Le mobilitazioni dei Fridays for Future, Rise for Climate, Extinction Rebellion che hanno riempito le piazze europee nell’ultimo anno e la stessa marcia nazionale che si è tenuta a Roma il 23 marzo reclamano dai governi azioni concrete e immediate per contrastare il cambiamento climatico. Il rapporto IPCC 2018 afferma che è indispensabile non superare il riscaldamento globale di 1,5 °C per evitare conseguenze gravissime, non solo per la sicurezza dei territori, la biodiversità, la qualità della vita di tutti, ma per la sopravvivenza della specie umana.
Gli stessi risultati elettorali delle europee dimostrano che la questione ambientale è finalmente riconosciuta fondamentale da molte cittadine e cittadini. Nonostante ciò, la stragrande maggioranza dei partiti europei (inclusi quelli “verdi”) non è in grado di prospettare un programma capace di rispondere alle sfide del cambiamento climatico e delle trasformazioni che esso impone al sistema produttivo e di organizzazione sociale dominante.
Il panorama politico italiano è particolarmente deludente. I Verdi sono incapaci di riconoscere che la devastazione planetaria che si prospetta non può essere combattuta senza attaccare le cause che questa crisi hanno prodotto; per esempio si limitano ad auspicare una graduale eliminazione del carbone e degli altri fossili. Il “greenwashing” (apparire “green” senza esserlo veramente) da parte dei partiti liberisti è sempre più evidente. Il PD dichiara di volere intraprendere azioni per la difesa dell’ecosistema, contraddicendosi subito dopo approvando progetti dal forte impatto ambientale, come la riduzione dei boschi e la realizzazione di grandi opere inutili. I 5stelle, dopo aver tradito una dopo l’altra le promesse elettorali a difesa dell’ambiente e dei beni comuni come l’acqua, sono succubi della Lega e inetti nell’arginare le scelte catastrofiche di questo governo, come testimonia l’approvazione del recentissimo decreto “Sblocca cantiere”, meglio intitolabile “sblocca corruzione e sfascia territorio”. È un provvedimento che comporta implicazioni nefaste in termini di legalità e trasparenza degli appalti e rischiose trasformazioni fisiche; un altro attacco al sistema delle norme per la difesa dei territori e allo svolgersi di processi decisionali democratici in materia di infrastrutture e grandi opere. Tutti i liberisti invocano la “green economy”; che altro non è che l’ennesima strategia per rivitalizzare quell’economia del profitto che dissangua l’ambiente fisico e i lavoratori, sfruttando il bisogno di qualità ambientale attraverso prodotti e processi, che spesso solo all’apparenza sono meno impattanti. La “green economy” ritarda una presa di coscienza nei confronti della grave crisi e dell’impossibilità di affidare alla sola innovazione tecnologica la risoluzione dei problemi.
Le destre, emblematico è il governo italiano, persistono con un folle negazionismo astorico e ascientifico come prova lo stesso rifiuto di firmare un documento di conferma dell’impegno assunto al vertice di Parigi per abbattere le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030 e del 100% entro il 2050. Infatti, il Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima, ricalcando la Strategia energetica nazionale predisposta dal governo precedente, si pone l’inadeguato obiettivo di diminuire le emissioni solo del 39% al 2030 e del 63% al 2050.
Potere al Popolo! schierandosi con le nuove generazioni si oppone all’inerzia del governo italiano nei confronti del cambiamento climatico e pretende che l’Europa adegui immediatamente gli attuali obiettivi in termini di abbattimento delle emissioni clima-alteranti come promesso al Cop 24 di Katowice. Con tutte le nostre forze ci adopereremo per esigere l’assunzione di obiettivi in materia di clima adeguati ai rischi che ci troviamo di fronte: bisogna ridurre, rispetto ai livelli registrati nel 2010, le emissioni del 60% entro il 2030 e del 100% entro il 2050. E per allora occorre raggiungere il 50% di risparmio energetico e il 100% di energia rinnovabile. Accettare obiettivi inferiori significa segnare già da ora il destino delle generazioni future.
