A dicembre è uscito uno studio che mi ha fatto piangere. Intitolato Needs Study: Impact of War in Gaza on Children with Vulnerabilities and Families, è stato condotto dalla Community Training Centre for Crisis Management (CTCCM) di Gaza. Scritto in uno stile clinico, nulla del linguaggio avrebbe dovuto colpirmi nel modo in cui lo ha fatto. Ma i risultati dello studio sono stati scioccanti. Ecco alcuni fatti duri e crudi:
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il 79% dei bambini di Gaza soffre di incubi;
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l’87% di loro ha una forte paura;
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il 38% riferisce di aver fatto la pipì a letto;
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il 49% dei genitori assistiti ha dichiarato che le loro figlie/i loro figli credevano che sarebbero morte/i in guerra;
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il 96% dei bambini di Gaza ha sentito che la morte era imminente.
In parole povere, ogni singolo bambino di Gaza sente che sta per morire.
Nel marzo del 2024, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia ha rilasciato una dichiarazione molto severa sulla guerra in Sudan tra le forze armate sudanesi e le forze paramilitari di supporto rapido, entrambe sostenute da una serie di potenze straniere. La dichiarazione riportava fatti molto importanti:
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24 milioni di bambini in Sudan – cioè quasi la metà dei 50 milioni di abitanti del Paese – sono a rischio di “catastrofe generazionale”.
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19 milioni di bambini non vanno più a scuola.
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4 milioni di bambini sono sfollati.
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3,7 milioni di bambini sono gravemente malnutriti.
Il primo punto si riferisce alla totalità dei bambini del Sudan, tutti a rischio di “catastrofe generazionale”. Questo concetto, utilizzato per la prima volta dalle Nazioni Unite per descrivere i traumi e i contraccolpi subiti dai bambini a causa dei lockdown del COVID-19, significa che i bambini del Sudan non si riprenderanno dal calvario della guerra. Ci vorranno generazioni prima che nel Paese torni qualcosa paragonabile alla normalità.
Nel marzo 2022, cinque medici provenienti da Afghanistan, India, Irlanda e Sri Lanka hanno scritto un’accorata lettera a The Lancet in cui ricordavano al mondo la situazione dei bambini afghani. Nel 2019, ogni bambino in Afghanistan era nato e cresciuto durante la guerra. Nessuno di loro ha conosciuto la pace. Gli autori notano che “gli studi sugli interventi psicoterapeutici nei bambini e negli adolescenti afghani sono rari e le prove che hanno prodotto sono di bassa qualità”. Hanno quindi proposto un piano di assistenza sanitaria integrata per i bambini afghani che si basa sull’assistenza telematica e su professionisti non medici. In un altro mondo, il piano avrebbe potuto essere discusso. Alcuni dei fondi che avevano arricchito l’industria degli armamenti durante la guerra potevano essere investiti per realizzare questo piano. Ma questa non è il percorso che segue il nostro mondo.
Nel 2014, i bombardamenti di Israele su Gaza hanno causato la morte di bambini innocenti. Due incidenti a luglio hanno colpito in modo particolare. In primo luogo, Israele ha lanciato un missile che ha colpito il Fun Time Beach Café (Waqt al-Marah) a Khan Younis alle 23:30 del 9 luglio. Nel bar, una struttura provvisoria a circa trenta metri dal Mar Mediterraneo, diverse persone si erano riunite per guardare la semifinale della Coppa del Mondo FIFA 2014 tra Argentina e Paesi Bassi. Erano tutti seri appassionati di calcio. Il missile israeliano ha ucciso nove giovani: Musa Astal (16 anni), Suleiman Astal (16 anni), Ahmed Astal (18 anni), Mohammed Fawana (18 anni), Hamid Sawalli (20 anni), Mohammed Ganan (24 anni), Ibrahim Gan (25 anni) e Ibrahim Sawalli (28 anni). Non hanno mai potuto assistere alla vittoria dell’Argentina ai rigori o alla vittoria della Germania in una tesa partita pochi giorni dopo.
I bombardamenti israeliani su Gaza del 2014 ha ucciso almeno 150 bambini in totale. Quando il gruppo per i diritti umani B’Tselem ha pubblicato un annuncio per ricordare i nomi dei bambini alla televisione israeliana, le autorità televisive di Israele lo hanno vietato. Il poeta britannico Michael Rosen ha risposto alle uccisioni e al divieto con la bellissima poesia Non nominare i bambini (Don’t Mention the Children).
Non nominare i bambini.
Non nominare i bambini morti.
La gente non deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
I nomi dei bambini devono essere nascosti.
I bambini devono essere senza nome.
I bambini devono lasciare questo mondo
senza nome.
Nessuno deve conoscere i nomi dei
bambini morti.
Nessuno deve pronunciare i nomi dei
bambini morti.
Nessuno deve nemmeno pensare che i bambini
hanno un nome.
La gente deve capire che potrebbe essere pericoloso
conoscere i nomi dei bambini.
La gente deve essere protetta dal
conoscere i nomi dei bambini.
I nomi dei bambini potrebbero diffondersi
come un incendio.
La gente non sarebbe al sicuro se conoscesse
i nomi dei bambini.
Non nominate i bambini morti.
Non ricordate i bambini morti.
Non pensare ai bambini morti.
Non dire: “bambini morti”.
Anche se l’elenco è troppo lungo per essere riprodotto qui, la storia di Ayssel e Asser Al-Qumsan è emblematica. Il 13 agosto 2024, Mohammed Abu Al-Qumsan ha lasciato il suo appartamento a Deir al-Balah, nella “zona sicura” al centro di Gaza, per registrare la nascita dei suoi due figli gemelli Ayssel e Asser. Ha lasciato i gemelli con la madre, la dottoressa Jumana Arfa (29 anni), che li aveva partoriti tre giorni prima all’ospedale Al-Awda di Nuseirat. La dottoressa Jumann Arfa era una farmacista formatasi all’Università Al-Azhar di Gaza. Pochi giorni prima di dare alla luce i suoi figli, aveva scritto su Facebook che Israele prende di mira i bambini, citando un’intervista con il chirurgo ebreo-americano Dr. Mark Perlmutter durante una potente puntata di CBS News intitolata Children of Gaza. Quando Mohammed tornò dopo aver registrato i gemelli, scoprì che la loro casa era stata distrutta e che la moglie, i figli appena nati e la suocera erano stati uccisi in un attacco israeliano.
Ayssel Al-Qumsan
Asser Al-Qumsan
Dobbiamo nominare i bambini morti.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della prima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.