguaglianze e discriminazioni. Il nostro antisessismo non vuole e non può essere formale o di maniera, anzi: il protagonismo femminile che rivendichiamo non si riduce a piazzare qualche donna in posizioni di rappresentanza, ma è inteso come presa di parola costante, come assunzione collettiva del punto di vista femminile, come costante messa in discussione di pratiche troppo spesso declinate solo al maschile. Un contributo fondamentale per la crescita collettiva di tutte e tutti. Perciò anche noi saremo in piazza l’8 marzo e ogni volta che ce ne sarà il bisogno!