Ma non basta, bisogna rimettere al centro delle nostre scelte la difesa delle risorse naturali, la salute di tutte le specie viventi, i diritti umani e la pace perché l’ingiustizia ambientale e l’ ingiustizia sociale sono intrinsecamente collegate in quanto frutto dello stesso sistema predatorio che distrugge, affama e uccide.
Il modello di sviluppo che impera divora energia e materie in maniera dissennata, inquina aria, acqua e suolo e restituisce scarti tossici non metabolizzabili che minano la salute di tutti gli esseri viventi. Riduce la fertilità e la biodiversità, devasta il patrimonio fisico culturale e sociale di città, paesi e campagne, privatizza e sottrae i beni comuni al popolo senza alcun risarcimento. Nella mala gestione dell’ambiente e delle sue risorse anche l’illegalità e la corruzione hanno terreno fertile per espandersi commettendo un numero crescente di reati ambientali. A tutto questo si accompagna la crescita di nuove forme di sfruttamento del lavoro, nuove schiavitù e un peggioramento dei servizi fondamentali, dalla sanità alla scuola, dai trasporti all’abitazione. Le diseguaglianze si accentuano così come l’impoverimento degli strati socialmente ed economicamente più deboli. I pochi che beneficiano di questo sistema mettono in campo azioni sistematiche per escludere la maggioranza dalle opportunità di emancipazione e miglioramento delle condizioni di vita. E non dimentichiamo la morte nei nostri mari di migliaia di persone che scappano da regioni impoverite e desertificate e che il benessere dell’occidente è stato raggiunto anche con l’impoverimento di popoli cui abbiamo rubato risorse, sostituito le nostre colture industriali ai loro regimi alimentari, distrutto le loro tradizioni. In nome di questo sviluppo, che chiamano “aiuto”, si continua a saccheggiare altre regioni e altri popoli e trasformare i fuggitivi da nostri simili in cerca di salvezza in nemici da abbattere.
Potere al Popolo! si oppone allo sfruttamento dell’essere umano e dell’ambiente perché si tratta della stessa battaglia, è lo stesso nemico che dobbiamo sconfiggere. Così come non scendiamo a compromessi con lo sfruttamento dei lavoratori, con il sistema patriarcale e con le logiche discriminatorie, allo stesso modo non scendiamo a compromessi con la distruzione dell’ecosistema.
Il collasso del sistema delle infrastrutture, messo in evidenza dal crollo del ponte di Genova testimonia l’inganno del liberismo e delle privatizzazioni. Bisogna rompere la dittatura del capitalismo finanziario che fa prevalere il profitto sul diritto del lavoro e sulla cura dell’ambiente, riconoscendo la centralità del controllo popolare nei processi produttivi e nella gestione dei beni comuni e delle attrezzature collettive. Per questo bisogna innanzitutto far prevalere alla logica del profitto nella gestione delle risorse idriche, la volontà popolare espressa nel referendum del giugno 2011 come acqua bene comune.
Per fare questo bisogna intraprendere una trasformazione radicale della relazione tra esseri umani e natura, del modo in cui produciamo, consumiamo, utilizziamo le risorse naturali del pianeta, lavoriamo, abitiamo il pianeta, organizziamo le nostre attività, e il modo in cui ci relazioniamo tra noi, a partire da alcuni principi di base, che sono riconducibili sia all’ecologia profonda che all’ecosocialismo:
- Agire ora e con determinazione affinché l’impatto dell’attività umana sull’ecosistema rientri all’interno di una soglia tale da offrire un futuro alle generazioni che verranno.
- Crediamo in una scienza e in una comunità scientifica libere e indipendenti dalla logica di sfruttamento della natura e della forza lavoro umana proprie della cultura capitalistica. Riteniamo dunque incontrovertibile la validità degli studi che da anni prefigurano un imminente collasso dell’ecosistema terrestre dovuto all’attività antropica ed auspichiamo che anche lo sviluppo tecnologico e di conoscenze non sia guidato dal mero principio del profitto, ma dalla volontà di beneficiare con i nuovi risultati della ricerca la comunità umana.
