I contenuti del c.d. “contratto” di governo tra Lega e Movimento 5 stelle, per quanto concerne in particolar modo il settore Giustizia, risultano nel complesso fortemente negativi e potenzialmente in grado non solo di intaccare in modo significativo gli istituti di garanzia previsti dall’ordinamento, ma di concretizzare un salto di qualità antropologico, che Luigi Ferrajoli ha definito come la sistematizzazione governativa di una rottura epistemologica. Cioè del valore e della natura della giustizia costituzionale e dello “Stato penale minimo” che si fa invece “massimo”, con una autentica “decostituzionalizzazione” della pena.
Siamo pienamente consapevoli del fatto che a spianare la strada a questa deriva sia stato chi ha governato finora, non solo lasciando in piedi le pessime leggi figlie dei governi delle destre come la Bossi-Fini, ma stravolgendo con decretazione il diritto penale, sostanziale e processuale, dichiarando guerra ai poveri e dimidiando le garanzie per migranti e richiedenti asilo con provvedimenti che recano chiari i nomi dei proponenti, ossia Minniti e Orlando e finanche non riuscendo (o forse meglio non volendo riuscire) a condurre in porto quella riforma dell’ordinamento penitenziario da troppo tempo attesa. Dunque, il materiale, l’armamentario cui attingere per realizzare i propositi securitari è già stato messo gentilmente a disposizione del futuro inquilino del Viminale.
Prendiamo al contempo atto che tutto ciò è assunto oggi a livello programmatico, con una demagogia populista autoritaria che mira a sfibrare e dissolvere quel poco di coscienza democratica ancora viva, specie nell’area penale. Non un programma di governo “emendativo”, che rimane nello stesso campo, ma di rottura “filosofica”.
Così è con la legittima difesa —«sempre legittima»—, con l’abrogazione del principio della proporzionalità tra offesa e difesa e quindi con l’americanizzazione della giustizia “fai da te”, con il venir meno del monopolio statale dell’uso della forza e quindi con le tue armi private. Così è con l’eliminazione del rito abbreviato per una serie di reati; con l’inasprimento di pene già alte, finanche per i minorenni; con la riforma della prescrizione dei reati che renderà possibili più di oggi processi infiniti e pene irrogate a soggetti completamente cambiati da quando commisero i fatti-reato. Così è con la c.d. certezza della pena, con un attacco pesante, forcaiolo e classista a tutti quegli strumenti deflattivi pensati e realizzati al fine di adeguare la normativa penale alla nuova realtà sociale (depenalizzazione) e di eliminare il ricorso alla pena nei casi ritenuti di non particolare gravità (particolare tenuità del fatto, condotte riparatorie), laddove gli unici reati per cui non sarebbero ammissibili alternative alla pena sono quelli contro il patrimonio, che possono essere commessi da delinquenti comuni e non da banchieri, imprenditori et similia.
Tutto ciò, mentre avanza una prassi che evolve nel senso di un riconoscimento del reato di solidarietà e il contrasto alle mafie è posto praticamente in coda agli obiettivi da realizzare —peraltro con una genericità disarmante.
Altrettanto fumosi e generici appaiono gli intendimenti in tema di diritto del lavoro, dove si accenna ad una possibile revisione del Jobs act, ma intanto si propone il reinserimento dei voucher, già cancellati per evitare la pronuncia dei cittadini attraverso un referendum abrogativo e poi parzialmente reinseriti nell’ordinamento.
Niente di concreto nemmeno sulla tutela di lavoratrici e lavoratori licenziati e, dunque, sull’eventuale reintroduzione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, già pure oggetto di propaganda elettorale.
Naturalmente, noi non siamo per il “tanto peggio tanto meglio”. Tutte le misure rivolte ad abbattere la costituzione materiale delle riforme senza spese previste nella giustizia civile, come il calendario da stabilirsi a inizio processo civile, l’abbassamento del contributo unificato e il superamento del doppio sbarramento, mediazione e conciliazione, sono sicuramente positive e da tempo da noi auspicate e ne andrà pretesa la realizzazione.
Altrettanto può dirsi per tutte quelle misure che comunque potrebbero alleviare la condizione di chi non lavora, come il reddito di cittadinanza, o ancora l’affermazione dei beni comuni ed in particolare dell’acqua pubblica, il cambiamento di rotta sul terreno delle pensioni.
Abbiamo oggi un compito gravoso come forse non mai: quello di organizzare e sostenere una controffensiva culturale che parta da tutti i luoghi in cui siamo chiamati a operare e che sia in grado, in primo luogo, di far comprendere che sicurezza non significa e non potrà mai significare sacrificio dei diritti inviolabili della persona.