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LA RIFORMA DEGLI ISTITUTI TECNICO-PROFESSIONALI DI VALDITARA-BIANCHI È UNA RIFORMA CLASSISTA

La riforma della filiera tecnico-professionale

La riforma degli istituti tecnici e professionali di Valditara è legge. L’istruzione tecnica e professionale sarà riorganizzata su un modello quadriennale, eliminando quindi un anno di scuola, per “avvicinare ancora di più il mondo scolastico alle richieste del mercato del lavoro.

La legge, nonostante il parere contrario del Cspi, arriva a coronamento delle dichiarazioni di Valditara nel corso dell’ultimo anno (“Il privato deve metterci i soldi perché è interesse delle aziende che cresca la scuola italiana”; “Il collegamento fra scuola e impresa è la chiave del successo di questa nuova visione di scuola che vuole sempre più offrire ai nostri ragazzi opportunità di impiego e di realizzazione personale”) e dell’inaugurazione della Fondazione per la Scuola Italiana con Unicredit, Banco BPM, Enel Italia, Leonardo S.p.A. e Autostrade per l’Italia.

Si tratta di un processo di smantellamento della sistema scolastico pubblico che gradualmente ha spinto la scuola in bocca ai privati, attraverso l’istituzione dei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP), l’ex alternanza scuola-lavoro (PCTO) e la novità dell’ultimo anno del docente tutor e del docente orientatore.

L’avvicinamento tra scuola e privati si realizza ogni volta sotto il falso auspicio di “avvicinare la scuola al territorio”, come già ebbe a dire Bianchi quando si augurava il coinvolgimento dei privati nel Patto Educativo di Comunità.

Da anni ci dicono che lo scopo della scuola è dover garantire occupazione e crescita economica, che bisogna che si adatti alle imprese, spostando il focus dalla responsabilità economiche che la classe dominante ha nel produrre stagnazione, precarietà e sotto-occupazione. Non si affrontano mai, così, i problemi strutturali della più importante istituzione culturale del paese.

Questa volta si prevede l’aumento del monte ore per fare spazio ad attività legate al tessuto economico locale che, in termini materiali e nel contesto dell’autonomia differenziata, significa inasprire ulteriormente il divario tra regioni ricche e povere.

A riprova che professionalizzazione della scuola e autonomia differenziata costituiscono un comune disegno perseguito da destra e dal centro sinistra, la riforma è stata anticipata dalle Regioni Emilia Romagna, Veneto e Lombardia, che hanno aderito al Progetto nazionale di sperimentazione relativo all’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale, anticipando la costituzione delle reti attuative tra istituti tecnici e professionali e ITS Academy per l’anno 2024/2025.

La scuola italiana è classista

L’intervento sulla formazione tecnica e professionale è l’ulteriore prova del classismo nel sistema scolastico secondario di secondo grado.

L’insistenza e la rimodulazione del quadro orario con l’aumento delle ore dedicate alle materie di indirizzo, alla specializzazione, alla professionalizzazione, e “alle attività dedicate al tessuto economico locale” a discapito dell’asse culturale comune, aumentano la separazione culturale tra percorsi tecnici-professionali e liceali, tra un sapere presuntamente “utile” e una preparazione pre-universitaria, che durerà un anno in più. Il tutto con l’onnipresente obiettivo di arginare la dispersione scolastica, millantando una scuola meno impegnativa dal punto di vista intellettuale e più motivante dal punto di vista pratico, quando in realtà i dati ci dicono che sul fenomeno pesano fattori su cui dovrebbe essere la politica ad intervenire, come il background socio-economico degli alunni, i divari territoriali (Nord-Sud, città-provincia), e l’endemica carenza delle risorse destinate al settore educativo.

Gli studenti e le studentesse poi, insieme alle loro famiglie, sono chiamati a scegliere per il loro futuro nel quadro di un sistema che ha completamente abdicato alla missione democratica dell’istruzione pubblica nella preparazione di cittadine e cittadine critici e consapevoli, ed ha concentrato gli sforzi nella risposta agli interessi dell’impresa, seguendo il disegno di un sistema economico che ha per corrispettivi un tessuto sociale culturalmente diviso e un territorio nazionale frammentato.

