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LE ELEZIONI EUROPEE E NOI

E’ passata una settimana dalle elezioni europee, alle quali, come è noto, il nostro simbolo non era presente. Nonostante ciò abbiamo dato indicazione per Ilaria Salis nei due collegi in cui era candidata. Per noi era assurdo che un’antifascista potesse marcire in galera a causa delle sue idee politiche nel cuore d’Europa, con l’avallo del nostro Governo “sovranista”.

L’elezione di Ilaria, che ha preso 176mila preferenze (ma sarebbero state molte di più se Avs avesse avuto il coraggio di candidarla in tutti i collegi) è un risultato concreto e tangibile contro le politiche persecutorie di Orban e della sua alleata Meloni, e dimostrazione che attraverso una mobilitazione condotta su più piani (legale, mobilitativo, mediatico ed elettorale) anche l’ultradestra si può sconfiggere. Ora Ilaria potrà dare un contributo importante nella lotta per il miglioramento delle condizioni dei detenuti e delle detenute in Europa, a partire dai migranti che continuano ad essere reclusi senza processo, con la sola colpa di fuggire da guerre, miseria e neocolonialismo, e dunque di essere esercito industriale di riserva per i padroni della “fortezza Europa”. Ora, con l’apparire delle prime analisi dei flussi, è il momento di tentare un’analisi a mente fredda del quadro complessivo che ci consegnano queste elezioni.

L’ultradestra non stravince ma continua a crescere.

È un dato quello per cui le destre non conquistano l’Europarlamento, che rimane, in termini di composizione di seggi, molto simile a quello uscente. Popolari, Liberali e Socialisti europei, ossia la “maggioranza Ursula”, conquistano oltre 400 seggi su un totale di 720 e quindi mantengono la maggioranza.
Ciò vuol dire che l’ultradestra ha fallito il suo assalto alle istituzioni europee?
Non proprio.
In primo luogo perché in due paesi chiave nell’Unione Europea l’ultradestra avanza. In Francia il Rassemblement National di Le Pen è la prima forza col 30% dei voti validi (intorno al 36% se sommiamo i voti di Reconquete di Zemmour), tanto che Macron ha sciolto il Parlamento e indetto nuove elezioni. In Germania l’Afd, che è ritenuta troppo a destra persino da Le Pen e Lega, è il secondo partito con il 15,9%, il primo nella Germania Orientale.
In secondo luogo perché tutto l’asse politico si sta spostando a destra. Spesso è difficile distinguere i discorsi di un politico di una formazione conservatrice, magari aderente al Ppe, e un politico neofascista. Destre tradizionali, liberali, verdi e socialdemocratici inseguono spesso l’ultradestra sul suo terreno. “Difesa dei confini”, “lotta ai parassiti”, “scontro di civiltà”, erano frasi parte dell’armamentario ideologico di formazioni suprematiste e fasciste, mentre oggi sono patrimonio comune a buona parte delle restanti forze politiche.

