“La coperta è corta”. “Non ci sono i soldi per tutto”.
Un leitmotiv che sentiamo da anni e anni. Guarda caso il mantra viene ripetuto solo quando si avanza una proposta a favore del nostro popolo. Rivendichiamo un Servizio Sanitario Nazionale efficiente, capillare e con personale adeguato, in termini quantitativi e di formazione? “Non ci sono i soldi!”. Un salario minimo che sia dignitoso? “Non ci sono i soldi!”. Allarghiamo il reddito di cittadinanza e introduciamo ammortizzatori sociali congrui per tutti i lavoratori? “Non ci sono i soldi”! E così via…
Ogni rivendicazione popolare si scontra con questo scoglio apparentemente invalicabile. Parlamentari ed esponenti governativi si nascondono dietro di esso e scaricano ogni responsabilità. Se i soldi non ci sono è perché “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, perché “mettiamo gli immigrati negli alberghi a 5 stelle”, perché “i nostri genitori ci hanno rubato il futuro” e via discorrendo.
Chissà perché però i soldi per istanze della classe imprenditoriale e dirigente si trovano sempre. E chissà perché nessuno dei governanti alza il dito per una seppur minima obiezione quando bisogna fare regali (li chiamano “incentivi”) alle imprese o, ad esempio, destinare risorse al comparto militare.
LE SPESE MILITARI
Alcune voci della spesa militare, ad esempio, si fanno rientrare tra le “spese indifferibili”. Andate a recuperare uno qualsiasi degli articoli di giornale che parlano delle leggi di bilancio approvate dai nostri governi. Troverete sempre questa espressione: “spese indifferibili”. Uno legge e va oltre, perché se sono “indifferibili” non c’è nemmeno da discuterne. O no? Scorporandola, però, scopriamo che ci sono anche le missioni militari all’estero, che proprio indifferibili non ci sembrano.
Dall’analisi dei documenti del Ministero dell’Economia e Finanza (MEF) troviamo che le spese per il 2019 sarebbero dovute ammontare a 969 milioni di euro, ma che alla fine se ne sono spesi 1.308. Quasi 400 milioni di euro in più. Vale a dire circa il 40% in più su quanto programmato. O la nostra classe è incapace di programmare oppure i calcoli iniziali sono volutamente sottostimati per calcolo propagandistico e per non aizzare l’opposizione di un’opinione pubblica che forse non è troppo contenta di spendere tutti questi soldi per interventi militari in scenari per i quali non si intravede alcun interesse, né nel tutelare le condizioni di vita delle popolazioni locali né in termini strategici per il Paese.
Di missioni militari all’estero e delle spese relative se ne potrebbe discutere e poi fare a meno, no? E non va conteggiata tra queste il costo della base militare italiana a Gibuti: 43 milioni di euro l’anno per un complesso intitolato tra l’altro a un eroe fascista, Amedeo Guillet, detto Comandante Diavolo.
Il quadro delle spese militari è però ben più composito. Compaiono in differenti voci di bilancio, da quelle afferenti al Ministero della Difesa, passando per quelle del MEF, arrivando a quelle del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE).
Il bilancio del Ministero della Difesa per l’anno 2019 parla di 22,995 miliardi di euro. Soldi usciti dalle casse dello Stato l’anno scorso e che sono stati di circa 1,5 miliardi di euro più alti delle previsioni. Rispetto al 2018 si è verificato un aumento della spesa, in linea con le indicazioni che arrivano sia dalla NATO che dai maggiori player internazionali e che chiedono all’Italia di innalzare ulteriormente le spese militari fino a raggiungere una percentuale di almeno il 2% del PIL (al momento siamo a circa l’1,4%), che il Ministro della Difesa Guerini ha definito “prioritariamente un’esigenza nazionale”.
Tolte le spese per il personale, una delle voci di bilancio principali è quella relativa alla “modernizzazione dello strumento militare”, che per il 2020 dovrebbe valere 3,221 miliardi di euro. Tenendo conto che nel 2019 sarebbe dovuta esser pari a 1,9 miliardi e si è poi visto che è salita fino a toccare quota 2,915 miliardi, non si può nemmeno stare sicuri che questa cifra non possa aumentare ulteriormente.
Un’altra voce, assolutamente paradossale, è quella relativa agli indennizzi per “servitù militari”. Certo, ben più bassa di tante altre, ma che vale alcune decine di milioni di euro all’anno. Siamo proprio sicuri che si tratti di una spesa essenziale? Che non la si possa eliminare?