Ma autonomia differenziata e riforma dei tecnici e professionali non sono un’idea originale delle destre. Già a fine 2021 sono partite le sperimentazioni quadriennali dell’istruzione superiore di secondo grado, mentre Bianchi parlava della riforma della filiera tecnico-professionale come passo importante della realizzazione del PNRR con l’obiettivo di “allineare il curricolo degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese, in particolare verso l’output di innovazione del piano nazionale Industria 4.0 e la profonda innovazione digitale in atto in tutti i settori del mercato del lavoro”.

La forte differenziazione regionale passa inoltre dall’accreditamento regionale degli ITS Academy, anche questi riformati da Bianchi, i quali si configurano come fondazioni a gestione pubblico-privato, della cui governance fanno parte imprese, gruppi e consorzi del settore produttivo di riferimento, che entreranno nella programmazione dell’offerta formativa degli istituti tecnici e professionali attraverso convezioni e accordi di rete.

Come si vede, Valditara si pone come prosecutore di un percorso già tracciato, caratterizzato dalla volontà politica di usare la scuola per rispondere alle richieste dell’industria. Nel dibattito alla Camera, Malvasi, deputata PD, lo ha confermato dal momento che, sebbene criticando i modi e i tempi di approvazione della riforma, ha sottolineato come l’idea a fondamento della filiera sia invece corretta.

Riforma sì, risorse no

Mentre la Camera approva l’ennesima riforma peggiorativa, il personale scolastico precario vive la solita estate appesa tra attese e incertezze. La stessa riforma della filiera tecnico-professionale sarà a costo zero, con la previsione di lasciare per ora invariati gli organici dei docenti, ma non si sa ancora per quanto.

Nel frattempo la scuola continua a soffrire delle stesse criticità che si porta dietro da sempre: dallo stato in cui versa l’edilizia scolastica che, non solo mina la sicurezza di tutta la comunità, ma rappresenta il vero squarcio nel cielo di carta a fronte di tutte le parole spese per la didattica laboratoriale e la rivoluzione dei setting di apprendimento; al personale sempre più precario, ATA e docente, fino alle condizioni vissute da educatori ed assistenti alla comunicazione sotto contratto delle cooperative sociali; la mancanza poi di un percorso di abilitazione all’insegnamento seriamente formativo nella cornice delle università pubbliche e di un sistema di reclutamento chiaro e uniforme, che scaraventa precari e neolaureati in una guerra di punteggi in graduatoria, a colpi di crediti e titoli acquisitati nelle università telematiche a carissimo prezzo.

Tra riduzione degli spazi, classi pollaio, restrizione degli organici e ricorso al precariato i collegi dei docenti vedono passare davanti ai loro occhi finanziamenti che finiscono in progetti realizzati con l’unico obiettivo di spendere i fondi stanziati o l’istituzione di figure, come il docente orientatore, che minano l’autonomia dei consigli di classe.

Nelle scuole intanto c’è chi resiste: oltre al flop del liceo del Made in Italy, la sperimentazione degli istituti quadriennali è partita in sole 171 scuole su 3000, mentre il docente orientatore è stato osteggiato sia attraverso il voto nei collegi docenti che con il boicottaggio dell’incarico.

Quanti anni di scuola?

Se, in un contesto afflitto da precariato e diseguaglianze che richiede ben altre priorità, si volesse eliminare un anno scolastico, non è certo intervenendo su un solo ramo che si dovrebbe fare. Così facendo si va infatti a privare ulteriormente di una preparazione culturale adeguata quel 50% di popolazione che frequenta le scuole superiori tecnico professionali a discapito dell’altra metà che frequenta un liceo. Una riforma  di questo genere dovrebbe invece puntare a intervenire su tutto l’ordinamento scolastico a partire dall’organizzazione dei cicli, legando elementari e medie e arrivando fino agli indirizzi delle secondarie di secondo grado, con lo scopo di non ipotecare il futuro in percorsi predeterminati; una riforma che metta al centro del successo formativo lo sviluppo culturale omogeneo di tutto il tessuto sociale, indipendentemente dal background socio-economico dell’utenza e del territorio; una sperimentazione didattica e degli ambienti di apprendimento che non fondi gli obiettivi educativi sull’occupabilità degli alunni e delle alunne in un mondo di sfruttamento ma sullo sviluppo del pensiero e delle capacità trasformative della realtà.

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