Non sono pochi i media che presentano l’elezione di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico come un vero e proprio “evento”, che segnerebbe una discontinuità nelle politiche di quello che finora è stato il partito del Jobs Act, della Buona Scuola, del sostegno ai governi tecnici che hanno riformato le pensioni, aiutato i ricchi, tagliato i servizi pubblici. Su questa linea di esaltazione della “radicale” Schlein troviamo anche molti ceti politici della fu sinistra che sperano di uscire dalla loro residualità potendo entrare finalmente, senza perderci troppo la faccia, nel PD.
Così, in un contesto in cui non c’è tanta speranza, nella confusione ideologica di questi anni, a furia di sentire ripetere ovunque questa narrazione di Schlein “rivoluzionaria” comoda anche per la destra, non sono pochi gli elettori di sinistra che finiscono per rilanciarla sui social, riaprendo un credito verso il PD, rischiando di farsi utilizzare per l’ennesima volta.
Ma stanno davvero così le cose? Che rapporto c’è fra narrazione e realtà? Chi è davvero Elly Schlein? È importante fare chiarezza per evitare di inseguire l’ennesimo evento mediatico, l’ennesima emozionalità indotta, e concentrarci invece su ciò che è davvero importante.
- Partiamo dalla prima narrazione: “Schlein ha entusiasmato, ha portato le masse alle primarie”.
Una banale analisi dei dati ci dice che non è così. La partecipazione che ha attivato il PD per queste primarie è di molto inferiore al passato. Veltroni fu incoronato con 3 milioni e mezzo di voti, Bersani sopra i 3 milioni, Zingaretti pochi anni fa arrivò comunque a 1,6 milioni… Qui siamo poco più di un milione. Quindi Schlein non è riuscita a “riattivare” granché, non esiste niente di “nuovo” intorno a lei. È andato a votare lo stesso pubblico, ma in tono minore, di elettori PD che era andato in passato.
- In secondo luogo, è vero che “ora che è segretaria Schlein avrà il potere di cambiare il PD”?
Molto difficile. Per la prima volta nella storia delle primarie Schlein perde fra gli iscritti del PD, mentre vince nell’opinione degli elettori delle aree metropolitane. Questo vuol dire che nella direzione nazionale potrebbe trovarsi in minoranza. Inoltre non ha il controllo dei gruppi parlamentari, né di tanti amministratori regionali e locali.
Come farà a gestire un partito in queste condizioni? Il PD ha dimostrato di essere abilissimo a logorare segretari più rappresentativi. Quello che sanno fare bene è la battaglia interna fra le correnti… Per cui Schlein ha tutt’altro che un potere reale per cambiare radicalmente la linea.
- Ma, e arriviamo al punto vero, la vuole poi cambiare la linea?
Come sottolineavano in questi giorni diversi analisti di area PD, i discorsi pubblici di Bonaccini e Schlein erano tutto sommato sovrapponibili. Era differente il marketing, non la sostanza. Il senso dell’“operazione Schlein” è che siccome Bonaccini insiste su uno spazio già saturato da Renzi e Calenda, Schlein può recuperare qualcosa su “diritti civili” fra chi ha sempre votato PD e ultimamente si è disaffezionato, soprattutto al Nord, dividendosi il lavoro con Conte che farebbe la gamba più “sociale”, soprattutto al Sud.
Questo è il motivo per cui è stata sostenuta da pezzi grossi e anche centristi del PD, come Franceschini, e non da una qualche “base militante di sinistra” opposta alle “dirigenze corrotte”.
Certo, a leggere la sua mozione, ci sono tanti buoni propositi. Ma c’è da avere più di un dubbio sul fatto che si tradurranno in qualcosa. Su guerra, NATO e atlantismo, Schlein è allineata alla politica PD. Su autonomia differenziata e altre questioni di carattere sociale e politico dirimenti, non è in opposizione. Dei trattati europei Schlein non contesta nulla. Se si va a vedere poi la sua attività da amministratrice in Emilia Romagna – vicepresidente con Bonaccini! – non si nota alcun elemento di discontinuità.
- “È comunque importante che sia giovane, donna, ecologista etc”.
