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Pacchetto sicurezza. Tra chiacchiere e realtà

Salvini

Da settimane, il Ministro dell’Interno, ormai uso a parlare come se ricoprisse gran parte degli incarichi di governo, ha annunciato un “Pacchetto sicurezza” che nella prima data utile dovrebbe arrivare al Consiglio dei Ministri.

Lo stesso ministro che è indagato per i reati connessi al sequestro del pattugliatore Diciotti della Guardia costiera italiana, dell’equipaggio e dei 177 richiedenti asilo soccorsi.

Le accuse formulate dalla Procura di Agrigento verso lui e il suo Capo di gabinetto, sono, come ormai noto, sequestro di persona, abuso di potere e arresto illegale. Difficilmente gli imputati finiranno alla sbarra, soprattutto il primo le cui pendenze dovranno prima essere valutate dal Tribunale dei ministri e dal parlamento, ma i reati di cui sono accusati sono estremamente gravi, comportano pene detentive intorno ai 25 anni.

Senza contare il fatto che aver bloccato la nave prima a Lampedusa e poi a Catania per 10 giorni (tutti i profughi son potuti scendere a terra nella serata di sabato 25 agosto) ha provocato o aggravato condizioni fisiche e psicologiche.
Difficile prevedere se il ministro continuerà ad insultare gli inquirenti utilizzando i vecchi stilemi berlusconiani “il popolo è con me” e ad attaccare l’Europa, o se abbasserà i toni.

Se sceglierà di accelerare la spinta securitaria per ovviare al finora mancato soddisfacimento delle proposte fatte in campagna elettorale, quelle che oggi sono solo dichiarazioni frammentarie, voci di corridoio, o esternazioni, potrebbero divenire una proposta organica.

Circola una bozza di riforma della normativa sull’asilo, composta da 9 punti, alcuni dei quali ripresi da precedenti governi, altri ad oggi estremamente vaghi.
Il primo punto, già annunciato poco dopo Ferragosto consiste nel velocizzare la costruzione o la riapertura dei CPR (Centri Permanenti per il Rimpatrio, gli ex CIE) e raddoppiare il periodo massimo di trattenimento da 3 a 6 mesi.

L’ampliamento del numero (uno per regione) era già stato promesso dal precedente inquilino del Viminale, Marco Minniti, che poco o nulla è riuscito a fare. Ora procedono i lavori per adattare a CPR parte del CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Gradisca d’Isonzo, del Centro di accoglienza di Via Corelli a Milano (entrambi ex CIE) e di quello di Modena.

A prescindere dal rifiuto etico del concetto di detenzione amministrativa vale la pena ricordare che: tali strutture, indipendentemente dal nome (CPR è un acronimo ideato sotto Minniti), riescono a garantire il rimpatrio di non più del 50% dei trattenuti; i tempi protratti di trattenimento non servono a identificare e ad effettuare le espulsioni ma solo ad aumentare le rivolte, i tentativi di autolesionismo fino al suicidio o di fuga.

Si spenderanno altri milioni di euro e si impegneranno agenti dei diversi corpi di polizia, altrimenti destinati ad altri compiti, per trattenere complessivamente non più di 1500 persone che non hanno compiuto alcun reato penale per 6 mesi. I criminali veri, ringraziano, la sicurezza è questa?

Senza contare che almeno a Modena gli alleati di governo del M5S non vogliono una struttura che ha già un passato losco e anche a Milano la scelta non è ben accetta. Nelle regioni amministrate dalla Lega, tranne che in Friuli Venezia Giulia, i CPR non li vogliono gli stessi sindaci.

Il “pianeta Cpr” è un po’ finito sotto silenzio in questi mesi, a chi vuole meglio capire come funzionano e a cosa servono, si consiglia di leggere dal sito della campagna LasciateCIEntrare, il report dell’ispezione condotta, con l’europarlamentare Eleonora Forenza, nei centri pugliesi di Bari e Brindisi.

