Fonte: Contropiano
di Sergio Cararo
Quando un organismo umano è in crescita, occorre sempre prendere misure nuove; per i vestiti, le scarpe, ecc. Se qualche genitore volesse continuare a infilare scarpe o pantaloni piccoli ad un organismo che cresce, o si troverebbe in seria difficoltà o bisognerebbe togliergli la potestà.
Da quello che abbiamo visto al campeggio di Potere al Popolo – chiusosi domenica a Marina di Grosseto – un organismo nato meno di dieci mesi fa e che molti davano per spacciato già il 4 marzo, saranno in molti a “dover riprendere le misure”, verificando come questo organismo sia cresciuto a dispetto di molti e di molte cattive abitudini.
Sembra essersene accorto l’Espresso che per due settimane di seguito ha provato a misurarsi con i contenuti e l’estensione di Potere al Popolo, prima con una intervista alla sua portavoce Viola Carofalo che, con quel suo dirsi “comunista e non di sinistra”, ha saltare molti sulla sedia; e poi con una specie di inchiesta in giro per l’Italia. Qualche segnale, per quanto sempre relativo e fluttuante, arriva dal sorpasso verso Leu nei sondaggi, un trend che ha fatto alzare le antenne a tanti.
Ma quelli che sembrano aver preso le misure più seriamente sono le centinaia di persone, soprattutto giovani ma anche militanti storici, che hanno partecipato attivamente al campeggio estivo, il primo “Pap Camp”.
Per tre giorni la pineta verso il mare che ospitava il campeggio ha visto materializzarsi il popolo di Pap. Tantissimi dialetti, un’organizzazione meticolosa fin nei dettagli, con tantissimi compagni giovani, silenziosi e precisi che hanno preparato, ripulito, sistemato i servizi necessari alle attività del campeggio. Una “militanza” senza strepiti ma fattiva, da far invidia all’organizzazione dei partiti di una volta.
Due le assemblee centrali molto partecipate. La prima venerdì sul percorso di strutturazione e decisionale di Potere al Popolo, la seconda sabato pomeriggio sulle scadenze delle prossime settimane per affrontare l’autunno non in ordine sparso ma concentrati sugli obiettivi.
Indubbiamente la “più spinosa” è stata la prima. La spinta a modulare Potere al Popolo su un modello partecipativo e decisionale ampio ma efficace, non poteva che mettere in sollecitazione i compagni aderenti ai partiti. Nel congresso di luglio del Pci ha deciso di non essere soggetto interno a Pap, mentre dentro il Prc la tensione tra chi vuole investire in questo progetto e chi vi si oppone è diventata altissima e pubblica. Comprensibile il tentativo di “regolamentare” il percorso evitando strappi, ma l’organismo che ha preso corpo con Potere al Popolo chiede ormai gli spazi, i tempi e le modalità adeguata per crescere ed entrare in campo pienamente. Le modalità e le visioni tipiche di una “sinistra radicale”, troppo spesso imbrigliata dalla coazione a ripetere, trovano sempre meno consenso.
Da qui la differenziazione, sia nell’assemblea che al coordinamento nazionale del giorno successivo, proprio sulle regole con cui consentire dentro Potere al Popolo una relazione tra “alto e basso” del tutto anomala rispetto al passato. Del resto sin dalla prima assemblea, quella di Novembre 2017 al teatro Italia, era stato annunciato che si sarebbe fatto “tutto al contrario”. Uno spirito questo emerso con evidenza dalla stragrande maggioranza degli interventi in assemblea.
Dunque le adesioni sono partite (fin qui quelle cartacee, da domenica anche quelle sulla piattaforma online) e tutti le aderenti e gli aderenti iscritti a Potere al Popolo saranno chiamati a pronunciarsi ai primi di ottobre sullo Statuto cioè sulle regole. La discussione ha visto polarizzarsi – approssimativamente – due ipotesi di Statuto che verranno messe in votazione e approvate direttamente dai militanti/iscritti di Pap.
