Fonte: Counterpunch
di Tom Gill
Prosecco e panettone sono finiti, la Befana ha consegnato i suoi doni. Natale è finito. Per milioni di italiani è tornato il freddo gelido della realtà. I poteri in carica cercano di mantenere la musica d’atmosfera ottimista anche all’inizio del nuovo anno. I media nazionali e internazionali affermano che dopo un lungo inverno economico, tutto sta andando nella giusta direzione per l’economia e l’occupazione. Ma la gente non la vede nello stesso modo. L’Italia resta una nazione profondamente divisa e disillusa, piena di paure per il futuro.
L’Italia, in effetti, sta in parte risentendo in modo positivo dell’economia dell’Eurozona, ma rimane fragile e le sue basi sono ancora più deboli. Negli ultimi quattro anni sono stati creati un milione di posti di lavoro – ma sono per la maggior parte lavori poco pagati e insicuri, a causa della riforma sul lavoro che ha liberalizzato assunzioni e licenziamenti entrata in vigore nel febbraio 2014. La disoccupazione giovanile è al 36%, la terza più alta in Europa, dopo Spagna e Grecia. La crescita è la più alta dal 2010 – ma è solo dell’1,7%, quasi nulla. Gli italiani stanno ancora peggio di dieci anni fa. I poveri assoluti – quelli che non sono in grado di acquistare i beni e servizi basilari- sono saliti da 3 a 4,7 milioni negli ultimi 10 anni. I salari sono stati bloccati e nell’ultimo anno sono scesi rispetto all’aumento del costo della vita. Secondo quasi tutti gli indicatori socio-economici, il sud segue in coda: il PIL pro capite nel mezzogiorno è del 44% più basso rispetto al resto del paese e il divario si sta allargando. Ma qualcuno che vince c’è. Gli stessi di sempre. I proprietari del capitale hanno inghiottito dividendi per 16 miliardi di euro, secondo le cifre annuali più recenti della Banca d’Italia (un totale di 45 miliardi di euro dal 2014). Nel 2016 il club dei milionari è cresciuto del 10%. Secondo Credit Suisse ci sono quasi 1,3 milioni con asset di sette cifre o più. L’1% più ricco ora possiede il 25% della ricchezza della nazione.
In una democrazia sana, le elezioni offrono a quelli che sono “rimasti indietro” una speranza di giorni a venire migliori. Ma sia l’economia sia la politica in Italia sono molto malati. Le elezioni sono previste all’inizio di marzo. La questione sul tavolo è che una nuova legge elettorale – che rimuova il bonus di posti per il partito vincitore – non permetterà di avere un vincitore chiaro, portando all’instabilità politica. Un ritorno ai vecchi tempi, si dice. Ma nonostante l’Italia abbia cambiato 64 governi dal 1946, è comunque riuscita ad arrivare ad un “miracolo economico” che la ha proiettata da paese economicamente arretrato dilaniato dalla guerra al gruppo delle nazioni manifatturiere più ricche.
La questione principale oggi è che partiti e quali programmi saranno presenti nel prossimo governo. La caduta del muro di Berlino e gli scandali di corruzione di Tangentopoli hanno portato alla distruzione del partito democristiano e del partito comunista italiano che sono stati il primo al governo e il secondo all’opposizione, entro i vincoli imposti dalla guerra fredda fino ai primi anni ’90. Oggi il capitalismo globale ha lanciato la sfida e le schede in Italia saranno dominate dalla destra populista e da altre forze politicamente confuse che si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutto l’Occidente.
Ancora una volta, c’è Forza Italia il partito di Silvio Berlusconi, il miliardario condannato per frode fiscale che è stato quattro volte primo ministro, entrato in politica per la prima volta 24 anni fa. Nonostante la sua condanna gli impedisca di candidarsi per il parlamento, l’81enne punta ad un altro colpo di stato piazzando un suo uomo come primo ministro. E’ ottimista anche la Lega, guidata da Matteo Salvini, che sin dalla metà degli anni ’90 è il suo principale alleato o competitor a destra.
Nato come lega Nord, partito anti-immigrati, ha abbandonato le sue radici secessioniste a favore delle sue ambizioni nazionali (per cui la parola “Nord” è stata eliminata).
C’è anche l’altro Matteo (Renzi) e i suoi Democratici, che ha guidato il governo uscente e comprende ex comunisti e democratici cristiani. Renzi (tipo Tony Blair o Emmanuel Macron) è stato primo ministro per quasi 3 anni fino al dicembre del 2016 e spera in un ritorno. I suoi risultati principali sono stati tagliare i diritti del lavoro, ma ha fatto male i conti quando ha tentato – fallendo – di demolire la Costituzione italiana, la “Magna Carta” ostacolata in blocco dai banchieri americani per completare l’acquisizione corporativa della quarta economia europea.