Il secondo punto prevede l’ampliamento del numero dei reati che possono portare alla revoca o al rifiuto dell’asilo e delle altre forme di protezione. Numerosi i dubbi di costituzionalità per una definizione così vaga ma, anche qualora venisse applicata, porterebbe ad avere numerose persone (meno di quanto si aspettano gli ossessionati dall’equazione profugo = criminale seriale) in una condizione di limbo giuridico pericoloso proprio per la sicurezza.

Non potrebbero essere rimpatriati in paesi in cui rischiano la vita, non potrebbero vivere regolarmente perché considerati “clandestini”. E anche stavolta, prendendo per buone certe generalizzazioni, la criminalità ringrazia.

Un’altra proposta che ha effetti unicamente propagandistici è quella secondo cui il “rifugiato” che torna nel proprio paese deve vedersi revocato tale status. Capita raramente (chi è fuggitivo è considerato un traditore dai governi degli stati di provenienza) e se avviene è quasi unicamente perché si ha prima acquisito la cittadinanza italiana.

Quella, Signor ministro, non può essere revocata.

Dal Viminale si vorrebbero poi fermare i “ricorsi reiterati della stessa persona per la protezione internazionale”. Minniti aveva già tolto, con il decreto convertito in legge che porta il suo nome, la possibilità di avvalersi dell’appello. Solo chi avrà l’opportunità di ricorrere in Cassazione potrà tentare di evitare un diniego definitivo. La legge non è già più uguale per tutti, caro (nel senso di costoso) ministro. Questo è plagio.

Si vorrebbe quindi restringere la possibilità di ottenere la “protezione umanitaria”. Nel linguaggio giuridico, si chiama così una delle tre tipologie di asilo previste dalla legge: mentre lo “status di rifugiato” vero e proprio (quello della Convenzione di Ginevra) è conferito a chi teme di subire persecuzioni politiche o religiose, e mentre la protezione “sussidiaria” riguarda le persone che fuggono dalle guerre o dalla pena di morte, la protezione “umanitaria” viene garantita allo straniero che, pur non rientrando nelle prime due categorie, potrebbe subire violazioni dei propri diritti in caso di rimpatrio.

Il problema è che ridurre l’accesso al soggiorno “umanitario” rischia di essere illegittimo.

Il diritto d’asilo è sancito infatti dal magnifico articolo 10 della Costituzione, molto più ampio rispetto alla Convenzione di Ginevra al punto che, secondo una sentenza della Cassazione del 2009, solo mettendo insieme le tre forme di protezione (sussidiaria, umanitaria e status di rifugiato) si può effettivamente garantirne l’attuazione.

Ciò significa che, se venisse meno la protezione umanitaria, il richiedente asilo potrebbe invocare l’articolo 10 della Carta fondamentale.
Il ministro sembra voler pensare ad una deroga di un anno per poter varare un testo unico sull’asilo. Nel frattempo, spopolerebbe con questo trofeo alle elezioni europee ma poi?

Una delle norme più perniciose che si intenderebbe introdurre è quella di negare, a chi ha una forma di protezione, la carta di identità che verrebbe sostituita da un documento di identificazione specifico. I profughi debbono sentirsi in questa maniera ostaggi le cui sorti sono negate alle decisioni delle autorità di pubblica sicurezza e del ministero dell’Interno.

Un altro punto del pacchetto è elaborato per colpire il sistema d’accoglienza (utilizzando i fondi a tale scopo predisposti per i rimpatri). Si intende smontare la sola esperienza che ha prodotto risultati come il sistema Sprar (la rete di centri di accoglienza gestiti dai Comuni), che si vorrebbe riservare solo a chi ha ricevuto almeno la protezione sussidiaria.

Ottima idea per concentrare coloro che ancora hanno e avranno la protezione umanitaria nelle mani di chi gestisce i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) che nulla rendicontano e che garantiscono spesso ragguardevoli introiti a privati.

Questo unito all’annunciato taglio di servizi considerati accessori quali l’insegnamento dell’italiano e la difesa legale, porterebbe a realizzare sempre più macro centri, militarizzati, simili ai CPR, che invece di condurre chi chiede asilo verso l’autonomia aumenterebbe sfruttamento e marginalizzazione, altro che annunciata sicurezza.

