La pelle è l’organo più esteso del corpo umano. Ricopre tutta la nostra superficie, in alcuni punti sottile come un foglio di carta e in altri spessa circa la metà di una carta di credito. La pelle, che ci protegge da ogni sorta di germi e altri elementi nocivi, è fragile e non è in grado di difendere l’uomo dalle armi pericolose che abbiamo costruito nel tempo. L’antica ascia smussata romperà la pelle con un colpo pesante, mentre una “bomba muta” MK-84 da 2000 libbre, prodotta dalla General Dynamics, non solo distruggerà la pelle, ma l’intero corpo umano.
Nonostante l’ordine del 24 maggio della Corte internazionale di giustizia (CIG), l’esercito israeliano continua a bombardare la parte meridionale di Gaza, in particolare la città di Rafah. In palese disprezzo dell’ordine della CIG, il 27 maggio Israele ha colpito una tendopoli a Rafah, uccidendo 45 civili. Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato il 9 marzo che un attacco israeliano a Rafah sarebbe stato la sua “linea rossa”, ma – anche dopo questo massacro di tende – l’amministrazione Biden ha insistito sul fatto che tale linea non è stata violata.
In una conferenza stampa del 28 maggio, al consulente per le comunicazioni dell’Agenzia per la sicurezza nazionale statunitense John Kirby è stato chiesto come gli Stati Uniti avrebbero risposto se un attacco delle forze armate statunitensi avesse ucciso 45 civili e ne avesse feriti altri 200. Kirby ha risposto: “Abbiamo condotto attacchi aerei in luoghi come l’Iraq e l’Afghanistan, dove tragicamente abbiamo causato vittime civili. Abbiamo fatto la stessa cosa”. Per difendere l’ultimo massacro di Israele, Washington ha scelto di fare un’ammissione sorprendente. Dato che la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che è “plausibile” che Israele stia conducendo un genocidio a Gaza, si potrebbe dire che gli Stati Uniti sono colpevoli dello stesso in Iraq e in Afghanistan?
L’Afghanistan ha aderito alla CPI nel 2003, conferendole la giurisdizione per condurre le indagini. Pur avendo firmato un accordo ai sensi dell’articolo 98 con l’Afghanistan nel 2002, il governo degli Stati Uniti ha attaccato ferocemente l’indagine della CPI e ha avvertito Bensouda e la sua famiglia che avrebbero subito ripercussioni personali se avesse continuato con le indagini. Nell’aprile 2019, gli Stati Uniti hanno revocato il visto d’ingresso a Bensouda. Giorni dopo, un gruppo di giudici della CPI si è pronunciato contro la richiesta di Bensouda di procedere con un’indagine sui crimini di guerra in Afghanistan, affermando che tale indagine “non servirebbe gli interessi della giustizia”.
Il personale della CPI era sconcertato dalla decisione della Corte e desideroso di impugnarla, ma non è riuscito a ottenere il sostegno dei giudici. Nel giugno 2019, Bensouda ha presentato una richiesta di appello contro la decisione della CPI di non proseguire le indagini sui crimini di guerra in Afghanistan. All’appello di Bensouda si sono uniti diversi gruppi afghani, tra cui l’Associazione dei familiari delle vittime afghane e l’Organizzazione afghana per le scienze forensi. Nel settembre 2019, la Camera preliminare della CPI ha deciso che l’appello poteva essere portato avanti.
Il governo statunitense ha infine abrogato le sanzioni nell’aprile 2021, dopo che Bensouda ha lasciato il suo incarico ed è stata sostituita dall’avvocato britannico Karim Khan nel febbraio 2021. Nel settembre 2021, il procuratore della CPI Karim Khan ha dichiarato che il suo ufficio avrebbe continuato ad indagare sui crimini di guerra commessi dai Talebani e dallo Stato Islamico in Afghanistan, ma avrebbe “tolto la priorità ad altri aspetti di questa indagine”. Questa formulazione significava semplicemente che la CPI non avrebbe più indagato sui crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti e dai loro alleati dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). La CPI era stata sufficientemente messa alle strette.
