Esiste un solo trattato al mondo che, nonostante i suoi limiti, unisce le nazioni: la Carta delle Nazioni Unite. I e le rappresentanti di cinquanta Paesi hanno redatto e ratificato la Carta delle Nazioni Unite nel 1945, mentre altri Paesi hanno aderito negli anni successivi. La Carta stessa stabilisce solo i termini del loro comportamento, non crea e non può creare un mondo nuovo. Dipende dai singoli Paesi decidere se vivere secondo la Carta o morire senza di essa.
La Carta rimane incompleta. Nel 1948 era necessaria una Dichiarazione universale dei diritti umani, e anche quella fu contestata perché i diritti politici e civili, alla fine, vennero separati dai diritti sociali ed economici. Le profonde divisioni nelle visioni politiche hanno creato fratture nel sistema delle Nazioni Unite che hanno impedito di affrontare efficacemente i problemi del mondo.
Ora, l’ONU compie ottant’anni. È un miracolo che sia durata così a lungo. La Società delle Nazioni fu fondata nel 1920 e durò solo diciotto anni di relativa pace (fino all’inizio della seconda guerra mondiale in Cina nel 1937).
L’altra metà delle Nazioni Unite è costituita da una miriade di agenzie, ciascuna delle quali è stata istituita per affrontare questa o quella crisi dell’era moderna. Alcune sono antecedenti alle Nazioni Unite stesse, come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), creata nel 1919 e inserita nel sistema delle Nazioni Unite nel 1946 come prima agenzia specializzata. Altre seguirono, tra cui il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), che difende i diritti dei bambini, e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), che promuove la tolleranza e il rispetto delle culture del mondo. Nel corso dei decenni sono state create agenzie per difendere e fornire assistenza ai rifugiati, garantire che l’energia nucleare sia utilizzata per la pace piuttosto che per la guerra, migliorare le telecomunicazioni globali ed espandere l’assistenza allo sviluppo. Il loro mandato è impressionante, anche se i risultati sono più modesti. Uno dei limiti è rappresentato dai magri finanziamenti da parte degli Stati del mondo (nel 2022, la spesa totale delle Nazioni Unite è stata di 67,5 miliardi di dollari, rispetto agli oltre 2.000 miliardi di dollari spesi per il commercio di armi). Questo cronico sottofinanziamento è in gran parte dovuto al fatto che le potenze mondiali non sono d’accordo sulla direzione delle Nazioni Unite e delle sue agenzie. Tuttavia, senza di esse, le sofferenze nel mondo non sarebbero né registrate né affrontate. Il sistema delle Nazioni Unite è diventato l’organizzazione umanitaria mondiale soprattutto perché l’austerità neoliberista e la guerra hanno distrutto la capacità della maggior parte dei singoli Paesi di svolgere da soli questo lavoro e perché le organizzazioni non governative sono troppo piccole per colmare in modo significativo questa lacuna.
1. Trasferire il Segretariato delle Nazioni Unite nel Sud globale. Quasi tutte le agenzie delle Nazioni Unite hanno sede in Europa o negli Stati Uniti, dove si trova lo stesso Segretariato delle Nazioni Unite. Sono state avanzate proposte occasionali per trasferire l’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e UN Women a Nairobi, in Kenya, che già ospita il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e UN-Habitat. È giunto il momento che il Segretariato delle Nazioni Unite lasci New York e si trasferisca nel Sud del mondo, anche per impedire a Washington di punire i funzionari delle Nazioni Unite che criticano il potere degli Stati Uniti o di Israele con il rifiuto di concedere visti. Con gli Stati Uniti che impediscono ai funzionari palestinesi di entrare negli Stati Uniti per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sono già state avanzate richieste di trasferire la riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Ginevra. Perché non lasciare definitivamente gli Stati Uniti?
3. Aumentare i finanziamenti per l’umanitarismo all’interno degli Stati. I Paesi dovrebbero spendere di più per alleviare le sofferenze umane che per ripagare i ricchi detentori di obbligazioni. L’ONU non dovrebbe essere la principale agenzia di assistenza ai bisognosi. Come abbiamo dimostrato, diversi Paesi del continente africano spendono più per il servizio del debito che per l’istruzione e la sanità; incapaci di fornire questi servizi essenziali, finiscono per dipendere dall’ONU attraverso l’UNICEF, l’UNESCO e l’OMS. Gli Stati dovrebbero rafforzare le proprie capacità piuttosto che dipendere da questa assistenza.
4. Tagliare il commercio globale di armi. Le guerre non vengono combattute solo per il dominio, ma anche per i profitti dei commercianti di armi. Le esportazioni internazionali annuali di armi sono di circa 150 miliardi di dollari, con gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale che rappresentano il 73% delle vendite tra il 2020 e il 2024. Solo nel 2023, i primi cento produttori di armi hanno realizzato 632 miliardi di dollari (in gran parte attraverso le vendite delle aziende degli USA all’esercito statunitense). Nel frattempo, il budget totale delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace è di soli 5,6 miliardi di dollari e il 92% delle forze di pace proviene dal Sud globale. Il Nord del mondo guadagna con la guerra, mentre il Sud invia i propri soldati e poliziotti per cercare di prevenire i conflitti.
5. Rafforzare le strutture regionali per la pace e lo sviluppo. Per distribuire parte del potere del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è necessario rafforzare le strutture regionali per la pace e lo sviluppo, come l’Unione Africana, e dare priorità ai loro punti di vista. Se non ci sono membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU provenienti dall’Africa, dal mondo arabo o dall’America Latina, perché queste regioni dovrebbero essere ostaggio del veto esercitato dai P5? Se il potere di risolvere le controversie fosse affidato maggiormente alle strutture regionali, l’autorità assoluta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU potrebbe essere in qualche modo diluita.
Quello che sta accadendo a Gaza non è una guerra convenzionale, è un genocidio al rallentatore che si sta consumando sotto gli occhi del mondo. Mi unisco a questa iniziativa perché la fame deliberata viene usata come arma per spezzare la volontà di un popolo indifeso, a cui vengono negati medicine, cibo e acqua, mentre i bambini muoiono tra le braccia delle loro madri. Mi unisco a questa iniziativa perché l’umanità è indivisibile. Chi oggi accetta un assedio, domani accetterà l’ingiustizia ovunque. Il silenzio è complicità nel crimine e l’indifferenza è un tradimento dei valori stessi che affermiamo di sostenere. Questa flottiglia è più di un semplice insieme di barche. è un grido globale della coscienza che dichiara: no all’assedio di intere popolazioni, no alla fame degli innocenti, no al genocidio. Potremmo essere fermati, ma il solo fatto di salpare è una dichiarazione: Gaza non è sola. Siamo tutte e tutti testimoni della verità e voci contro una morte lenta.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della trentaseiesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.