C’è poi la proposta di istituire in alcune prefetture delle “sezioni Dublino” (?). Forse si intende territorializzare l’Unità Dublino, presente a Roma al Dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, e che serve a facilitare la ricollocazione nei paesi Ue di una parte dei richiedenti asilo. Se si trattasse di questo qualcuno dovrebbe spiegare al ministro che non andrà lontano.

Fino a quando il suo governo, invece di corteggiare i più fieri avversari di qualsiasi ricollocazione come il premier ungherese Orban, di fatto capo del “Gruppo di Visegrad” e ricevuto in pompa magna martedì a Milano, non definirà proposte sensate, gli stati membri dell’UE continueranno a tirarsi indietro.

Inutile anche in tal senso la minaccia dell’altro Vice premier Di Maio, di interrompere l’erogazione dei fondi all’UE in assenza della disponibilità alla ripartizione dei profughi.

Da Bruxelles, finora, lo stanno dicendo con le buone. Se proprio si vuole affrontare il tema, visto che gran parte di chi arriva in Italia non intende rimanerci, perché il ministro dell’Interno non prende spunto da un suo predecessore e collega di partito come Roberto Maroni?

Maroni, in piena Emergenza nord africa, invece di chiudere porti, fece rilasciare a chi arrivava un permesso umanitario senza prendere le impronte digitali. In molte e molti riuscirono a raggiungere parenti e amici in Europa, perché con un permesso in tasca è più facile attraversare le frontiere.

Si tratterebbe insomma di disobbedire ai trattati europei realmente, per poi porre nuove condizioni ma ammettendo anche che in Italia, oggi, non c’è reale emergenza.

La “vicenda Diciotti”, l’escalation mediatica rispetto al blocco delle navi mercantili, umanitarie e financo militari che soccorrono persone in mare, insieme agli incontri che parrebbero inopportuni del Ministro danno l’idea di un progetto affatto privo di senso e in quanto tale molto pericoloso di dimensione europea.

Le forze della destra xenofoba si preparano a riscuotere successo alle prossime elezioni europee e, sicuramente insieme a buona parte dei partiti che afferiscono al gruppo dei Popolari, a imprimere una svolta alla politica europea. Fanno fede anche le dichiarazioni di vari esponenti di governo del paese (l’Austria) che in questi 6 mesi presiede l’Unione.

Altro che distruzione dell’UE, il progetto è, dal punto di vista politico e militare, un rafforzamento interno e un innalzamento di nuovi muri, non soltanto verso i migranti ma di stampo nettamente sovranista. Uno Stato Nazione Europeo, da contrapporre agli USA di Trump, facendo carta straccia di Ogni convenzione internazionale.

Qualcosa per fortuna si sta muovendo per contrastare, da sinistra reale, questo progetto. Anche da noi la chiusura dei porti poi, ha contribuito a far risvegliare le coscienze. Mentre i profughi della Diciotti al porto di Catania venivano liberati, una grande manifestazione antirazzista ha attraversato la città. Racconta Mimmo Cosentino, segretario regionale del Prc: «Una mobilitazione popolare che ha contribuito a trovare una soluzione alla vicenda, isolando il ministro e supportando la magistratura che ha visto come protagonisti gli attivisti dei movimenti e del volontariato. Il mondo dell’associazionismo, a partire dall’esperienza della Rete antirazzista catanese, dell’antimafia sociale, dell’Anpi e di forze politiche della sinistra reale».

Qualcosa di simile è accaduto a Milano, con uno schieramento più articolato che ha contestato la presenza di Orban e qualcosa si comincia a vedere, anche da noi, allo stato embrionale, come piccole forme di resistenza al governo che di cambiamenti ne ha prodotti ad oggi solo in peggio.

Gli uomini, le donne e i minori, liberati dalla Diciotti sono ora, con l’ausilio del Vaticano, in una struttura nei pressi di Roma. Ci sono già state le prime tensioni fra gruppi dell’estrema destra decisi a impedire l’accoglienza e fasce di movimento antirazzista. Sono segnali incoraggianti che vanno, non solo in Italia, sostenuti senza se e senza ma.
Stefano Galieni

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