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LA SCUOLA NON SI ARRUOLA – MOBILITAZIONE 4 NOVEMBRE

murales che rappresenta tre immagini di persona di profilo, a cui in sequenza delle mani tolgono il cervello dalla scatola cranica e mettono l'elmetto

La scuola non è caserma. La scuola non è propaganda. La scuola si ribella.

Venerdì 31 ottobre 2025, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha stabilito che il corso “4 novembre: la scuola non si arruola” non è valido come formazione professionale per i docenti. I permessi richiesti devono essere annullati.

Non si tratta di tecnicismi: è censura politica.

Discutere di guerra, militarismo, educazione critica e articolo 11 della Costituzione non rientra nei compiti di un insegnante, mentre contemporaneamente, e con crudele ironia, il 4 novembre viene rilanciato come Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate: il Ministero e gli enti pubblici promuovono celebrazioni, esposizione della bandiera e iniziative con le forze armate nelle scuole.
La contraddizione è inquietante: da una parte si spalancano spazi istituzionali alla retorica militare, dall’altra si zittisce chi vuole educare alla critica.
Questo non è un incidente, è una strategia: normalizzare la guerra, silenziare il dissenso, trasformare la scuola in un’istituzione docile e patriottica.

Tutto questo accade in un periodo in cui attorno al mondo dell’istruzione proliferano corsi di formazione su “tecniche”, “metodologie” o “soft skills”, spesso promossi da enti privati a pagamento, mentre nelle scuole i docenti trovano sempre meno spazio per riflettere sul proprio ruolo e la propria funzione all’interno della società. È in atto un processo di tecnicizzazione della professione docente che ha lo scopo evidente di attaccare il principio costituzionale dell’autonomia e della libertà d’insegnamento, al fine di sottomettere l’educazione alla produzione del capitale umano.
L’iniziativa dell’Osservatorio e del Cestes andava chiaramente in controtendenza. Sarebbe stata un’occasione di confronto e dibattito sulla funzione della scuola ed il ruolo dei docenti in una società diretta verso un regime di austerità militare: evidentemente il convegno è stato reputato pericoloso.

Noi diciamo basta.

La pace che vogliamo mette in discussione le alleanze del nostro Paese con i colonizzatori sionisti, con l’imperialismo occidentale e con chi arma e finanzia guerre nel mondo.
Se educare alla pace significa insegnare a sottomettersi alle narrative di chi governa, allora quella non è pace: è obbedienza.
E se il dissenso fa paura al punto da doverlo censurare, significa che solo con la ribellione e con la cultura si può costruire una pace reale, senza vincitori né vinti — e questo è esattamente ciò che i governi del capitale non vogliono.

Oggi la scuola viene trasformata in vetrina della propaganda militare, mentre chi prova a educare alla critica, alla solidarietà internazionale e all’antimperialismo viene censurato.
È un attacco alla libertà di pensiero e alla coscienza civile di studenti e docenti.

Ma noi non ci stiamo.
La scuola non è una caserma, non è un palco per le divise.
È spazio di coscienza, formazione politica, resistenza e libertà.

In queste ore USB, CESTES e l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, insieme ai legali, stanno preparando le contromosse.
Noi rilanciamo: la risposta deve essere immediata e visibile, dalle aule alle piazze.

Il 4 novembre scendiamo in piazza in tutta Italia.

Non per celebrare le guerre di ieri e di oggi, non per applaudire chi le organizza.
Per difendere la scuola pubblica, la libertà di insegnamento, la Costituzione e la possibilità di insegnare verità scomode sui rapporti di potere e sulle alleanze imperialiste.

La scuola non si arruola. La scuola si ribella.

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