Il 12 giugno siamo chiamati a esprimerci su cinque quesiti referendari sul tema giustizia.
Quesiti che chiedono a cittadini e cittadine di pronunciarsi in maniera secca, con un si o con un no, su problematiche complesse ed estremamente tecniche.
Il referendum è stato proposto non attraverso la raccolta di firme e il conseguente processo partecipativo ma da nove Regioni, tutte governate dal centro destra. Complice il fatto che per l’opinione pubblica, a pochi giorni dal voto, i quesiti risultano oscuri, il rischio è di cadere nell’inganno di chi li presenta come la soluzione ai problemi della giustizia.
L’istituto referendario, come concepito dalla Costituzione, rappresenta uno strumento vitale della nostra democrazia e, quando non strumentalizzato in chiave populista, è elemento imprescindibile per un pieno esercizio della sovranità popolare. Tuttavia, i cinque quesiti su cui si voterà il 12 giugno non rispondono a questa esigenza.
Ci chiediamo come sia stata possibile l’ammissione di tali quesiti e la stroncatura di quelli che avevano ad oggetto la legalizzazione della cannabis e la questione del fine vita, presentati attraverso il lungo processo di raccolta delle firme. Temi chiari sui quali ciascuno e ciascuna avrebbe potuto esprimere la propria posizione, orientando l’agire politico sulla base di una matura coscienza collettiva.
Con questo non vogliamo dire che i referendum ammessi non sollevino questioni di vitale importanza e da affrontare con urgenza. Il sistema giustizia necessita da anni di una riforma strutturale: l’abuso della carcerazione preventiva e il mancato rispetto della presunzione di innocenza, la sospensione da incarichi amministrativi, a seguito di una sentenza non definitiva, la necessità di ridimensionare il potere delle correnti che condizionano un corretto funzionamento della magistratura, la certezza della terzietà dell’organo giudicante e l’equidistanza rispetto a quello requirente e all’avvocatura devono trovare risposta. Tuttavia, lo strumento non può essere il referendum abrogativo che taglia qua e là parti di norme senza integrare lacune e correggere distorsioni, creando così più problemi di quelli che si vogliono risolvere. Ciò che serve realmente e che da tempo chiediamo è una riforma seria che garantisca tempi certi, efficienza, imparzialità e autonomia di chi ha il gravoso compito di decidere dell’altrui libertà. Dobbiamo riportare al centro del dibattito pubblico l’applicazione di istituti come amnistia e indulto, sanciti dalla nostra Costituzione, affinché nelle carceri non si raggiungano livelli di sovraffollamento incompatibili con il rispetto dei basilari diritti umani.
Questo referendum non è la soluzione. Sottrarsi alla scelta binaria che implica il voto referendario e costringere la politica a individuare risposte articolate a temi complessi è per noi l’unica strada percorribile.