- Date l’incompatibilità e l’enorme responsabilità del capitalismo nei confronti della crisi ecologica, occorre comprendere che la questione ecologica appartiene a un ambito più ampio, in cui rientrano ad esempio il movimento femminista, anti militarista, antinucleare, di liberazione omosessuale (LGBT), ovvero tutte le lotte per il superamento delle relazioni di dominio.
- Ripudiamo una concezione di dominio e sopraffazione nei confronti degli altri esseri viventi e sosteniamo un’etica comprensiva che allarghi i confini umani abbracciando tutte le specie.
- Il produttivismo finalizzato al profitto è la causa del degrado socio ambientale: emancipazione sociale e preservazione degli ecosistemi devono viaggiare insieme. Questo significa subordinare la produzione in funzione dei bisogni sociali e delle esigenze della protezione dell’ambiente, privilegiando il valore d’uso sul valore di scambio. Allo stesso modo, le tecnologie devono servire ad accrescere il tempo libero e quindi il benessere delle persone, e non solo il consumo.
- L’uguaglianza tra tutti gli abitanti della terra implica un travaso di confort e di ricchezza dal ricco Nord del mondo verso i popoli del Sud; questo vale anche nei rapporti tra Nord e Sud d’Italia. Tutti hanno il diritto a vivere bene e a emanciparsi, ma nessuno a sprecare. La sobrietà migliorerà salute, ambiente e convivialità.
- I rapporti gerarchici coercitivi e la crescente marginalizzazione sociale, economica e politica dei gruppi più fragili può superarsi solo tramite il coinvolgimento diretto delle persone nella definizione e nella decisione di ogni fattore a impatto collettivo: dalla produzione, all’identificazione dei servizi, alla definizione dell’habitat.
- Una pianificazione democratica dei territori deve comprendere le virtù sociali della cooperazione, la solidarietà, il mutualismo e la valorizzazione delle differenze.
Nel concreto significa porsi degli obiettivi ben precisi, che ovviamente non sono ascrivibili alla sola questione ambientale.
Innanzitutto dobbiamo intraprendere una transizione nel campo dell’energia con l’uscita immediata dalla dipendenza dai fossili nemici del clima e produttori di emissioni. Bisogna fermare le estrazioni di petrolio e gas, le concessioni per esplorare il sottosuolo alla ricerca di nuovi giacimenti e lo sfruttamento della geotermia elettrica industriale, perché non rinnovabili e inquinanti.
Lotteremo contro il Tap, le trivelle per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi nel sottosuolo e in mare e lo stoccaggio del gas in Pianura Padana. Siamo a un bivio anche del nostro modello economico finanziario fondato sullo sfruttamento di risorse quasi a gratis: le risorse petrolifere non sfruttate dovranno rimanere tali e il valore in borsa di queste riserve deve diventare pari a zero.
L’economia che dobbiamo sostenere non potrà più contare su risorse facilmente disponibili, dovrà per forza subire un radicale cambiamento che chiude i cicli dei prodotti, nulla di rischioso per la Terra e gli esseri viventi deve tornare nell’ambiente. Siamo esposti quotidianamente all’Inquinamento del suolo, aria, cibo, acqua, e all’elettrosmog che ci circonda e ci compenetra invisibilmente. Decarbonizzare non è sufficiente occorre azzerare l’inquinamento e azzerare i rifiuti.
Gli sforamenti continui delle soglie di guardia del Pm10, O3, NO2, e di altre sostanze nocive dimostrano l’inadeguatezza e il ritardo nell’adottare delle misure emergenziali, dei piani di risanamento dell’aria e strategie nazionali integrate. Occorre cambiare il modo di muoversi riducendo drasticamente il numero di auto per abitante attraverso il potenziamento del trasporto pubblico, ecologico e accessibile a tutti, il potenziamento delle piste ciclabili e una pianificazione integrata dell’uso dell’suolo e della mobilità.
