di Eleonora Forenza
3.7.18 Open Arms, Mar Mediterraneo
Hola, ¿qué tal?
vi sentireste chiedere se decideste di venire qui, sulla Open Arms. vi accoglierebbero, non vi respingerebbero, loro.
È un’esperienza che dovreste provare, per evitare di usare parole come ‘pacchia’, ‘crociera’, ‘vittoria’, #portichiusi.
Smettereste di dire falsità e provereste quella sensazione che ha provato qualsiasi essere umano nel vedere Schindler’s list: chiedersi quanti altri ne avremmo potuti salvare.
Sì perché è questo che si chiede l’equipaggio di Open Arms quando gli viene impedito di operare dalla guardia costiera italiana, che delega le operazioni di soccorso alla guardia costiera libica, che con ogni evidenza non è in grado di gestire una zona SAR.
Ogni volta che sentono parlare di un naufragio che probabilmente si sarebbe potuto evitare, come è accaduto venerdì mattina.
Avreste difficoltà a parlare di ‘rimpatrio’ dopo aver visto un barcone con 59 persone che alla sola vista di una nave gridano ‘No Libia’. O dopo aver sentito le storie di tortura e stupro che queste persone, di 14 nazionalità diverse, raccontano di aver subito in Libia.
Ve lo chiedete cosa gli succede una volta rimpatriati?
Lo sapete, vero, che allontanare le ONG non è un deterrente alle partenze, ma aumenta solo il numero dei naufragi?
Chiedo invece io a voi perché il governo italiano ha ignorato la proposta approvata dal Parlamento europeo, che prevedeva quantomeno il superamento del regolamento di Dublino sul paese di primo approdo ed un meccanismo di relocation obbligatorio tra tutti gli Stati membri in proporzione a Pil e popolazione?
Assecondare la logica di Visegrad della relocation volontaria quale vantaggio porta all’Italia? Lo sapete, nessuno. Porta solo l’Ue a un naufragio politico, etico, civile.
Io non parlo né da padre né da madre. Ma se un giorno avrò una figlia (o un figlio) vorrei insegnarle quanta gioia dà poter dividere il pane con chi ne ha più bisogno e non la paura che arrivi qualcuno con cui doverlo dividere.
Tra poche ore arriveremo a Barcellona, la città che ci accoglierà, insieme alle 59 persone che avete costretto a un viaggio ancora più lungo del dovuto.
Ringrazio ancora una volta la sindaca di Barcellona per la sua disponibilità, così come ringrazio il sindaco di Napoli, che ci avrebbe voluto accogliere ma non ha potuto a causa delle politiche di questo Governo.
Io mi sono vergognata di essere italiana. Di passare davanti alle coste delle isole italiane e pensare che fossero chiuse per le speranze di queste persone.
Mi auguro solo che sempre più italiane, sempre più italiani abbiano la volontà di ribellarsi, di dire ‘not in my name’ di fronte alle politiche di respingimento di questo Governo e della Ue.
Prima (che) gli italiani vengano ricordati per i crimini contro l’umanità commessi nel Mediterraneo.
Restiamo umani.
Eleonora Forenza, deputata europea.