Il tappeto rosso dei liberali

In Europa attualmente sono 7 gli stati membri che hanno Governi in mano all’ultradestra o sostenuti dall’ultradestra (Paesi Bassi, Croazia, Finlandia, Ungheria, Italia, Slovacchia e Svezia). D’altronde per anni le classi dominanti dell’UE hanno aumentato lo sfruttamento, tagliato servizi, portato avanti speculazioni finanziarie e ambientali, generato rabbia, fame e frustrazione. Poi, per evitare che il malessere prendesse una connotazione anti-capitalista, hanno spinto la guerra tra poveri e fatto crescere l’ultradestra, che è sempre pronta a interpretare il ruolo di cane da guardia del sistema, con il suo razzismo nei confronti dei lavoratori stranieri e lo squadrismo contro i lavoratori, le forze di sinistra, i movimenti civici.
I liberali, tanto nella loro versione conservatrice quanto in quelle centrista e socialdemocratica, hanno grosse responsabilità in quest’ascesa: il loro antifascismo funziona a fasi alterne, solitamente in campagna elettorale. Costruire un avversario “rozzo” e impresentabile ha consentito ai partiti di sistema, negli anni post-crisi, di convincere i propri elettori più recalcitranti a votarli nonostante le nefandezze commesse, “altrimenti l’alternativa sono quelli”. Basti pensare che durante la campagna elettorale per le europee in Francia la candidata macronista Valérie Hayer ha accettato dibattiti elettorali solo con Jordan Bardella e con Marion Marechal Le Pen, ossia con l’estrema destra. La sovraesposizione mediatica delle destre, spesso accompagnata da una repressione mediatica e politica della sinistra autentica e dei movimenti popolari, è stata così l’humus per la crescita delle idee xenofobe e autoritarie dell’ultradestra.
Ora che i rapporti di forza sono favorevoli all’ultradestra e il pericolo di una sua affermazione si fa concreto e imminente, è in corso una fase ulteriore della sua normalizzazione. Se guardiamo alla Francia, il paese che ha conosciuto un lungo ciclo di conflitti sociali e una crescita importante della sinistra popolare (ci riferiamo alla France Insoumise e alla Nupes di Jean Luc Mélénchon), il centro liberale di Macron nell’ultimo anno ha più volte fatto ricorso in Parlamento all’appoggio diretto dell’ultradestra di Le Pen per aggirare l’opposizione della Nupes. È stato il caso della legge asile-immigration, approvata quest’anno su proposta del Governo Macron con l’appoggio determinante del Rn. Questa legge, che aumenta la detenzione amministrativa per i migranti, riduce di molto il diritto all’asilo e facilita le espulsioni, è stata in realtà una doppia vittoria di Marine Le Pen: tanto sul piano concreto di persecuzione nei confronti dei migranti, quanto su quello ideologico, perché avalla l’idea totalmente falsa di un’Europa e di una Francia in preda a un’invasione incontrollata.
Dopo i risultati delle europee e l’indizione di nuove elezioni da parte di Macron, il segretario del vecchio partito gaullista Les Republicains, Eric Ciotti, ha proposto un accordo elettorale ai neofascisti per andare al Governo. Stessa cosa in Germania: dopo l’exploit dei neonazisti dell’Afd in Sassonia e in Turingia (dove è il primo partito con oltre il 31% dei consensi), i Governatori del Nordreno-Westfalia e della Turingia, guidati dalla Cdu, hanno aperto a una collaborazione con l’Afd. In Spagna il Partido Popular governa insieme ai neofranchisti di Vox varie regioni e il suo leader Feijòo non ha mai smesso di considerare plausibile un governo Vox – Pp. Insomma, spesso i liberali si rivelano il miglior alleato dell’ultradestra che dicono di voler combattere.