L’assemblea di sabato pomeriggio è stata invece più attenta alle cose da fare e alle iniziative da mettere in campo. L’assemblea è stata aperta da una introduzione di Viola Carofalo, attenta anche ai “dettagli” sociali della realtà, che ha esplicitamente invitato a rompere gli indugi. E poi dalle testimonianze di Aboubakar Soumahoro, sindacalista Usb delle lotte dei braccianti e dei migranti, e di Marcello, un operaio della Bekaert, la fabbrica di Figline Valdarno ora presidiata dagli operai, che la multinazionale belga ha chiuso e vorrebbe delocalizzare.
Si sono susseguiti poi numerosissimi interventi per illustrare proposte di mobilitazione, senza alcuna concessione alla tradizionale “passerella”. Guido Lutrario di Usb ha invitato a preparare un appello comune e aperto per una manifestazione nazionale in ottobre a Roma che chieda esplicitamente le “nazionalizzazioni qui ed ora”. Il crollo del ponte Morandi a Genova in concessione ai privati della Benetton, le vicende dell’Ilva e dell’Alitalia, la devastazione del welfare attraverso le privatizzazioni e le esternalizzazioni, chiedono un radicale cambiamento nel paese.
Il governo si gingilla con l’”effetto annuncio”, senza metter mano praticamente a nulla. Lavoratori e utenti possono e debbono invece contare su una mobilitazione che colga questa contraddizione e la declini con una visione democratica e “di classe”.
Tra le proposte principali quella di un’assemblea nazionale a Genova entro settembre, sia per rivendicare la nazionalizzazione dei servizi e delle infrastrutture strategiche, sia per sbarrare il passo alle grandi opere inutili (che servono solo a chi le costruisce), sia per imporre le grandi opere utili alla gente dei territori (dalla casa alla sicurezza di infrastrutture e territorio) più che ai “prenditori”.
Centrali anche le mobilitazioni dei migranti contro il razzismo di stato e per una integrazione reale. Il 29 settembre si riunirà l’assemblea di “Diritti senza confini” per discutere l’agenda e i contenuti di una azione di massa contro il “modello Salvini”, ma senza dimenticare il quasi identico “modello Minniti” che lo ha preceduto.
E’ stato Giorgio Cremaschi a sottolineare come l’antirazzismo non può diventare il modo con cui “si riciclano i cialtroni di una classe dirigente e politica che ci hanno portato a questa situazione”. Nicoletta Dosio ha invitato a lavorare per connettere strettamente le lotte territoriali, dalla No Tav alla No Tap, per rimettere in campo la visione di un modello di sviluppo completamente diverso.
E’ toccato poi a Chiara Capretti (ex Opg) suscitare l’entusiasmo non solo verso l’agenda degli appuntamenti indicata, ma anche al come vivere queste mobilitazioni: con tanta grinta, allegria e determinazione.
Hanno preso poi la parola le lotte, dai fattorini di Milano ai ricercatori del Cnr di Pisa, il segretario del Prc Acerbo ed Elisabetta Canitano, medico e attivista storica a difesa della sanità pubblica e delle donne, Eurostop, i militanti bolognesi che stanno preparando “una grande festa” dal 20 settembre, per affrontare quella che definiscono “la questione settentrionale”, e quelli marsicani. Insomma, dalle aree metropolitane fino ai territori più “capillari”.
E’ apparso così in tutta evidenza che Potere al Popolo è un organismo in crescita. Lo attendono sicuramente passaggi politici (non si è parlato delle elezioni europee, ma è forte la spinta a configurarsi comunque come soggetto politicamente indipendente) e passaggi organizzativi tesi a sperimentare una diversità e una rottura – ampiamente dichiarata – con le pratiche “di sinistra” che, dopo aver provocato seri danni, sarebbero mortali se perpetuate anche nella nuova fase. Per questo è motivo di ottimismo e buonsenso il voler fare “tutto al contrario”. Per un soggetto politico nato in una fase storica difficilissima è una sfida tutta da affrontare, ma premesse e percorso appaiono estremamente interessanti.