L’inquinamento elettromagnetico continua ad essere occultato e con il programma 5G ( già in fase di sperimentazione in alcune città Italiane) che prevede l’installazione di un numero molto elevato di nuove antenne nelle città, in campagna e nei parchi, rischia di acquisire dimensioni inestimabili in relazione ai danni che può provocare alla salute pubblica. Ci sono in gioco molti miliardi di guadagni per le multinazionali del settore e pur di proteggere questi interessi si espone la popolazione a rischi potenzialmente apocalittici. Gli studi scientifici dimostrano infatti una relazione di causa-effetto tra l’esposizione a radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti e l’insorgenza del cancro e malattie di vario tipo tra cui quelle neurologiche e cardiache (vedi Millera, Environmental research, 2018).
L’agricoltura industriale e gli allevamenti intensivi spingendo le produzioni a livelli eccessivi incentivano l’utilizzo di sostanze tossiche come pesticidi, diserbanti (glifosato) e antibiotici, causando immensi danni alla salute degli esseri viventi e andando a contaminare l’aria, le acque e il suolo. Vogliamo raggiungere la piena attuazione del PAN pesticidi post 2019 (in applicazione della Direttiva UE sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi, recepita dal Decreto Legislativo n. 150/2012), che prevede il divieto di utilizzo dei pesticidi ad elevata tossicità e la commercializzazione e l’utilizzo di prodotti fitosanitari nocivi per le api e gli altri impollinatori, nonché di vietare definitivamente il glifosato entro e non oltre il 2020 e sostituire pratiche ecologiche al diserbo chimico.
L’inquinamento del suolo è uno dei più gravi problemi della Terra e deriva principalmente da infiltrazioni di liquidi provenienti da discariche non controllate; interramento e dispersione dei rifiuti; scarti industriali rilasciati nel terreno, incluso la percolazione di acqua contaminata; utilizzo di pesticidi, erbicidi o fertilizzanti; estrazione di idrocarburi, residui bellici, e test nucleari. Le microplastiche fanno ormai parte della nostra catena alimentare, l’Università australiana di Newcastle ha stimato che ognuno di noi ne ingerisce circa 250 grammi ogni anno. Ne deriva che l’azzeramento dell’inquinamento non può che passare da un azzeramento dei rifiuti.
I rifiuti sono l’ombra dei nostri consumi. Zero rifiuti significa cambiare profondamente i nostri consumi e il sistema produttivo che su di essi si fonda, l’uno non ha priorità politica rispetto all’altro. È fondamentale intervenire a monte, a partire dalla riduzione dei consumi e la riprogettazione dei prodotti. Il riciclo non rappresenta una soluzione del problema ma una misura (necessaria!) per arginarne gli effetti. Se da una parte il riciclo riduce la quantità di rifiuti da smaltire e l’impatto ambientale dell’estrazione e raffinazione di materie prime, dall’altra ha anch’esso un costo ecologico dovuto alle attività di raccolta, trasporto, trattamento, rimanifattura e così via.
Per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici (come ad esempio l’innalzamento dei mari, la desertificazione e i fenomeni metereologici estremi), serve una trasformazione concreta e radicale nella gestione del territorio, dalla mobilità alla realizzazione di strutture abitative, produttive e sociali in modo da assicurare la qualità di aria, acqua e suolo, in quanto infrastrutture ambientali fondamentali alla qualità della vita umana e non.