Il laboratorio italiano

Il modello principale a cui l’ultradestra continentale si ispira è il caso italiano: una coalizione di forze di destra e di centro, con il polo di ultradestra (Fdi e Lega) in posizione egemonica. Anche qui le elezioni europee confermano una sostanziale stabilità di Fratelli d’Italia (che con il 28% conferma e anzi migliora le percentuali delle politiche del 2022, pur perdendo 700 mila voti assoluti). La strategia di Meloni è stata quella di mostrarsi estremamente rispettosa dei vincoli esterni, ossia la subalternità assoluta alla NATO e alle politiche di austerità contro lavoratori e lavoratrici, per avere mano libera all’interno del paese. Qui il Governo è stato ben attento ad alimentare i suoi bacini di voto (imprese e autonomi), con leggi di bilancio che hanno spostato ulteriormente il carico fiscale sui soli lavoratori dipendenti, stando però attento ad evitare processi mobilitativi e, anzi, appoggiandosi principalmente alla sostanziale passività delle masse nel nostro paese.
Il partito che infatti esce vincitore dalle urne è l’astensionismo, che per la prima volta supera il 50% in un’elezione nazionale. Può sembrare assurdo ma, nonostante tassi di partecipazione molto bassi e in trend discendente, né la maggioranza di Governo né il centrosinistra hanno messo mano all’assurda legge elettorale, che non ha eguali in Europa, e che prevede la raccolta di 150mila firme per presentarsi in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali, e uno sbarramento del 4% per poter partecipare alla ripartizione dei seggi, evitando così che forze nuove, oscurate mediaticamente, possano dare voce e rappresentanza alle classi popolari.
L’altro “vincitore” di queste elezioni europee è stato il centrosinistra italiano. Il Pd infatti è passato dal 19% delle politiche al 24,1% delle europee, guadagnando circa 160mila voti. Stessa cosa per Avs, che passa dal 3,7% al 6,7% guadagnando circa 500mila voti. “In Italia è tornata la sinistra”, qualcuno (pochi a dire il vero) si è affrettato a scrivere. È proprio il risultato di Avs, che in termini percentuali tocca il picco mai raggiunto del 6,8%, che desta speranze a dir la verità un po’ avventate. Il risultato positivo è stato raggiunto in parte grazie a un travaso di voti proveniente da partiti di centro (in particolare i liberali di Stati Uniti d’Europa), e in parte grazie alla giusta mobilitazione per la liberazione di Ilaria Salis, che ci ha visto partecipi. Questa vittoria non deve però farci perdere di vista la natura sostanzialmente di stampella a sinistra dell’establishment che svolge Avs, che non ha una struttura territoriale degna di nota e in grado di suscitare mobilitazioni e lotte, e che si caratterizza per la sua internità all’orizzonte del centrosinistra, dunque dall’alleanza ferrea con il PD, a tutti i livelli e a qualsiasi costo. Se guardiamo al voto operaio infatti non c’è nessuno spostamento né verso Avs né tantomeno verso il Pd. Il 58% non vota, mentre il voto per Pd e Avs è sottostimato rispetto al totale (-8% e -4%), chi guadagna punti percentuali tra i (pochi) operai che votano semmai è la destra (fonte Swg Radar). Esce invece sostanzialmente sconfitto dalle Europee il M5S, che passa dal 15,6% al 9,9% e completa così il suo percorso di subordinazione al Pd nel cosiddetto “campo largo”.

Il bipolarismo dei dominanti

A uscire rafforzata delle Europee non è dunque una soluzione di sinistra alla crisi in corso, ma è il ritorno al bipolarismo, in cui la minoranza di chi vota si divide tra i due grandi blocchi del centrodestra a guida Fdi e del centrosinistra a guida Pd.
Si tratta di un bipolarismo senza consenso, in cui una persona su due non va a votare e in cui nessuno dei due blocchi ha soluzioni reali alla crisi ecologica e sociale, essendo entrambi saldamente bellicisti e filo-NATO e contrari a qualsiasi redistribuzione radicale della ricchezza, esattamente come le famiglie europee a cui appartengono. Liberali e sovranisti, anche se fanno finta di opporsi, hanno in realtà operato una saldatura e una divisione dei compiti: ognuno si alimenta elettoralmente e mediaticamente dell’altro per non far esistere la vera alternativa, che è il cambiamento radicale delle logiche neoliberiste, la redistribuzione della ricchezza, il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, una società più giusta e libera. Pensiamo solo che in Italia, quando Berlusconi sdoganò culturalmente e politicamente leghisti e neofascisti, l’allora centrosinistra non si oppose, ma si accodò ad una intensa operazione di falsificazionismo storico contro la Resistenza e contro la sua componente comunista (qualcuno ricorda i cosiddetti “ragazzi di Salò” di Luciano Violante?), in nome dell’alternanza di Governo.
Sulla guerra, tanto i liberali quanto l’ultradestra vogliono aumentare spese militari e armamenti eseguono le indicazioni USA (qualcuno più Biden, qualcuno più Trump…); entrambi sono per rendere sempre più difficile la vita ai migranti, per aumentare i sistemi di controllo nella vita sociale, per “risolvere” tutti i problemi con il carcere. Anche la Palestina è emblematica: sia liberali che sovranisti sostengono Israele, rifiutano di interrompere i rapporti con questa potenza e si fanno dunque complici di un genocidio, mentre i giovani che protestano vengono criminalizzati e spesso colpiti da manganelli e provvedimenti repressivi. Lo abbiamo visto in Italia con la tentata contestazione al direttore di Repubblica Molinari alla Federico II – quando tutti, da Fratoianni a Meloni, si scagliarono contro il diritto al dissenso negli atenei. Lo vediamo in grande in Germania, dove la coalizione di governo composta da Socialdemocratici, Verdi e Liberali ha addirittura superato a destra il Governo italiano nel blindare le voci dissidenti, soprattutto giovani, e nel colpire le comunità arabe portando avanti campagne islamofobiche.

