*La lunga e lontana epoca della preistoria, risalente al periodo precedente l’inizio dell’Era comune, viene convenzionalmente suddivisa in tre periodi: l’Età della Pietra, l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro. Successivamente, nell’era della storia scritta, non ci siamo più basati su metalli o minerali specifici per definire i nostri periodi. Vi sono infatti troppi metalli e minerali che, sfruttati da nuove tecniche di produzione e da nuovi metodi di lavoro, hanno contribuito alla nostra immensa capacità di generare grandi ricchezze. C’è l’Età dell’Industria ma non, ad esempio, l’Età dell’Acciaio, il metallo essenziale del nostro periodo.
“Noi cresciamo dal ferro”, scriveva il poeta russo Aleksei Gastev nel 1914. Osserva le fornaci e le fucine, i martelli e i macchinari, e poi:
Guardandoli, mi sollevo diritto.
Nelle mie vene scorre un sangue nuovo, di ferro,
e comincio a crescere.
A me stesso crescono spalle d’acciaio e mani infinitamente forti.
Mi sto fondendo con l’edificio di ferro.
Con le mie spalle, spingo le travi e i pilastri fino al tetto.
I miei piedi sono saldi a terra, ma la mia testa è più alta dell’edificio.
E mentre sto ancora annaspando per i miei sforzi disumani,
sto già gridando:
una parola, compagni, una parola!
L’eco di ferro ha ascoltato le mie parole, l’intero edificio
trema per l’impazienza.
Continuo a salire verso l’alto, sono al livello dei tubi.
E qui non c’è storia, non c’è discorso.
C’è solo il grido:
trionferemo!
Negli ultimi cinquant’anni, la produzione di acciaio è triplicata. Oggi, i principali produttori di acciaio sono Cina, Europa, India, Giappone, Russia e Stati Uniti. Durante la pandemia, la produzione di acciaio è diminuita solo dell’1%, soprattutto perché la domanda interna di paesi come la Cina e l’India ha mantenuto accese le fornaci. Mentre la produzione di acciaio in Cina è diminuita leggermente a causa dei timori di sovrapproduzione, nel corso della pandemia le acciaierie indiane ne hanno aumentato la produzione.
Molte di queste fabbriche in India sono parte del settore pubblico, costruite con fondi statali e amministrate da enti statali e parastatali. Tra queste fabbriche c’è la Rashtriya Ispat Nigam Limited (RINL), un complesso siderurgico a Visakhapatanam, nello stato sud-orientale dell’Andhra Pradesh. La fabbrica, chiamata affettuosamente Visakha Steel, è il risultato di una lotta di massa condotta dalla popolazione dell’Andhra Pradesh, iniziata nel 1966 e durata fino all’accensione dei forni nel 1992. Il complesso industriale è sorto in un momento in cui lo Stato indiano – sotto la pressione della classe dirigente indiana e del Fondo Monetario Internazionale – ha iniziato a liberalizzare l’economia, anche attraverso la privatizzazione dei beni statali. La fabbrica è nata in un mondo liberalizzato, con il governo ansioso di affossarla per venderla al capitale privato in un’ondata di privatizzazione che potrebbe essere meglio definita “piratizzazione”.
Poiché la Visakha Steel è emersa in un momento in cui la religione della privatizzazione era diventata dominante, il governo indiano ha cercato in diverse occasioni di ostacolare la sua capacità di sopravvivere nel settore pubblico, impedendo all’acciaieria di acquisire miniere, di costruire un porto nelle vicinanze, a Gangavaram, di costruire una adeguata struttura siderurgica per trasformare il ferro grezzo in acciaio, e di ricevere finanziamenti statali adeguati e puntuali. Il governo ha invece cercato di permettere a un’azienda privata di aprire un’acciaieria che avrebbe utilizzato la ghisa fusa degli altiforni di Visakha Steel per produrre acciaio lavorato da vendere sul mercato con alti margini di profitto – una mossa che i lavoratori hanno respinto. In nessun momento il governo ha dimostrato il suo impegno per la produzione di acciaio o per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori delle acciaierie e delle loro famiglie.
Invece di affidare il porto di Gangavaram alla gestione pubblica, come inizialmente previsto, il governo lo ha affidato al gruppo Adani – il cui proprietario ha legami intimi con il Primo Ministro Narendra Modi – che fa pagare alla Visakha Steel ingenti oneri. Bisogna sottolineare che il porto è stato costruito su un terreno che originariamente apparteneva all’acciaieria. Inoltre, mentre Visakha Steel paga le tasse sulla proprietà della città, il porto privato di Adani è esente dal pagamento delle tasse. Allo stesso tempo, il governo di Modi ha cercato di consegnare il terreno di Visakha Steel al gigante siderurgico sudcoreano POSCO, affinché impiantasse i propri laminatoi per la produzione di prodotti speciali di acciaio per auto utilizzando l’acciaio dell’impianto di Visakha. In un tipico esempio di privatizzazione furtiva, il dossier spiega che “alla Visakha Steel è stato chiesto di gestire i tipi di lavoro più complessi, pericolosi e faticosi – l’approvvigionamento del minerale, la gestione delle fornaci, degli impianti di ossigeno e dei vari forni – mentre la POSCO si sarebbe occupata della parte più redditizia della catena del valore”.
Non è stato scritto molto su lotte come questa, condotta dai coraggiosi lavoratori dell’acciaio che sono per lo più dimenticati o, se ricordati, malvisti. Sono accanto alle fornaci, srotolano l’acciaio, lo temperano, vogliono costruire canali migliori per i contadini, costruire travi per le scuole e gli ospedali e costruire le infrastrutture in modo che le loro comunità possano superare i dilemmi dell’umanità. Il nostro dossier è stato costruito attraverso le interazioni con i lavoratori dell’acciaio e il loro sindacato, che ci hanno raccontato come guardano al loro passato e come interpretano la loro lotta. Hanno anche condiviso con noi le loro fotografie (oltre a quelle scattate da Kunchem Rajesh del giornale Prajasakti di Andhra Pradesh), con le quali il nostro dipartimento artistico ha realizzato i collage che illustrano il dossier (alcuni dei quali sono riportati in questa newsletter).
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della trentaquattresima newsletter (2022) di Tricontinental: Institute for Social Research.