Ci opponiamo alle grandi opere inutili, a partire dalla Tav, il Mose, il Terzo Valico, la Pedemontana e molte altre, perché non sono né giustificate da reali bisogni né da valutazioni costi-benefici positive, ma solo dagli enormi e duraturi profitti del partito trasversale degli affari nazionale e internazionale, fatto di banche, di multinazionali del tondino e del cemento, di cosche del malaffare annidate nel cuore stesso dello stato. Si alimentano con denaro pubblico, sottraendo risorse per opere utili e indispensabili per la messa in sicurezza e la bonifica dei territori. Insieme alle grandi opere, bisogna dire basta anche alle cattedrali commerciali e logistiche della grande distribuzione, che non solo devastano il territorio e protraggono un modello insediativo basato sull’automobile, ma distruggono le economie locali. Basta anche alle espansioni infrastrutturali di porti e aeroporti, che sono funzionali solo al turismo, al profitto delle multinazionali e ai politici di turno. Ci opponiamo anche alle Grandi navi, non solo nella Laguna di Venezia, dove oltre a inquinare distruggono un ecosistema unico al mondo sul quale si sorregge la città, ma in tutti i porti italiani. L’impatto del crocerismo è profondamente dannoso e non porta benefici economici concreti alle comunità che ne devono sostenere i costi ambientali e sociali.
Il consumo di suolo è un’emergenza perché il suo sfruttamento e la cementificazione sono un rischio sia ambientale che sociale. Il suolo non solo fornisce il supporto fondamentale a moltissime funzioni organiche, ma la sua occupazione a macchia di leopardo va a detrimento di un progetto politico di società decentrata, dove le comunità locali possono disporre di spazi di socialità non mercificata, luoghi per costruire e vivere ed emanciparsi. Fermare immediatamente il consumo di terre naturali, fertili e non ancora edificate deve diventare una delle priorità per qualsiasi nuovo piano territoriale e strategia per il clima.
Oltre a proibire un ulteriore consumo di suolo è indispensabile riforestare, conservare e ripristinare il verde e la biodiversità terreste e marina; bonificare e mettere in sicurezza idrogeologica e sismica i nostri territori; adottare tecniche agricole non invasive; e riqualificare il patrimonio edilizio esistente abbandonato, dismesso, sottoutilizzato, inutilizzato per soddisfare tutti i bisogni attuali e futuri. Le trasformazioni urbane e rurali ammissibili devono essere subordinate al mantenimento dell’approvvigionamento idrico e sulla concreta possibilità di produrre cibo sano per tutti.
La percentuale di emissioni di gas serra attribuibile al settore dei trasporti è circa il 24% (ISPRA 2016), il che significa che bisogna sviluppare una nuova visione della mobilità, della rete dei trasporti e degli insediamenti, a partire da una migliore utilizzazione delle infrastrutture esistenti, dal potenziando del trasporto pubblico, e favorendo la mobilità non motorizzata di pedoni e biciclette.
Va combattuta la speculazione urbana orientare le scelte urbanistiche non al profitto ma ad assicurare l’accesso a una casa dignitosa, ai servizi, al trasporto pubblico a tutti gli abitanti indipendentemente dal loro reddito. La pianificazione urbana e territoriale deve assumere una valenza strategica in funzione di una ri-organizzazione degli spazi, delle attività, della mobilità e delle relazioni volta a una conversione ecologica.
Le migrazioni sono strettamente connesse a questo modello di sviluppo e i cambiamenti climatici ne esacerbano le conseguenze. La deforestazione, la desertificazione, e gli sfratti di intere comunità locali per effetto di progetti di sviluppo come dighe, centrali elettriche o per l’estrazione di materie prime, continueranno ad alimentare il flusso dei migranti. Non può esserci una giustizia ambientale senza accoglienza, senza il riconoscimento dei diritti a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla loro provenienza e status sociale, politico o religioso.
L’approvvigionamento delle risorse, dall’acqua al petrolio, dai suoli fertili, alle terre rare saranno sempre di più le cause principali di conflitti devastanti. I sistemi e le produzioni militari sono fra i maggiori responsabili delle manomissioni dell’ambiente, perpetuatori di guerre di carattere neoimperialista che generano devastazioni e di inarrestabili flussi migratori. Il taglio drastico alle spese militari è un obiettivo primario anche per recuperare i fondi per le spese sociali selvaggiamente decurtate. È inoltre indispensabile continuare la lotta al nucleare, a partire da campagne di informazione e dalla richiesta di disarmo delle circa 70 bombe termonucleari presenti in Italia, per arrestare il rischio concreto di un’apocalisse nucleare. Non può esserci giustizia ambientale senza il perseguimento della pace: chiediamo il disarmo integrale, l’uscita dalla Nato, e la riconversione di tutti i siti militari e le produzioni belliche.
