di Antonio Sammartino, Operatore sociale di Pistoia.
Oggi per trovare lavoro è importante l’età, l’aspetto fisico, la capacità di apprendere velocemente e adattarsi ai vari contesti aziendali dimostrando flessibilità e disponibilità. I lavoratori o aspiranti tali vivono tra di loro una perenne competizione per ottenere quando va bene un lavoro sempre più precario e malpagato.
Se questa è la situazione, figuriamoci la difficoltà che incontrano coloro che partano già da una situazione conclamata di svantaggio, come chi è affetto da una patologia o una menomazione fisica. Per quest’ultimi casi collocarsi nel mercato del lavoro è un’impresa praticamente impossibile.
Vorrei richiamare l’attenzione su alcuni soggetti che in qualità di operatore sociale mi capita da diversi anni di incontrare e sono rappresentati dagli invalidi civili con un punteggio superiore al 74% d’invalidità e quindi con residue capacità lavorative. Molti di questi soggetti vanno oggi ad ingrossare la schiera dei disoccupati poveri che sempre più frequentemente incontriamo nelle nostre città. Per avere un’idea più precisa di chi rientra in questa particolare categoria d’invalidi prendiamo spunto dalle tabelle ministeriali collegate alla legislazione vigente. Rileviamo che vi appartengono, per citare alcuni esempi, i soggetti affetti da insufficienza cardiaca grave o cirrosi epatica, soggetti con problemi all’apparato scheletrico tale da comprometterne la corretta funzionalità degli arti inferiori e superiori, persone con insufficienza mentale grave, soggetti con problemi della sfera psicologica, oppure con disfunzioni gravi tipo la trisomia 21 (Sindrome di Down).
Alcune delle patologie e disturbi sopra elencati, pensiamo ad esempio alla cirrosi epatica, alla sindrome depressiva o alla psicosi, possono essere la conseguenza di un malessere sociale, che contraddistingue sempre di più la nostra società dove sembrano rafforzarsi quei meccanismi d’esclusione nei confronti di chi è diverso o in qualche modo incapace a stare, come si suole dire, “al passo coi tempi”.
Tutto questo avviene nonostante i principi fondanti del nostro paese, sanciti nell’art. 3 secondo comma della nostra Costituzione siano altri, assegnando al nostro Stato, riporto testualmente: “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Per quanto riguarda purtroppo molti strati sociali, anche per la situazione degli invalidi civili, i principi sanciti dalla Costituzione sono clamorosamente disattesi, in quanto secondo la Legge n. 118 del 30 marzo 1971 e successive modifiche, un invalido civile con punteggio d’invalidità superiore al 74% e quindi con patologie significative, senza un’indennità di accompagnamento, ha diritto solamente ad un misero assegno mensile di soli € 279,47, vincolato oltretutto a determinate condizioni nelle quali si deve trovare il beneficiario: essere privo di impiego e avere un reddito annuo personale non superiore alla somma di Euro 4.805,19.
Questo significa che coloro hanno una patologia significativa per la quale quasi sicuramente non potranno trovare un lavoro, sono disoccupati e non hanno un reddito minimo di sussistenza, lo Stato elargisce loro un contributo economico ridicolo, del tutto insufficiente consolidando e non “rimuovendo” una condizione di povertà e di perdita della dignità personale. Ne sono la testimonianza vivente alcune persone che ho conosciuto durante la mia esperienza professionale come operatore sociale di cui riporto di seguito una breve descrizione. D. è un cittadino italiano di 60 anni e ha sempre svolto come mestiere il muratore.
Qualche anno fa D. si è ammalato, ha perso il lavoro e oggi, dopo una lunga ed estenuante trafila burocratica fatta di ricorsi e visite mediche, gli è stata riconosciuta un’invalidità civile del 75% e quindi il diritto a ricevere l’assegno mensile di € 279,47. La malattia non consente più di svolgere il lavoro che D. ha sempre fatto con passione e a questa età non ha una prospettiva concreta di ricollocarsi nel mondo del lavoro. Sua moglie svolge un lavoro part time nell’ambito delle pulizie ed entrambi i coniugi vivono con un figlio a carico appena maggiorenne che non riesce a trovare lavoro. D., troppo “vecchio” per lavorare e ancora troppo “giovane” per andare in pensione, non riuscendo a far fronte alle proprie esigenze familiari, sta ulteriormente aggravando il proprio stato di salute. M., ha anche lui un’invalidità civile con gravi problemi di deambulazione.
Vive da solo, non ha parenti sul territorio ed ha come unica entrata economica l’assegno mensile di invalidità. Da poco M., non avendo un reddito sufficiente per pagare l’affitto di casa, ha subito uno sfratto esecutivo e adesso abiterà per un breve periodo al dormitorio comunale e poi dovrà “cavarsela” da solo. S. ha 40 anni, detenuto e con problemi di tossicodipendenza. Da poco tempo S. ha scoperto di essere sieropositivo e gli è stata riconosciuta l’invalidità civile al 100% senza accompagnamento. S. presto uscirà dal carcere con la sola possibilità di percepire, come negli altri casi, l’assegno d’invalidità.
Secondo i parametri dell’Istat le situazioni descritte sopra si trovano nettamente sotto la soglia della povertà assoluta e serve poco a capirlo. In passato alcune Associazioni e realtà appartenenti al mondo del non profit presentarono una proposta di legge d’iniziativa popolare per chiedere di innalzare l’importo dell’assegno d’invalidità, ma la proposta non fu mai discussa in Parlamento. Ritenendo che la situazione descritta si ponga in netto contrasto con i dettami costituzionali sanciti dall’art. 3 è a mio avviso necessario ed urgente intentare un’azione legale attraverso le Associazioni e i Patronati che tutelano gli invalidi, arrivando fino ad una pronuncia della Corte Costituzionale, che potrebbe obbligare il Parlamento a modificare la legislazione vigente e rivalutare al rialzo l’assegno d’invalidità.