L’ultradestra si può battere, ma non saranno i liberali a farlo

Ma allora come si possono combattere non solo l’ultradestra, ma anche il bipolarismo che produce in ultima istanza lo spostamento sempre più a destra del quadro politico?
In primo luogo occorre avere una prospettiva solida, comprendere che il tempo elettorale non è il tempo della politica. Queste elezioni europee dimostrano proprio che alla lunga regge chi possiede organizzazione, quadri e radicamento sul territorio, chi nella “guerra di posizione” presidia più casematte è in grado di reggere a momenti di passivizzazione di massa come quello che viviamo. Basti pensare all’ottimo risultato del Parti du Travail in Belgio, dello Sinn Fein in Irlanda o di EH Bildu, che diventa primo partito nei Paesi Baschi, all’interno dell’alleanza indipendentista Ahora Repùblicas.

In secondo luogo bisogna reagire alla passivizzazione di massa, che si manifesta su più piani, compreso quello della normalizzazione dell’ultradestra operato da settori conservatori, liberali e socialdemocratici. Con questo spirito in Italia abbiamo convocato la manifestazione del 1° giugno contro il Governo Meloni, dando voce tanto a chi lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e il razzismo, quanto a chi si è mosso contro il genocidio in Palestina, e ci siamo mobilitati, utilizzando anche lo strumento del voto, per strappare Ilaria Salis alle prigioni di Orban.

In terzo luogo bisogna impostare un lavoro di radicamento tra le classi popolari e in particolare in quella maggioranza di lavoratori e lavoratrici che negli ultimi trent’anni ha visto peggiorare le proprie condizioni di lavoro e ha perso in termini di salario reale e diritti. Quella maggioranza, che affolla il partito dell’astensionismo, a cui il bipolarismo tra ultradestra e liberali non ha soluzioni da offrire. Il 2025 potrebbe infatti aprirsi con nuove politiche di austerità, dovute anche all’entrata in vigore del nuovo Patto di Stabilità che per un Paese come l’Italia significherà 13 nuovi miliardi di tagli all’anno per 7 anni. Se teniamo in conto che i soldi per le armi li faranno comunque uscire fuori, si prospetta una macelleria sociale e ambientale. È dunque importante attivare percorsi di solidarietà e di politicizzazione tra lavoratori e lavoratrici, essere presenti tra i nostri, di fronte ai cancelli di fabbriche e alle mille forme del lavoro povero, per riuscire a respingere l’attacco che si prepara, e riattivare un ciclo di mobilitazione anche nel nostro paese.
E nel frattempo continuare con una lotta senza quartiere alle politiche di riarmo, all’austerità e al taglio del welfare e della spesa sociale, alle forze neofasciste.

Ora è il momento di organizzarsi in questo senso: a giugno e luglio saremo impegnati nella campagna adesioni a Potere al popolo!, e vi invitiamo già da ora a tenervi liberi per l’appuntamento di socialità e dibattito del Pap Camp, il campeggio estivo di Potere al popolo!, che si terrà al Camping “La Giara” di Paestum dal 28 agosto al 1 settembre.

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