Negli ultimi giorni di marzo mi trovavo in Cina nella nuova città di Xiong’an, a meno di due ore di macchina da Beijing. La città è stata costruita per ridurre il traffico intenso della capitale, ma sarà anche la casa di donne e uomini che sono desiderosi di sviluppare le forze produttive di nuova qualità della Cina e diventerà il centro di università, ospedali, istituti di ricerca e imprese che producono tecnologie innovative, inclusa l’agricoltura high-tech. Xiong’an punta a raggiungere “zero emissioni nette” di diossido di carbonio utilizzando i big data per orientare le scienze sociali nella direzione di migliorare la qualità della vita quotidiana delle persone.
La città è costruita in mezzo a un’enorme rete di laghi, fiumi e canali, con al centro il lago Baiyangdian. In un freddo pomeriggio, un gruppo di noi – che includeva i membri del team di Tricontinental: Institute for Social Research Tings Chak, Jie Xiong, Jojo Hu, Grace Cao e Atul Chandra – ha preso una barca con cui abbiamo attraversato il lago per visitare un museo dedicato alla lotta contro l’imperialismo giapponese. L’ora che abbiamo speso passeggiando per il museo e il ritorno verso l’acqua sono stati magici. Quando l’esercito imperiale giapponese conquistò la provincia di Hebei (che ha al centro Beijing), tentò di reprimere le classi popolari, compresi i contadini e i pescatori nella regione del lago Baiyangdian. La resistenza messa in piedi nell’area dal Partito comunista della Cina (Communist Party of China, CPC) portò le forze giapponesi a condurre delle rappresaglie contro i villaggi situati sulle piccole isole e sulla costa del grande lago. Il CPC, con il supporto di ex ufficiali dell’esercito, costruì la base antigiapponese Jizhong e successivamente il distaccamento di guerriglia Yanling. Che emozione essere sulle acque di questo enorme complesso di laghi, muoversi con la barca tra le isole fatte di giunchi e immaginarsi i coraggiosi contadini e pescatori che combattono contro l’esercito giapponese nei loro veloci mezzi da sbarco Daihatsudōtei!
Lo stretto legame tra le lotte di massa dei decenni precedenti al periodo della decolonizzazione che è iniziato verso la fine degli anni Quaranta del secolo scorso ha prodotto ciò che è stato poi conosciuto come lo spirito di Bandung. Il termine di riferisce all’incontro svoltosi in quella città dell’Indonesia nel 1955, che riunì i capi di governo di ventinove Paesi dell’Africa e dell’Asia per discutere e costruire il progetto del Terzo Mondo, che avanzò delle proposte di politiche specifiche per trasformare l’ordine economico internazionale e costruire una società antirazzista e antifascista. A quel tempo, la relazione tra la leadership che aveva sviluppato il progetto e le masse nei loro Paesi era organica. Quella relazione rese possibile l’idea che lo spirito di Bandung potesse diventare una forza materiale in grado di guidare un’agenda internazionalista tra i continenti di Africa, Asia e America latina (dopo la rivoluzione cubana del 1959).
Eppure, come dimostriamo, lo spirito di Bandung è stato in gran parte spazzato via negli anni Ottanta, rimasto vittima della violenza contro i movimenti anticoloniali esercitata dalle vecchie potenze imperialiste (ad esempio attraverso colpi di stato, guerre, sanzioni) e la crisi del debito imposta a questi Paesi dai sistemi finanziari occidentali (il cui valore era stato creato proprio attraverso il furto coloniale). Sarebbe fuorviante affermare che lo spirito di Bandung è vivo e vegeto. Esiste ancora, ma più che altro come un senso di nostalgia e non come il risultato della relazione organica tra le masse in lotta e i movimenti alle soglie del potere.
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Vi è un’ampia comprensione del fatto che le politiche guidate dal FMI di importare debito ed esportare prodotti non lavorati non sono più sostenibili.
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Vi è il riconoscimento che prendere ordini da Washington o dalle capitali europee non è solo controproducente rispetto agli interessi nazionali ma è anche profondamente coloniale. Un senso di sicurezza verso sé stessi si è sviluppato gradualmente nei Paesi del Sud globale, che sentono di non dover più cambiare le proprie idee ma di doverle articolare in modo chiaro e diretto.
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Vi è la consapevolezza che la crescita industriale della Cina e di altre locomotive del Sud globale (situate soprattutto in Asia) ha cambiato l’equilibrio di forze nel mondo, soprattutto nell’essere in grado di fornire fonti di finanziamento alternative per i Paesi che sono diventati dipendenti dagli obbligazionisti europei e dal FMI.
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Il senso di sicurezza ha mostrato che la Cina può aiutare ma non può salvare da sola il Sud globale, e che i Paesi del Sud globale devono sviluppare i propri piani e le proprie risorse, oltre a cooperare con la Cina e altre locomotive del Sud globale.
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L’importanza della pianificazione centralizzata è stata rimessa sul tavolo dopo decenni di discredito da parte della critica neoliberale. Il ravvedimento di istituzioni statali, inclusi ministeri della pianificazione, ha dimostrato che nel Sud globale i Paesi devono costruire e rafforzare sia competenze tecniche che iniziative di impresa nel settore pubblico. La cooperazione regionale sarà necessaria per sviluppare questo tipo di competenze.
L’Oceano è connesso al Monte Krakatau
Il Monte Krakatau è connesso all’Oceano
L’Oceano non si prosciuga
Anche se impazza l’uragano
Il Krakatau non si piega
Anche se soffiano i tifoni
L’Oceano è il Popolo
Il Krakatau è il Partito
I due sempre vicini e sempre insieme
I due connessi l’uno all’altro
L’Oceano è connesso al Monte Krakatau
Il Monte Krakatau è connesso all’Oceano.
È incontrovertibile, Sudisman scrisse dalle profondità di una prigione militare a Jakarta da cui sapeva che non avrebbe potuto fuggire che il popolo non avrebbe sopportato le contraddizioni di imperialismo e capitalismo, che prima o poi avrebbe costruito le sue organizzazioni, e che queste organizzazioni – avvolte in un nuovo spirito – si sarebbero sollevate e avrebbero trasceso le condizioni del nostro tempo. Questi momenti arriveranno, il nuovo stato d’animo si svilupperà in un nuovo spirito.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della sedicesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.