Khan non avrebbe usato parole simili riferendosi all’assalto omicida di Israele contro i palestinesi di Gaza. Anche dopo l’uccisione di più di 15.000 bambini palestinesi (piuttosto che “adottati” da una zona di guerra), Khan non ha perseguito i mandati di arresto del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dei suoi subordinati militari. Quando Khan ha visitato Israele nel novembre-dicembre 2023, ha messo in guardia dagli “eccessi”, ma ha suggerito che, poiché “Israele ha avvocati preparati che consigliano i comandanti”, essi possono prevenire qualsiasi orrenda violazione del diritto internazionale umanitario.
All’interno della dichiarazione stampa di Khan c’è un frammento interessante: “Insisto che tutti i tentativi di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente i funzionari di questa Corte devono cessare immediatamente”. Otto giorni dopo, il 20 maggio, il Guardian – in collaborazione con altri periodici – ha pubblicato un’inchiesta che ha rivelato l’uso da parte di Israele di “agenzie di intelligence per sorvegliare, hackerare, fare pressioni, diffamare e presumibilmente minacciare il personale di alto livello della CPI nel tentativo di far deragliare le indagini della Corte”. Yossi Cohen, l’ex capo dell’agenzia di spionaggio israeliana, il Mossad, ha personalmente molestato e minacciato Bensouda (il predecessore di Khan), avvertendola: “Non vuoi entrare in questioni che potrebbero compromettere la tua sicurezza o quella della tua famiglia”. Inoltre, The Guardian ha osservato che “tra il 2019 e il 2020, il Mossad ha cercato attivamente informazioni compromettenti sul procuratore e si è interessato ai suoi familiari”. “Si è interessato” è un modo eufemistico per dire che ha raccolto informazioni sulla sua famiglia – anche attraverso un’operazione sotto copertura contro il marito Philip Bensouda – da usare per ricattarla e spaventarla. Si tratta di tipiche tattiche mafiose.
Vieni, lascia che ti renda umano,
lei, Vostro Onore, che si pulisce il senso di colpa dalla barba
lei, stimata giornalista, che grida alla morte
lei, filantropa, che accarezza le teste dei bambini senza chinarsi
e tu che leggi questa poesia, leccandoti il dito –
A tutti voi offro il mio corpo per la genuflessione.
Credetemi
un giorno mi adorerete come Cristo.
Ma mi dispiace per lei, signore.
Non negozio con i commercialisti delle parole
con critici d’arte che mangiano dalla mia mano
Se lo desidera, può lavarmi i piedi.
Non la prenda sul personale.
Perché ho bisogno di proiettili se ci sono così tante parole
pronte a morire per me?
Quali parole stanno lentamente morendo? Giustizia, forse, o anche umanità? Tante parole vengono lanciate per placare i colpevoli e confondere gli innocenti. Ma queste parole non possono soffocare altre parole, parole che descrivono orrori e che chiedono riparazione.
Norita è stata una delle fondatrici delle Madri di Plaza de Mayo, che hanno coraggiosamente infranto il muro di parole fuorvianti che uscivano dalle bocche della giunta militare. Sebbene suo figlio non sia mai stato ritrovato, Norita ha trovato la sua voce cercandolo: una voce che si è fatta sentire in ogni manifestazione per la giustizia e che ha parlato con grande sentimento del dolore nel mondo fino alle settimane precedenti la sua morte, avvenuta il 31 maggio. “Diciamo no all’annessione della Palestina”, ha detto in un videomessaggio nel 2020. “Ci opponiamo a qualsiasi misura che tenda a cancellare l’identità e l’esistenza del popolo palestinese”.
Norita ci lascia con le sue preziose parole:
Tra molti anni vorrei essere ricordata come una donna che ha dato tutta se stessa perché potessimo avere una vita più dignitosa…Vorrei essere ricordata con quel grido che dico sempre e che significa tutto quello che sento dentro di me, che significa la speranza che un giorno esista quell’altro mondo possibile. Un mondo per tutti. Quindi, vorrei essere ricordato con un sorriso e per aver gridato forte: venceremos, venceremos, venceremos!
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della ventitreeisma newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.