Rifiutiamo l’alibi della disoccupazione che la rinuncia alle grandi opere comporterebbe, così come la scelta tra salute e lavoro. Il nostro sistema socio-economico non riconosce un’immensa quantità di lavori necessari per la sopravvivenza e il miglioramento delle condizioni di vita (a partire proprio dal lavoro necessario per ricostruire l’integrità fisica dell’ambiente) perché il Mercato non li considera utili in quanto non producono né profitto né rendita. Dobbiamo invertire tutto ciò retribuendo adeguatamente la forza lavoro da impiegare nella riconversione ecologica dell’economia, la tutela dell’ambiente, il fronteggiamento dei cambiamenti climatici così come quella da impiegare nei servizi pubblici, dalla sanità alla scuola.
Dal momento che la lotta ambientale non è solo una veste da sfoggiare ma è parte fondativa della nostra pratica politica, abbiamo bisogno di rafforzare il nostro impegno con un programma adeguato di rivendicazioni prioritarie e mobilitazioni che Potere al popolo! sosterrà a livello nazionale
- Uscita dalla produzione di energia dal carbone nella centrale di Civitavecchia e riconversione ecologica dell’area interessata. Il caso civitavecchiese è emblematico di come il capitale abbia spesso usato il ricatto occupazionale per sfruttare l’ambiente, finendo per esasperare le condizioni di salute degli abitanti. L’origine del problema è la privatizzazione della produzione energetica che ha finito per sottrarre un settore così importante dal controllo popolare e renderlo soggetto solo a logiche di profitto. In più, le ultime dichiarazioni di Enel ed esponenti del governo, di riconvertire a gas i siti decarbonizzati di Cerano, Civitavecchia, Sulcis, Fusina (VE), La Spezia e Bastardo (PG) ci mostra come l’obiettivo delle emissioni zero non sia realmente in agenda. I dati regionali riferiscono che a Civitavecchia, nel 2017, i casi di nuove malattie tumorali registrate in città, a fronte di una popolazione di 52mila abitanti, sono 349, quasi il doppio della media nazionale. Nello stesso anno la centrale ha emesso più di 9 milioni di tonnellate di gas serra, risultando la prima fonte inquinante e climalterante d’Italia. Per giustificare questo Enel ha utilizzato per decenni la tutela degli equilibri occupazionali per tenere in scacco chi si opponeva all’inquinamento. Oggi anche questo inganno cade miseramente sotto i colpi di 97 esuberi annunciati entro il 2021, pari al 30% della forza lavoro attualmente impiegata nell’impianto. Il cronoprogramma presentato dal governo presenta contraddizioni sociali sotto tutti i punti di vista: la conversione dal carbone al gas è nemica del clima e della qualità ambientale e nessuna garanzia è stata offerta in termini occupazionali. Si deve impedire che altri finanziamenti pubblici vengano utilizzati per costruire nuove centrali a gas o per riconvertire con lo stesso combustibile gli impianti a carbone di Brindisi, La Spezia, Fusina, Gualdo Cattaneo e Sulcis che invece, al pari della centrale di Civitavecchia, vanno liberati dalla ingombrante catena dei combustibili fossili. Tali risorse devono essere quindi spese per istituire nuovi centri pubblici di ricerca e produzione di energia legati esclusivamente alle fonti rinnovabili. Per questo lanciamo una grande manifestazione nella città laziale per dire basta ai ricatti occupazionali e ai fossili nella storia
- Stop ai nuovi permessi di ricerca ed estrazione petrolifera in Basilicata e la messa in sicurezza delle attività esistenti dal rischio sismico e dall’inquinamento del suolo e delle falde idriche. Il monitoraggio ambientale è spesso asservito alle oligarchie petrolifere presenti nell’area, addirittura le indagini giudiziarie hanno messo in luce le inadempienze nell’ambito della sicurezza e della tutela dell’ambiente delle multinazionali del petrolio; è quindi indispensabile affermare con forza la necessità di un controllo popolare. Le trivellazioni per il petrolio in Basilicata, targate prevalentemente Eni, Shell e Total, hanno aumentato il tasso di malattie e mortalità senza creare nessun tipo di ricchezza al territorio, quella dell’estrazione del petrolio riguarda un area vastissima che con l’aggiunta delle nuove concessioni andrebbe a devastare un terzo del territorio regionale lucano. È per questo che Potere al Popolo! lancerà un convegno nazionale a Potenza per informare la nazione, dibattere sul da farsi per il futuro di questa regione e per istruire una vertenza nazionale nel quale coinvolgere gli abitanti dei territori, le associazioni e i comitati.