Il Movimento Cinque Stelle è in testa nei sondaggi, ma non per molto. E’ un movimento stile Partito Pirata fondato nove anni fa dal comico e blogger Beppe Grillo, che non ha mantenuto la promessa di scuotere la politica italiana. Grazie all’ostinazione e anticonformismo del suo leader, alla denuncia della corruzione, e al rifiuto di fare affari con altri partiti il Movimento ha ottenuto 100 seggi alla Camera e il governo di un certo numero di città. Ma a causa del mix casuale di scelte politiche di destra e di sinistra, la sua opposizione parlamentare e le sue prestazioni a livello locale sono state per lo più deboli e inefficaci. A Roma, ha subito l’umiliazione dello squallore dell’amministrazione del sindaco Virginia Raggi.
L’immigrazione sarà probabilmente uno dei primi punti di tutti e tre i principali partiti che hanno scelto una linea dura, compresi i democratici, una volta accomodanti. Quando Paolo Gentiloni è subentrato a Renzi come primo ministro un anno fa, ha stabilito come sua priorità principale quella di rallentare la migrazione in Italia: nei tre anni precedenti erano arrivati mezzo milione di migranti, più della popolazione di Firenze. A questo scopo ha stipulato un pessimo accordo con i libici che ha ridotto gli arrivi di chi fuggiva dalla guerra e moriva in Africa e nel Medio Oriente, ma ha lasciato un gran numero di uomini, donne e bambini in balia di schiavisti e torturatori. Anche i Democratici si sono uniti agli altri sulla questione dei figli degli immigrati che erano già sul suolo italiano. Renzi e Gentiloni formalmente hanno sostenuto l’idea, ma il mese scorso, negli ultimi giorni del parlamento uscente, i Democratici non si sono presentati al voto in numero sufficiente. Il Movimento Cinque Stelle nel corso degli anni ha oscillato tra una xenofobia stile leghista e posizioni più liberali – non si è presentato affatto.
Altra questione importante in agenda sarà il rapporto con l’Europa nel Paese che una volta era un baluardo dell’Unione europea. Le analisi e i sondaggi effettuati all’inizio di quest’anno hanno mostrato che solo la metà degli italiani sostiene l’euro e solo il 17% degli italiani si dichiara soddisfatto della direzione dell’UE, la metà della media UE.
Lega, Movimento Cinque Stelle e Forza Italia hanno cambiato idea sulla questione dell’appartenenza all’euro, e tutti propongono di lanciare una moneta parallela per cercare di mitigare alcuni dei suoi letali effetti economici. Il piano di Salvini è di investire 70 miliardi di euro di valore nominale in obbligazioni prive di interessi emesse dal Tesoro a favore di imprese e per le persone a pagamento dei servizi effettuati o sotto forma di riduzione delle tasse. Questi soldi potrebbero quindi essere utilizzati per pagare le tasse e acquistare qualsiasi servizio o merce fornita dallo Stato, tra cui, ad esempio, la benzina nelle stazioni gestite dalla compagnia petrolifera statale ENI. Per la Lega questo è preparare per Italexit. Per gli altri due partiti, è più uno strumento di contrattazione per costringere Bruxelles ad allentare le draconiane regole di bilancio europee che impongono l’austerità agli Stati europei.
Berlusconi, e il Movimento Cinque Stelle, così come Le Pen in Francia, stanno ricominciando a parlare di rottura con l’Euro. Il Movimento Cinque Stelle aveva promesso un referendum sull’adesione, ma Luigi Di Maio, poco dopo aver assunto la leadership del Movimento in autunno, ha dichiarato fedeltà all’UE, sostenendo che un voto popolare sull’adesione all’euro era ormai un ” ultima risorsa” se l’Europa non collabora. Berlusconi, sostituito dall’ex commissario europeo e membro del Bilderberg Mario Monti nel 2011, che durante il suo mandato come primo ministro (pieno di scandali sessuali e crisi del debito sovrano) aveva minacciato l’intero progetto europeo, sta ora cercando di posizionarsi come persona estremamente affidabile. Per quanto ridicolo possa essere, sta giocando sulla paura di Salvini e Fratelli d’Italia, che sono legati più strettamente all’eredità politica di Benito Mussolini e che ora hanno molte controparti simili nelle capitali di altri paesi europei.
I partiti principali si sono sforzati di mostrare, dopo anni di “riforme” antioperaie, la loro preoccupazione per i redditi bassi. Sia il Movimento Cinque Stelle sia Forza Italia stanno proponendo versioni di un reddito universale di base. De Maio propone un “reddito di cittadinanza” di 780 euro al mese per nove milioni di persone. Per non essere da meno, Berlusconi propone un “reddito di dignità” di 1.000 euro al mese. (L’Italia attualmente non ha un salario minimo). Né l’uno né l’altro, che costano rispettivamente 84 e 157 miliardi di euro sono credibili senza una significativa riduzione dei vincoli di bilancio europei, o un significativo aumento delle entrate fiscali. La tassa patrimoniale è stata elusa a lungo dai partiti principali e nessuno si è impegnato seriamente a evitare di perdere miliardi a causa dell’evasione fiscale. Ciò ovviamente non sorprende quando si tratta di Silvio, che è chiaramente riluttante a pagarli e sta di nuovo abbassando le tasse.
