Un commento all’intervista alla ministra Catalfo
Nei giorni scorsi la ministra Catalfo ha rilasciato un’intervista relativa alle misure sul reddito d’emergenza: il prossimo decreto dovrebbe prevedere circa 3 miliardi per finanziarlo, per una platea che la Catalfo stima di circa 3 milioni. C’è ancora incertezza su come funzionerà.
Abbiamo fatto due rapidi conti, partendo dai dati Istat del 2018 sulla povertà assoluta – gli ultimi disponibili – e il rapporto dell’Osservatorio INPS sul Reddito di Cittadinanza del 7 Gennaio 2020. Nel 2018 in Italia c’erano 5 milioni di individui in povertà assoluta (1 milione e 800 mila circa i nuclei familiari); al 7 gennaio 2020, solo 2 milioni e mezzo di persone, corrispondenti ad 1 milione circa di nuclei familiari, percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza, per un importo medio di 493 euro mensili erogati (importo mensile erogato a domanda, non a testa).
Uno scenario possibile
Immaginando che i poveri in un anno siano rimasti invariati, avremmo quindi circa 780000 nuclei familiari poveri e senza reddito di cittadinanza, corrispondenti a 2 milioni circa di persone. Se il progetto della ministra fosse semplicemente quello di “estendere” il reddito di cittadinanza così com’è attualmente, andando a coprire anche questi individui, con i tre miliardi promessi ogni famiglia potrebbe percepire 500 euro al mese per 7 mesi e 20 giorni circa, fino quindi a Natale.
È possibile anche che la misura preveda l’erogazione di una cifra maggiore per un tempo ridotto, o una cifra minore a più persone o per un tempo più lungo, ma è evidente che la coperta resta sempre troppo corta.
Sia chiaro: di fronte alla portata della crisi sociale ed economica in atto anche una misura del genere – che sarebbe insufficiente, comunque configurata – è doverosa e da sostenere, soprattutto perché, di fronte agli appetiti mostrati da Confindustria, nemmeno quei tre miliardi sono sicuri.
Una misura insufficiente
Il problema è un altro. Siamo davanti a qualcosa di cui a stento riusciamo a vedere la portata, ma che sicuramente non terminerà nel giro di pochi mesi. La crisi economica, già ampiamente prevista per il 2020, è deflagrata nel modo peggiore: l’Italia, per una serie di debolezze e limiti strutturali, rischia di perdere quote consistenti di ricchezza. Pensiamo al solo turismo, che influisce per il 10% sul PIL e che quest’anno potrebbe essere ridotto al 2-3%, con circa 30.000 B&B, ad esempio, che rischiano di chiudere. Pensiamo al fatto che la quota di disoccupati aumenterà fisiologicamente, e non di poco.
Una misura degna di menzione dovrebbe tenere conto non solo delle famiglie in povertà assoluta ancora escluse dal Reddito di Cittadinanza, ma anche di quelle in povertà relativa (3 milioni, nel 2018), la cui condizione non è di certo migliorata, nonché di coloro che non rientravano in queste fasce ed ahinoi, con la crisi, ci entrano. Parliamo di gente che lavorava e portava avanti dignitosamente una famiglia e che è rimasta o rimarrà a casa, o che, a causa di contratti di merda, percepirà una cassa integrazione di 500 euro; parliamo di gente che la crisi ha spinto vertiginosamente verso il basso, potenzialmente tutto il lavoro privato, visto che il pubblico, al momento, ha almeno la garanzia dello stipendio.
Non c’è più tempo!
Per far fronte alle esigenze di milioni di lavoratrici e lavoratori, che di fronte hanno prospettive drammatiche, non bastano 3 miliardi, ne servono molti di più. Il Governo può spendere senza i limiti imposti dalle regole di bilancio europee, ma la spesa in deficit proverebbero a farla ricadere, presto o tardi, sempre sulle spalle di chi lavora.
Non possiamo permetterci di attendere. Questo è il momento in cui strappare quanti più soldi possibile per i nostri, per il popolo che lavora, per gli artigiani, i piccoli commercianti, i collaboratori domestici, le precarie e i precari, chi lavora a nero; questo è il momento di esigere che le misure di sostegno ai redditi da lavoro siano finanziate non con l’ennesima ipoteca sul futuro, ma andando a prendere i soldi dove sono, nella ricchezza privata delle famiglie ultrabenestanti, tra i profitti e le rendite dei grandi industriali italiani, tra il sommerso, l’elusione e l’evasione fiscale.
La nostra proposta
Secondo il sito di ricerca lavoro Indeed, lo stipendio medio netto di un operaio in Italia, basato sugli annunci pubblicati negli ultimi 36 mesi, è di 968 euro al mese: parliamo di una cifra bassissima, inferiore di qualche centinaio di euro a quelle previste dai grandi contratti collettivi nazionali che però spesso non vengono applicati. L’80% di questa cifra è 778 euro, arrotondati a 780 diventano pari al massimo erogabile secondo l’attuale legge sul Reddito di Cittadinanza. È evidente che ci attestiamo su cifre modestissime, proprio per dare il senso della fattibilità della nostra ipotesi.
Sommando gli autonomi e le partite IVA già destinatari delle misure del Cura Italia, più gli esclusi, più gli attuali percettori di RdC si arriva a circa 10 milioni di persone.
Noi proponiamo di erogare a costoro 780 euro mensili, pro capite, per 12 mesi rinnovabili. Il costo sarebbe di circa 93 miliardi. Sembra una cifra enorme, ma non lo è. In Italia i patrimoni privati delle famiglie arrivano alla cifra monstre di 9743 miliardi. Il 10% più ricco possiede il 57% del totale, cioè 5500 miliardi. Un imposta straordinaria del 10% su quei 5500 miliardi significherebbe 550 miliardi immediatamente disponibili per reddito, spese sanitarie, servizi di welfare e tutto ciò che serve a ripartire.
780 euro al mese, per 12 mesi, per 10 milioni di persone = 93 miliardi
Imposta straordinaria del 10% sui patrimoni del 10% più ricco della popolazione = 550 miliardi
E a regime?
Fermo restando che un’imposta patrimoniale anche più modesta è sacrosanta, e va finalmente introdotta e mantenuta, non stiamo tenendo conto dei capitali sottratti al fisco da evasione ed elusione fiscale. Se soltanto si riportasse il livello di evasione italiano a quelli dei principali Stati europei si potrebbero recuperare 60 miliardi l’anno.
Confindustria intanto scalpita…
Abbiamo già parlato dell’esigenza di redistribuire la ricchezza nella campagna che lanciammo a Novembre scorso. Allora era necessario, oggi è necessario, urgente e irrimandabile, anche perché la nostra controparte si muove. Gualtieri ha promesso a Confindustria 200 miliardi di prestiti dalle banche garantiti al 90% dallo Stato (forse al 100%): vuol dire iniettare liquidità nelle casse esangui delle imprese che però possono permettersi di non onorare i debiti, tanto paga l’odiatissima cosa pubblica. Gli imprenditori di questo paese si preparano ad estorcere quanto più denaro possibile per ripartire a condizioni lavorative peggiori delle precedenti, fino alla prossima pandemia.
A loro sono stati promessi 200 miliardi, noi possiamo accontentarci della metà. Ma dobbiamo essere duri e determinati, perché l’alternativa è un futuro peggiore di ciò che ci siamo lasciati alle spalle.
Non ci sacrificheremo ancora una volta per riempire le tasche di qualcun altro.