- La campagna zero rifiuti comincerà con mobilitazioni nella Terra dei Fuochi, a Napoli e nella valle del Sacco (Frosinone), due aree emblematiche dei molteplici problemi ambientali e dell’inaccettabile politica nazionale – ancora succube dello Sblocca Italia e legata allo sviluppo di inceneritori, connivenze dei partiti e ingerenze malavitose.
- Controllo popolare e piani adeguati per la Terra dei Fuochi. Il problema dei rifiuti in questa zona è solo in minima parte toccata dal recente protocollo di intesa del governo. Il protocollo mette solo a punto una serie di strumenti di monitoraggio dei siti a rischio di incendio e delle conseguenze sulla salute degli abitanti (tumori e qualità dell’aria), senza però stanziare risorse e soluzioni adeguate per la creazione di nuovi siti di smaltimento. Il piano regionale prevede 15 siti di compostaggio anaerobico (inquinanti) ed alcune strutture di lavorazione della frazione secca e di quella umida. Di tutte queste strutture, per ora sono in via di realizzazione due siti di compostaggio anaerobico e due strutture di selezione del secco. Se l’obiettivo finale di Potere al Popolo! è l’azzeramento della produzione di rifiuti, si può iniziare creando una rete di controllo popolare che può sopperire temporaneamente alla mancanza di informazione e di controllo dei siti abusivi, può individuare gli utilizzatori finali delle catene di trattamento dei rifiuti e controllare l’applicazione dei criteri ambientali. Attraverso questo lavoro di controllo popolare si può sostanziare il piano regionale che prevede il blocco di nuovi impianti inquinanti, l’implementazione di piccoli impianti di compostaggio aerobico, lo spegnimento dell’inceneritore di Acerra e la bonifica dei siti.
- Bonifica e chiusura degli impianti inquinanti di Napoli Est.Napoli Est è un Sito d’Interesse Nazionale (SIN), tra i più inquinati d’Italia. Il suo disastro ambientale iniziò nel 1985 con l’esplosione di 25 dei 41 serbatoi costieri. All’inquinamento generato da quella esplosione si aggiunsero quelli dovuti alla presenza delle raffinerie (dismesse solo nel 1983), agli impianti petroliferi (terminal petroli e depositi di combustibili) ancora attivi, alla centrale elettrica di Vigliena ed ai tanti canali di scolo che, insieme al Terminal Petroli, inquinano il mare. La programmata realizzazione di un nuovo Terminal Container con una colmata/banchina di 700 metri e di un Impianto anaerobico di compostaggio di 60mila tonnellate completa il quadro di un’area di Napoli completamente soffocata da una pesante devastazione ambientale oltre che sociale. Da oltre 20 anni Napoli Est aspetta una bonifica; ad oggi, però, ci si è fermati alle conferenze di servizio ed al finanziamento di studi di fattibilità ambientali. Potere al Popolo! si mobiliterà per creare, dal tessuto associativo esistente, un controllo ed una mobilitazione popolare sugli obiettivi da raggiungere a partire dalla bonifica degli oltre 800 ettari di area inquinata e del litorale, dalla chiusura e dalla bonifica della centrale elettrica e degli impianti petroliferi, da un piano di riqualificazione (già previsto ma inattuato da una variante del piano regolatore di Napoli del 1996) ambientale e sociale.