La verità è che nessuno dei partiti principali è dalla parte del 99% delle persone. L’apparizione del successore di Grillo, De Maio, all’incontro annuale dei banchieri e dei massimi dirigenti d’azienda a Cernobbio, vicino al Lago di Como, a settembre, ha ricordato a tutti che gli affari della “casta” saranno al sicuro nelle sue mani. Aggiunto all’alleanza – formale o implicita – in essere da anni fra i Democratici e Forza Italia, il recente cambiamento nello statuto dei Cinque Stelle per revocare il divieto di alleanze politiche con altri partiti (salutato come sano realismo) annuncia ancora minore possibilità di scelta alle urne.
Alcuni sperano in una scheggia a sinistra dei Democratici – Liberi e Uguali (persone libere e uguali). Ma tra i leader ci sono alcuni dei principali architetti (ex-Primo Ministro Massimo D’Alema) dell’ex grande partito comunista che si è trasformato in una cheerleader del neo-liberismo. Comprende anche ex ministri del governo Renzi (Pier Luigi Bersani). Inoltre, Liberi e Uguali ha già detto di essere pronto a collaborare con i Democratici. Gli elettori che optano per loro andranno incontro – come per le analoghe iniziative contro l’austerità e le alleanzei con le forze centriste del passato – ad altri tradimenti e disillusioni.
Potere al Popolo è una proposta più seria per quelli che vogliono una svolta a sinistra, proprio perché non cerca una via rapida per arrivare al governo ad ogni costo ma mira a costruire un nuovo movimento radicato nelle lotte sociali e per il lavoro.
Fondato a metà dicembre, Potere al Popolo è sostenuto dai sindacati di base Cobas, organizzazioni sindacali indipendenti dalle tre grandi confederazioni sindacali, che rappresentano alcuni dei lavoratori più sfruttati, molte proteste di base e movimenti sociali. Ha anche il sostegno dei centri sociali autogestiti come il Je so’ pazzo di Napoli. Anche Rifondazione Comunista e il Partito Comunista Italiano, due degli elementi più significativi della diaspora comunista hanno appoggiato il progetto. E fornisce gli attivisti e gli elettori di sinistra che, un anno fa, hanno combattuto con successo il tentativo di Renzi di modificare la costituzione, una piattaforma politica alternativa a Lega e al Movimento Cinque Stelle che hanno guidato quella battaglia.
È improbabile che potere al Popolo riesca a superare il minimo del 3% necessario per ottenere seggi parlamentari. Ma i suoi sostenitori ritengono che potrebbe alla fine diventare l’equivalente italiano di La France Insoumise di Melenchon, di Podemos Unidos in Spagna e di Momentum in Gran Bretagna (e del Partito laburista rivitalizzato di Jeremy Corbyn). C’è molto di diverso in ciascuno di loro, ma tutti cercano di combinare l’attivismo del movimento sociale con un serio progetto di sinistra per arrivare al governo.
Potere al popolo si è impegnato a rovesciare gli attacchi di Renzi ai diritti del lavoro, abolire i costi delle spese sanitarie, introdurre una tassa sul patrimonio, privatizzare le infrastrutture “strategiche”, nazionalizzare parti del settore finanziario e introdurre gradualmente forme di “controllo popolare”. Si è impegnato anche a tagliare la spesa militare e ritirarsi dalla NATO. Soprattutto, richiede l’uscita dai trattati di Maastricht e dagli altri trattati “neo-liberali” dell’UE. Sebbene non sostenga una rottura unilaterale in stile Brexit, l’indicazione della necessità di un’uscita a sinistra dall’Europa rappresenta un chiaro passaggio dalle posizioni passate europeiste adottate dalla sinistra radicale italiana, comprese le sezioni del movimento comunista. Pone anche la questione del recupero della sovranità nazionale – fino ad ora sostenuta in Italia e altrove quasi esclusivamente dalla destra neofascista e nazionalista.
Uno dei candidati di più alto profilo – tutti i potenziali parlamentari vengono scelti dalle comunità locali sulla base del loro “curriculum sociale” – è Giorgio Cremaschi. Ex leader del sindacato dei metalmeccanici della FIOM, combattente “di classe” e da lungo tempo sostenitore di una Lexit, Cremaschi ritiene che è ora di abbandonare la paura di riformare l’attuale organizzazione europea: “L’UE è un nemico e noi vogliamo rompere con lui”.
Il premio più grande per il nuovo partito della sinistra radicale potrebbe essere la gioventù italiana, il gruppo che più cerca un cambiamento radicale. La percentuale di giovani italiani più alta nell’UE non riguarda l’istruzione, la formazione o il lavoro ma, non sorprendentemente, l’enorme gruppo di migranti: 285.000 giovani hanno lasciato il Paese nel 2016, più degli stranieri che sono arrivati sulla penisola. Secondo uno studio recente il “No” in un referendum sull’adesione all’UE guadagnerebbe il 51% del sostegno degli under 45, rispetto a solo il 26% degli over 45. La posizione di Potere al Popolo attingerà a un filone molto ricco che altrimenti continuerà ad essere attratto e manipolato, con conseguenze sempre peggiori, da Salvini, Berlusconi & Co.