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OLTRE UN MILIARDO DI PERSONE IN TUTTO IL MONDO SOFFRE DI DISTURBI MENTALI

Ho sentitola parola “depressione” per la prima volta quando avevo circa sedici anni. Mia madre mi portò al National Institute of Mental Health and Neurosciences (NIMHANS) di Bengaluru, in India, per farmi visitare da un professionista per quello che fino ad allora avevo semplicemente considerato degli incubi e pomeriggi difficili. Sono stato fortunato. Oggi, solo il 9% delle persone nel mondo riceve un trattamento per la depressione. Il medico mi ha parlato a lungo e ho trascorso diversi giorni al NIMHANS in cura da lui e da altri medici. Mi era chiaro che i miei problemi derivavano in gran parte da un incidente traumatico avvenuto alcuni anni prima, quando ero stato violentato a scuola.

I miei genitori mi hanno sostenuto durante tutto il processo, dandomi il coraggio di superare le conseguenze e proteggendomi da quella che ritenevano sarebbe stata l’umiliazione assoluta di una denuncia pubblica della violenza subita. Sono loro grato per essere stati così gentili e concilianti, permettendomi di prendermi il tempo necessario prima di parlare apertamente di qualcosa che non ha senso, e non dovrebbe averne, per una bambino. In realtà, l’esperienza della depressione e l’impatto che questa ha sull’autostima continuano per tutta la vita. I farmaci aiutano, così come l’amore degli amici, ma non esiste una “cura” che permetta di superare la complessità del dolore.

Nel corso degli anni ho dovuto affrontare in privato l’immensa vergogna che deriva da tali esperienze e l’incertezza sui fatti dell’incidente (l’ho incoraggiato?). Questa vergogna è comune a chi ha subito atti simili ed è qualcosa che segna le persone dal momento in cui si verifica un incidente traumatico fino al momento della morte, come dimostra il tasso significativamente più alto di suicidi tra le persone che hanno subito tali violenze in gioventù. Per ovvie ragioni, l’importanza dei farmaci e dell’intervento terapeutico non può essere minimizzata. Ma il problema di fondo è un altro: viviamo in un mondo che presta attenzione al rimborso del debito e all’acquisto di armi, ma taglia sempre di più nella sanità pubblica, con il sostegno alla salute mentale che si trova ai minimi storici.

Uno dei motivi per cui sono un convinto sostenitore delle agenzie delle Nazioni Unite, e in particolare dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è che queste istituzioni seguono da vicino i problemi della salute mentale e lo scandaloso sottofinanziamento delle strutture di sostegno per coloro che affrontano queste sfide. Due rapporti in particolare – Mental Health Atlas 2024 e World Mental Health Today (entrambi pubblicati nel 2025) – hanno rilevato che oltre un miliardo di persone convive con un disturbo mentale. Contrariamente a quanto si crede, la maggior parte di coloro che soffrono di queste malattie vive in paesi a basso e medio reddito. I disturbi più comuni sono l’ansia e la depressione, che colpiscono in modo sproporzionato le donne.

Le donne subiscono anche tassi più elevati di violenza domestica, che porta ad un aumento dello stress mentale, e le donne con gravi problemi di salute mentale sono più esposte alla violenza sessuale e ad altre forme di violenza. Tuttavia, sorprendentemente, gli studi dell’OMS rilevano che le donne, per una serie di motivi, hanno meno possibilità di accedere a trattamenti terapeutici. Uno studio condotto in India, citato dall’OMS, mostra che “le donne affette da depressione erano tre volte più propense delle altre donne a spendere più della metà delle loro spese mensili domestiche in spese sanitarie a loro carico”. Tre fattori – costi, stigma e paura – ostacolano il ricorso all’assistenza sanitaria e al supporto legale per coloro che lottano con malattie mentali.

I dati sono terrificanti. La spesa media pubblica per l’assistenza sanitaria mentale rappresenta circa il 2% dei bilanci sanitari, una percentuale rimasta invariata dal 2017. Nel 2022 solo il 9,89% del PIL globale è stato speso per l’assistenza sanitaria, anche se i dati sulla spesa sanitaria mondiale sono del tutto fuorvianti, poiché una parte consistente viene spesa nel Nord globale per le assicurazioni private e per interventi costosi che distorcono i dati. La spesa media per l’assistenza sanitaria pubblica nel Sud globale era pari all’1,2% del PIL nel 2022, con 141 governi che spendono meno dell’indice di riferimento dell’OMS del 5% del PIL (una cifra simile a quella suggerita da un rapporto del 2010, secondo cui la soglia del 6% eviterebbe spese elevate a carico delle cittadine e dei cittadini). Mentre i paesi ad alto reddito spendono 65 dollari a persona per l’assistenza sanitaria mentale, i paesi a basso reddito ne spendono solo 0,04.