- Controllo popolare e bonifiche nella valle del Sacco (Frosinone). Qui la questione dei rifiuti si lega a quella del consumo di suolo, dell’inquinamento del suolo e delle falde idriche e dei gravi problemi di salute. In un’area su cui insistono 623 aziende (di cui 14 classificate come altamente inquinanti e che quindi dovrebbero rispondere alla normativa Seveso), ci sono solo 58 impianti di depurazione, di cui 7 sono stati sequestrati nel 2014 come non funzionanti e non sono ancora stati ripristinati. Questo territorio, in cui sono concentrate ben 27 delle 32 discariche abusive presenti in Lazio, si trova a dover gestire anche i rifiuti solidi urbani provenienti da Roma, lavorando fino a un milione di tonnellate di rifiuti contro le 175.000 per cui inizialmente gli impianti erano stati tarati. L’impatto dell’inadeguata gestione dei rifiuti sulla salute sono comparabili a quelle dell’Ilva di Taranto. Si vive in un perenne stato di emergenza rifiuti e salute accompagnato dal rilascio indiscriminato di concessioni edilizie che vanno ad incrementare le zone cementificate, che pure ostacolano la possibilità per il territorio di filtrare almeno in parte l’inquinamento prodotto. Potere al Popolo! si mobiliterà per creare un controllo popolare che informi sui costi sociali e ambientali che i cittadini stanno pagando sulla loro pelle e un processo di partecipazione popolare sulle scelte da farsi a partire dall’aumento dei presidi sanitari, l’estensione di opere di bonifica, la nazionalizzazione delle aziende che ora inquinano aria, acqua e suolo senza scrupoli e la promozione di un economia a zero rifiuti.
- Stop al consumo di suolo. Il secondo Rapporto sul capitale naturale nel nostro Paese e quello dell’ISPRA sul consumo di suolo, entrambi del 2018, affermano che le coperture artificiali di suolo naturale continuano a crescere. Le aree maggiormente interessate sono quelle dove lo sviluppo economico è più alto; tra queste spicca la Pianura Padana, un’area che tocca tre regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Proprio in queste regioni sono state approvate delle leggi “per il contenimento sul consumo di suolo”, che in realtà restano solo degli slogan perché l’articolato contraddice l’obiettivo attraverso deroghe, escludendo moltissimi interventi dal conteggio del consumo permesso, regalando cubature, spostando i crediti di edificazione da un posto all’altro. Potere al Popolo! nella Pianura Padana intraprenderà delle campagne informative sulla fallacità di queste disposizioni regionali sia sul piano sociale che ed a istruire una vertenza sullo stop al consumo di suolo.
- Sostegno alla moratoria promossa da medici e ricercatori di diversi paesi del mondo per sospendere la sperimentazione del 5G in attesa di nuovi dati scientifici relativi al suo impatto sulla salute pubblica. Contrasto all’installazione di nuove antenne per il progetto 5G, e per la telefonia mobile generale (3G e 4G) in prossimità di siti sensibili come scuole e ospedali. A Frascati, in provincia di Roma, un gruppo di azione popolare di Pap, ha già contribuito a bloccare, tramite l’organizzazione di assemblee cittadine e sostenendo il ricorso al Tar dell’Ente Parco, l’installazione di un’antenna che Vodafone voleva installare in città di fronte ad una scuola. Anche a Torino, che è una delle città selezionate per la sperimentazione 5G, un piccolo gruppo di attivisti sta cercando di raccogliere dati per informare la popolazione circa i rischi ai quali verrebbe esposta con l’attuazione del progetto 5G, senza essere stata prima informata e consultata, e circa gli ingenti guadagni che invece ne ricaverebbero le multinazionali delle telecomunicazioni.