La giornata di sabato 3 novembre a Trieste parla chiaro e ben al di là dei confini cittadini e regionali. Se non sono le istituzioni a impedire le parate neofasciste che propagandano violenza e valori medievali, ci pensano le donne e gli uomini in carne ed ossa insieme ai collettivi, alle associazioni e alle organizzazioni politiche e sindacali che ieri hanno animato la contro-manifestazione. I numeri sono impietosi: poco più di un migliaio i militanti di Casapound venuti in gran parte dal centro Italia; 10.000 in strada per il corteo antifascista, una presenza di massa come non se ne vedono molte in giro e come a Trieste non se ne vedevano da anni.
“Liberiamoci dai fascismi!”, “Osvobodimo se fašizmov!” recitava il titolo della manifestazione viste le numerose presenze della comunità slovena e pure di forze politiche venute da oltre confine, come le compagne e i compagni di Levica. Liberiamoci dalla pratica e dalla retorica del sacrificio, della guerra, di una patria e di un’identità fondate sul sangue. Liberiamoci di tutto ciò che esprimono le organizzazioni neofasciste (di cui continuiamo a rivendicare la messa al bando in nome della Costituzione) e che però, in modi differenti, meno grotteschi e più tragicamente reali, esprimono anche le istituzioni che governano le nostre vite.
La presenza ieri in piazza di molti migranti e richiedenti asilo, così come delle compagne di Non Una Di Meno, è stato un segnale di netta opposizione al governo Lega-5stelle e alle sue politiche discriminatorie contro i poveri e gli stranieri, contro le donne e l’autodeterminazione di genere. Politiche che, nel segno del “prima gli italiani”, accomunano indistintamente il governo e Casapound.
Ma come non riconoscere la continuità tra la retorica della difesa della Patria e le celebrazioni che, anche e soprattutto nella giornata di oggi, a cent’anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, le più alte istituzioni dello Stato compiono proprio a Trieste e nei luoghi del massacro di milioni di soldati e civili? E come non riconoscere l’affinità tra le guerre del secolo scorso e le guerre che ancora oggi i governi europei ed occidentali conducono in tante parti del mondo? E infine come non collegare la produzione e la vendita di armi, la spesa in armamenti e gli accordi con milizie e governi stranieri con le migrazioni di chi è oppresso e fugge in cerca di una vita migliore? La guerra è da sempre uno strumento nelle mani delle classi dirigenti per curare i propri interessi a scapito delle classi popolari di ogni luogo della Terra. Ed è per questo che Potere al popolo! era ieri in piazza contro ogni sua celebrazione.
Non soltanto contro i fascismi più o meno espliciti, quindi, ma altrettanto e ancor più contro chi li sdogana. Le guerre infatti non si fanno solo al di là dei confini nazionali, e c’è uno strettissimo legame tra i seminatori d’odio e gli organizzatori dello sfruttamento: la creazione di un terreno fertile agli strepiti guerrafondai, reazionari e razzisti della Lega, di Casapound e di tanti altri non è un fatto casuale. Sono state innanzitutto le politiche di massacro sociale messe in atto negli ultimi decenni dai governi di centro-destra, di centro-sinistra e dei “tecnici” secondo le ferree indicazioni dell’Unione Europea, sono stati i diritti sociali negati a milioni di persone a porre le condizioni per una guerra tra poveri che si sta trasformando in una pericolosa ondata reazionaria che Salvini sogna ed organizza a colpi di tweet, e che le stesse forze politiche che l’hanno fatta montare vorrebbero candidarsi ad arginare.
Se la paura e lo sfruttamento, così come la guerra e le migrazioni, sono dati collegati che si intersecano nella vita di tutti i giorni di milioni di donne e uomini, l’unica alternativa sono la solidarietà e il mutualismo, sono l’organizzazione degli sfruttati e la lotta per difendere ed allargare garanzie e diritti per tutte e tutti. Come Potere al popolo! non conosciamo altro antifascismo che questo, e non possiamo tollerare che sotto la medesima bandiera si mettano coloro che sono i primi responsabili della drammatica situazione in cui ci troviamo. La contestazione alla presenza nel corteo di esponenti nazionali del Partito Democratico e dei loro simboli di partito, a cui abbiamo preso parte insieme ad altre compagne e compagni che come noi e già in precedenti occasioni avevano giudicato inammissibile tale provocazione (e che a dispetto di ciò che riportano i giornali è stata pienamente legittimata dalla piazza), significa proprio questo: l’antifascismo non è una spilletta da indossare, buona per la campagna elettorale. Antifascismo è avere la forza di guardare in faccia il proprio nemico, chiunque esso sia, che abbia il braccio teso o che porti il doppiopetto. Antifascismo è la lotta per la giustizia sociale e la pace per tutti e tutte.
Perché le guerre tra poveri le vincono sempre i ricchi.