E non si potrebbero eliminare i 520 milioni l’anno che l’Italia paga per le spese di supporto alle 59 basi USA nel nostro Paese? O azzerare la contribuzione alla NATO, pari a 192 milioni di euro ogni anno? O gli almeno 20 milioni che paghiamo per ospitare le sgraditissime B-61, 50 bombe atomiche statunitensi divise tra Aviano (PN) e Ghedi (BS)? O, ancora, evitare che lo Stato debba pagare 200 cappellani militari a nostro carico, che pesano sulle nostre tasche per 15 milioni di euro tra stipendi e pensioni?
Se passiamo poi alle spese del MISE, la cifra che ci appare dalla lettura dei bilanci è 5.551 miliardi euro. Soldi effettivamente utilizzati nel 2019. Per il 2020 se ne prevedono 5.482, ma anche in questo caso si possono giustificatamente temere innalzamenti nel corso dei mesi (il bilancio previsionale del 2019 parlava infatti di 4.691 miliardi).
La parte del leone la fa la voce “interventi per l’innovazione del sistema produttivo del settore dell’aerospazio, della sicurezza e della difesa”, che inquadra programmi come l’Eurofighter TYPHOON, il VBM Freccia, la blindo CENTAURO II, ecc., con una quota di 2.608 miliardi di euro. Buona seconda la “realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo tecnologico dell’industria aeronautica”, che si accaparra 336 milioni di euro. Non è un caso, dunque, che anche in tempi di pandemia, l’industria aeronautica possa tenere aperti i battenti, considerata dal governo M5S-PD “essenziale” per le sorti del Paese. A guardare i soldi delle nostre tasse che ogni anno vengono utilizzati per foraggiarla non c’è poi troppo da stupirsi!
LA GUERRA O LA VITA?
E se invece di un battello militare “Rhib” 6,70mt comprassimo un’ambulanza? Se invece di 3 fucili di precisione Berretta M82 acquistassimo 1 letto di terapia intensiva con servomeccanismi? E, ancora, se acquistassimo un ventilatore polmonare ad alta complessità anziché un sistema di guida bombe a caduta libera GBU 31 per gli F35? O, per finire – ma potremmo andare avanti ancora a lungo, se invece di un visore notturno binoculare mettessimo in ordine una centralina di monitoraggio per terapia intensiva?
Se lo facessimo avremmo investito in “armi” che difendono la nostra vita più e meglio che non gli strumenti militari menzionati sopra.
Politica è scegliere. Non è arrendersi a che tutto debba essere sempre uguale, al “There Is No Alternative” (TINA) di thatcheriana memoria. A maggior ragione in tempi terribili come quelli che ci troviamo a vivere. Tempi che cambieranno le nostre vite, le nostre prospettive. Tempi che lasciano prefigurare la possibilità di un cambio di sistema. Non necessariamente in meglio, certo.
Se vogliamo che il coronavirus non sia passato invano, dobbiamo saper guardare in avanti, lottare per un Piano per il Futuro che rivoluzioni dal profondo il sistema in cui viviamo. Che metta salute e ambiente al primo posto. Che preveda investimenti massicci, come non se ne sono mai visti.
I soldi ci sono. A partire dalla possibilità di ridurre enormemente le spese militari. Di tassare la ricchezza, di modo da costruire una società davvero solidale, dove chi ha di più paga anche di più. Di abbattere la vergogna dell’evasione e dell’elusione fiscale, distruggere i paradisi fiscali, impedire che gli imprenditori possano valicare il confine svizzero per nascondere le loro ricchezze.
Sta a noi imporre le priorità. Le cose che stanno a cuore al nostro popolo, alla nostra gente.
Stiamo scoprendo in maniera drammatica, se anche prima non l’avessimo capito, che non c’è cosa più importante che la tutela della salute e della vita. Una politica al servizio del popolo non dovrebbe avere problemi a imparare in fretta la lezione e ad approntare gli strumenti necessari per soddisfare questo bisogno elementare. La pandemia ci ha mostrato che piuttosto che essere armati di tutto punto, sarebbe preferibile dirottare i fondi verso la sanità pubblica, per un piano massiccio di assunzioni, per l’apertura di strutture territoriali, per la
produzione sotto controllo statale di dispositivi e macchinari medicali, oggi “merce rara” perché sotto le leggi del mercato e del privato.