Come Potere al Popolo non siamo indifferenti anche alle questioni simboliche e sicuramente nella politica italiana vorremmo vedere più giovani e donne – d’altronde è quello che abbiamo praticato sin dall’inizio della nostra storia cinque anni fa! Ma questo elemento preso in astratto non basta.
Schlein non è una “outsider” o un’Ocasio Cortez, checché se ne pensi della politica statunitense. Proviene da una famiglia ricca, ha avuto una carriera politica lineare, si è sempre mossa dentro il campo del PD, ha avuto sin da subito sponsor importanti.
Ma, al di là di questo, bisogna sempre misurare le questioni simboliche con le strutture reali, altrimenti si prendono cantonate enormi. Soprattutto, dobbiamo uscire da una concezione personalistica della politica, che è tipicamente liberale. Le persone contano, ma fino a un certo punto. Molto più importante è guardare alla natura delle forze in campo, alla loro funzione storica, ai rapporti di classe. Il progetto del PD ha una sua natura definita e svolge una funzione di tenuta istituzionale. Sulle questioni di “contenimento interno” (migranti, decreti sicurezza, sostegno alle imprese contro il conflitto di classe), così come di allineamento verso l’esterno, Schlein è perfettamente dentro questa storia.
Vedremo ora cosa accadrà, se questa operazione di marketing riporterà qualcuno al voto per il PD, se invece il PD alla fine si spaccherà, se i ceti della fu sinistra si faranno riassorbire in un centro-sinistra “rinnovato”… Le varianti al momento sono molte, dipendono anche dal prossimo turno di amministrative, dall’evolvere della crisi internazionale, dai cicli mediatici: quanti “salvatori” abbiamo visto apparire negli ultimi anni e poi rapidamente declinare?
Nell’essenziale non cambia niente, visto che tutti questi movimenti sono ridefinizioni interne a un campo politico da cui non possiamo aspettarci nulla, perché è strutturato contro i nostri interessi. Resta invece quello che dobbiamo fare noi, che come Potere al Popolo abbiamo iniziato solo cinque anni fa, e che abbiamo l’onestà di dire che facciamo ancora troppo poco e in pochi posti:
- a) suscitare lotte, conflitti, dibattiti culturali, avvicinare le persone e soprattutto alla politica in modo aperto e persino gioioso;
- b) lavorare sulla controinformazione e costruire i nostri organi da cui esprimere visione del mondo, provando verticalizzazione mediatiche;
- c) costruire un’organizzazione autonoma dalle varie sfumature della borghesia, quadri dirigenti moralmente irreprensibili e competenti, legati organicamente alle masse;
- d) farci trovare pronti per quando le contraddizioni del sistema-Italia, finora solo procrastinate, appaiono sulla scena e in quel momento essere in grado di orientarle anche se parlano linguaggi e forme diverse da quelli ereditati.
Sappiamo di vivere un momento difficile, in cui sia come movimenti sociali che come avanguardie anticapitaliste difficilmente riusciamo a incidere, per cui da un lato siamo tentati di abbandonare, dall’altro di cercare una qualche scorciatoia facendo entrismo – una volta nei 5 Stelle, un’altra nel PD… Ma sappiamo pure che è esattamente questo tatticismo, questo corto respiro, che ha ucciso in Italia la possibilità che si mantenessero o si creassero forze di alternativa, a differenza di quanto accaduto in Spagna, in Francia o in Sudamerica, dove pezzi di sinistra si sono messi con pazienza a costruire fuori dal campo del centrosinistra, per poi al momento giusto affermarsi.
D’altronde l’unico momento in cui nel nostro paese corporativo e conservatore si è dato qualcosa di “rivoluzionario” è stato proprio quando, prima il PCI, poi le avanguardie di movimento, si misero con pazienza – ci vollero anni – a costruire uno spazio autonomo, con i suoi valori, le sue differenze anche estetiche, le sue pratiche che si rivolgevano innanzitutto agli sfruttati e non al mondo del ceto medio “già incluso”…
Certo, ci vuole tempo. Ma il tempo a cui alludiamo non è il tempo del rimando e del sacrificio, è il tempo delle belle conoscenze, delle lotte, della soddisfazione della casa che tiri su – anche questa è vita piena!