Le chiacchiere di Meloni & Co. stanno a zero, la verità è che i fondi stanziati non solo sono in riduzione rispetto al PIL, ma la percentuale di PIL destinata alla sanità rappresenta un arretramento rispetto alla spesa storica (inferiore a quanto spendevamo nel 2010!). Questi fondi non consentono un investimento sulle nuove assunzioni. I nuovi contratti di lavoro del personale sanitario non saranno adeguati all’inflazione, determinando perdita del potere di acquisto.
All’orizzonte non c’è alcun miglioramento delle condizioni di lavoro né tantomeno quello – necessario – dei servizi per soddisfare il bisogno di salute di cittadine e cittadini.
Il servizio sanitario è l’anticorpo collettivo che protegge e dà sicurezza a tutte e tutti noi. È quindi normale che di fronte a quest’ennesimo sfregio, nasca la protesta. Perché serve battersi per più investimenti nella sanità pubblica – e non per regalare denaro pubblico a imprese private che lucrano sulla nostra salute.
Nella piattaforma dello sciopero in programma il 20 novembre, quello che la stampa sta presentando come l’unico sciopero della sanità, accanto a rivendicazioni condivisibili, c’è un’idea pericolosa: svincolare medici e infermieri dalla dipendenza pubblica. Una richiesta non nuova: anche i sindacati di maggioranza dei medici di medicina generale (MMG) hanno sempre combattuto l’ipotesi della dipendenza, per mantenere un orario di lavoro più flessibile, stipendi più alti, ma rinunciando a molte garanzie (malattie, ferie maternità).
Trasformare in liberi professionisti i medici attualmente dipendenti ridurrebbe le tutele dei lavoratori e aprirebbe nuovi e ancor più gravi problemi per la collettività: medici e infermieri sarebbero prestatori d’opera, non più parte di un servizio, si sposterebbero in base alla convenienza, senza assicurare più la continuità delle prestazioni. Questa trasformazione favorirebbe, inoltre, un’ulteriore migrazione di professionisti e professioniste sanitari verso la sanità privata e convenzionata, ad enorme discapito di quella pubblica e della collettività.
Nemmeno si può seguire ANAAO quando contesta al Governo Meloni di non aver detassato l’indennità di specificità. La detassazione degli stipendi, come vediamo anche per il taglio del cuneo fiscale, è una partita di giro che fa apparire qualche soldo in più in busta paga stornando però sempre risorse dalla fiscalità generale – significa che quei soldi sono sempre soldi dei lavoratori – e senza incrementare la massa salariale.
La battaglia accanto a chi ci rende tutt’ora orgogliosi del servizio sanitario nazionale non può assecondare un approccio corporativo. Per rilanciare il servizio serve invece una massiva reinternalizzazione con passaggio alla dipendenza pubblica anche dei MMG e dei pediatri di libera scelta. Servono piani assunzionali per infermieri, medici, OSS, tecnici, e per tutti i professionisti sanitari. Assumere però non basta. Serve alzare gli stipendi, ma – più ancora – migliorarla qualità del loro lavoro, permettendo ritmi umani, carichi di lavoro sostenibili.
Serve restituire dignità professionale e voce in capitolo ai lavoratori e le lavoratrici della salute. Per fermare violenze e aggressioni ai loro danni, più che presidi di polizia in ogni reparto, serve che potere politico e mediatico la smettano di dipingerli come fannulloni, superficiali, veniali e incapaci. E, soprattutto, che la si smetta con un attacco interessato al pubblico e ai suoi lavoratori per favorire l’allargamento della fetta di torta che già oggi i privati si pappano.
Il denaro pubblico, frutto delle tasse di lavoratori e lavoratrici, deve finanziare la sanità pubblica, i suoi servizi e le sue strutture: da riaprire, da potenziare, da adeguare e da creare se mancanti; non deve ingrossare i portafogli dei ras della sanità privata che siedono anche tra i banchi del Parlamento e del Governo Meloni.