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LETTERA DI C., MARINAIO SULLA ALAN KURDI, ATTIVISTA DI POTERE AL POPOLO!

Ho 37 anni, sono un marinaio professionista, laureato, e purtroppo l’Italia non mi ha mai offerto granché. Qualche anno fa, mentre mi laureavo, un esponente dell’allora Lega Nord mi augurava di essere bruciato vivo da un noto vulcano partenopeo. “Terrone”, diceva.
Da quasi 10 anni lavoro sulle navi, all’estero, soprattutto su quelle battenti bandiera olandese e tedesca, e ciò mi garantisce migliori condizioni lavorative e salariali rispetto a quelle che troverei in Italia. Sono quindi un migrante economico, ma bianco e col passaporto. Come centinaia di migliaia di noi, che negli ultimi 10 anni hanno lasciato il nostro paese per cercare fortuna altrove.
Sono sempre stato ambientalista e difensore dei diritti umani, che poi sono due temi strettamente correlati, e se oggi sono qui è per fare quella che sento la mia parte, ché ormai sembra essere una battaglia tra umanità e barbarie. A chi sospetta chissà quali interessi delle ONG che salvano migliaia di vite in queste acque, dico di venire a vedere con i loro occhi, un posto come volontario in cucina lo si trova sempre su questi “taxi del mare”.
A “Il Giornale” – ma davvero è considerata una vera testata giornalistica? – e agli altri “giornalisti” che si rendono complici dei signori della “disumanità”, che credono che sia impossibile avvistare dei naufraghi in maniera casuale e senza delle coordinate, urlando al complotto di ONG e scafisti libici, dico di venire a vedere con i loro occhi, serve sempre aiuto per sistemare il ponte.
A chi vomita odio sui social network, senza dare troppo peso alle proprie stesse parole, che a volte sembrano dettate quasi dalla noia, dico di venire a vedere con i loro occhi, perché oltre a stare in cucina o a sistemare il ponte, potrebbero fare uno dei tanti turni di guardia sotto al sole cocente del
Mediterraneo, bruciandosi gli occhi scrutando per ore l’orizzonte con un binocolo, in cerca di disperati alla deriva.
Oppure, chi urla “affondiamoli”, “schieriamo la Marina Militare”, “lasciamoli annegare”, “che se li prendano i pesci”, potrebbe andare in vacanza a Tripoli, e restituirci poi book fotografici che ci aiutino a capire e vedere “la pacchia”.
I più audaci potrebbero volare a Mogadiscio, capitale della Somalia, e da lì intraprendere un bel viaggio “on the road” (e Kerouac c’entra poco), cercando di tornare a casa. Lo stesso viaggio che ha fatto Askar, che 4 anni fa è scappato dall’estrema povertà di quel Paese, attraversando l’Africa e il deserto per arrivare in Libia ed essere rinchiuso in un campo di prigionia. Per cinque mesi è stato torturato dai suoi aguzzini, affinché la sua famiglia inviasse abbastanza denaro per permettergli di imbarcarsi su uno di quei gommoni sgangherati, insieme ad altre 64 persone, e poter andare così alla ricerca di un futuro migliore.
Un passo in avanti che chi sputa veleno potrebbe fare sarebbe chiedere conto alla NATO e ai paesi che nel 2011 hanno bombardato la Libia, a quelli che mandano i propri eserciti in tutta l’Africa, per garantirsi che il saccheggio non abbia fine. Non vedo nessun accanimento contro la guerra e contro chi è sempre pronto a lanciare bombe; eppure i fenomeni migratori dipendono anche, se non soprattutto, da questo.
Poco distante dalla SAR libica, è pieno di piattaforme petrolifere; grazie a loro un Toninelli qualsiasi può andare in giro con la sua Jeep Compass. Però non mi pare che qualcuno si chieda chi trae profitto da queste redditizie attività, e quali siano i rapporti economici tra l’Italia e la Libia. Io non lo so, non sono un giornalista, però almeno me lo chiedo.
Chi si volta dall’altra parte per non vedere e chi sbraita con così tanta foga per fermare l’“invasione”, potrebbe aprire un libro di storia e studiare il colonialismo. Se oggi quasi 40 dei 65 migranti che abbiamo a bordo sono somali, non è un caso. Indovinate un po’ chi affondò i propri scarponi militari laggiù?
L’Italia, prima quella del Regno “liberale”, poi quella in camicia nera di Mussolini. Distrusse, ammazzò, devastò un paese. Ma anche a “Impero” crollato, la storia non cambiò. Ancora oggi attendiamo di sapere la verità sull’omicidio di Ilaria Alpi, che stava indagando su traffici illeciti che avevano come epicentro proprio la Somalia.
Oggi, allora, tentare di salvare da una atroce morte per annegamento questi ragazzi, non è solo atto di umanità. È fare i conti col passato. E, allo stesso tempo, indicare la strada di un futuro che possa esser diverso, per tutti noi, rispetto al presente che conosciamo.

C., marinaio e attivista di Potere al Popolo presente sulla Alan Kurdi

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