In un momento in cui i paesi più poveri spendono circa il 6,5% dei proventi delle esportazioni per ripagare il debito estero, mentre la spesa militare mondiale sale alle stelle, è improbabile che la maggior parte dei paesi abbia la volontà politica di spostare le priorità verso l’assistenza sociale.

Quali solo le conseguenze di un mancato sviluppo del sistema sanitario, compreso quello di assistenza sanitaria mentale?

1. Il numero di persone che si suicidano è scandalosamente alto. È stato riportato che oltre 720.000 persone si tolgono la vita ogni anno, circa 8 ogni 100.000 persone. I tassi di suicidio giovanile sono stabili o in aumento, a seconda del paese (gli ultimi dati affidabili al riguardo risalgono al 2021). Quasi tre quarti dei suicidi globali hanno avuto luogo in paesi a basso e medio reddito. Nei paesi africani, ad esempio, questi numeri sono in aumento, attualmente pari a 11,5 ogni 100.000 persone.

2. Un nuovo rapporto dell’OMS rivela che ogni ora cento persone muoiono di solitudine, per un totale di 871.000 decessi all’anno. Tra i fattori che determinano la solitudine o l’isolamento sociale, spiega il rapporto, vi sono “una cattiva salute fisica o mentale (in particolare la depressione), tratti della personalità come il nevroticismo, l’assenza di un partner o il fatto di essere single, il vivere da soli e caratteristiche dell’ambiente costruito come uno scarso accesso ai trasporti pubblici”. La maggior parte di questi fattori può essere superata aumentando i legami sociali attraverso semplici riforme quali il miglioramento dei trasporti pubblici, dei centri culturali e dei centri di assistenza comunitaria.

3. Gli operatori socio-sanitari sono essi stessi soggetti a problemi mentali e fisici dovuti al superlavoro e alla mancanza di sostegno. Per esempio, ci sono solo 13 operatori della salute mentale ogni 100.000 persone, con i paesi a basso reddito in grado di mobilitare solo un operatore della salute mentale ogni 100.000 persone. Due terzi dei paesi del mondo, per lo più nazioni più povere, hanno solo uno psichiatra ogni 200.000 persone. Lo stress che questo comporta per le persone di buon cuore che intraprendono questa professione è immenso. L’unico paese a basso reddito in cui ho incontrato professionisti della salute mentale veramente felici è Cuba, paese in cui il sistema fornisce tutto il sostegno possibile a coloro che lavorano a livello comunitario con una popolazione neurologicamente martoriata dall’impatto delle sanzioni.

4. Gli studi sull’assistenza dimostrano chiaramente che è molto meglio trattare le persone con gravi problemi di salute mentale attraverso centri di assistenza basati sulla comunità situati vicino alle case delle famiglie dei pazienti piuttosto che in ospedali psichiatrici che sono spesso troppo grandi e sterili. Eppure meno di un paese su dieci è passato dai sistemi ospedalieri psichiatrici ai sistemi di assistenza basati sulla comunità (ammesso che tali sistemi esistano), e molti di quelli che lo hanno fatto sono paesi socialisti. I centri di assistenza locali basati sulla comunità consentono a tutte le persone di essere integrate meglio nella società e agli operatori della salute mentale di comprendere meglio la storia psico-sociale completa dei loro pazienti e delle comunità da cui provengono. Il trattamento è quindi sia sociale che medico.

Dobbiamo spendere più della ricchezza sociale per l’assistenza e meno per la morte e il debito.

Per me è stata una rivelazione scoprire The Dark Side of the Moon (1973) dei Pink Floyd nella mia adolescenza. Stavo seduto nel nostro appartamento di Calcutta per ascoltare a ripetizione l’album mentre i grandi alberi della città filtravano la luce della città e nelle stanze rimbombava il rumore dei tram. È difficile spiegare cosa significasse per me chiudere gli occhi e volare nel mondo di “Breathe (In the Air)”:

Respira, respira l’aria.
Non aver paura di preoccuparti
Vattene, ma non lasciarmi.
Guardati intorno e scegli il tuo terreno.

Vivi a lungo e vola alto
E i tuoi sorrisi e le tue lacrime
E tutto ciò che tocchi e tutto ciò che vedi
È tutto ciò che la tua vita sempre sarà.

Corri, coniglio, corri.
Scava quella fossa, dimentica il sole,
E quando alla fine il lavoro è compiuto
Non sederti, è tempo di scavarne un’altra.

Vivi a lungo e vola alto
Ma solo se cavalchi la marea
E resti in equilibrio sull’onda più grande
Corri verso una tomba prematura.

Ho spesso pensato che sia stata questa canzone a tenermi in vita, insieme all’amore dei miei genitori, Rosy Samuel, della mia famiglia e delle mie compagne e dei miei compagni.

Rallenta, coniglio, e guarda il sole.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della trentanovesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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