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Essere un bambino nello Yemen è roba da incubo

Abbiamo deciso di tradurre l’ultima newsletter di “Tricontinental: Institute for Social Research” – un istituto di ricerca internazionale, con sedi in India, Sudafrica, Argentina e Brasile. Buona lettura!


Quarantatreesima newsletter 2021

Care compagne, cari compagni

Saluti dalla redazione del Tricontinental: Institute for Social Research.

Nel marzo 2015, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) – insieme ad altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) – hanno iniziato a bombardare lo Yemen. Questi paesi sono entrati in un conflitto che era in corso da almeno un anno, con l’escalation di una guerra civile tra il governo del presidente Abdrabbuh Mansur Hadi, il movimento Ansar Allah degli Zaidi sciiti, e al-Qaeda. Il CCG – guidato dalla monarchia saudita – voleva impedire che qualsiasi progetto politico sciita, allineato o meno all’Iran, prendesse il potere lungo il confine dell’Arabia Saudita. L’attacco allo Yemen può essere descritto, quindi, come un attacco dei monarchi sunniti alla possibilità di quello che temevano potesse diventare un progetto politico sciita nella Penisola Arabica.

Questa guerra è continuata, con i sauditi e gli emiratini sostenuti pienamente dai paesi occidentali, che gli hanno venduto armi per un valore di vari miliardi di dollari da usare contro il popolo yemenita impoverito. Da sei anni e mezzo, l’Arabia Saudita, il paese arabo più ricco, è quindi in guerra contro lo Yemen, il paese arabo più povero, senza aver ottenuto un granché. Nel frattempo, lo Yemen, che ha una popolazione di 30 milioni di persone, ne ha perse più di 250.000 in questo conflitto, metà per la violenza della guerra e metà per la violenza della fame e delle malattie, incluso il colera. Nessuno degli obiettivi militari o politici dei sauditi e degli emiratini è stato raggiunto nel corso della guerra (gli EAU si sono ritirati nel 2020). L’unico risultato di questa guerra è stata la devastazione del popolo yemenita.

Le fauci della morte

Dal febbraio 2021, le forze militari di Ansar Allah si sono spinte in avanti con lo scopo di catturare la città centrale di Marib, che non è solo l’epicentro del modesto progetto di raffinazione del petrolio dello Yemen, ma anche una delle poche parti del paese ancora controllate dal presidente Hadi. Altre province, come quelle del sud, sono nelle mani di al-Qaeda, mentre fazioni secessioniste dell’esercito controllano la costa occidentale. L’attacco a Marib ha aperto ancora di più le fauci della morte, creando, di conseguenza, una marea di rifugiati. Se Marib cade nelle mani di Ansar Allah, cosa probabile, la missione delle Nazioni Unite per mantenere Hadi come presidente del paese fallirà. Ansar Allah si muoverà allora per riunificare il paese spingendosi contro al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), che rimane in controllo della provincia di yemenita di Abyan, mentre al momento il neonato Stato Islamico sta sfidando AQAP. Gli attacchi puntuali degli Stati Uniti contro AQAP si affiancano all’affidamento che l’alleanza saudita fa su AQAP per combattere Ansar Allah sul terreno, anche attraverso assassinii per intimidire i civili e i sostenitori della pace.

10.000 bambini uccisi

Il 19 ottobre a Ginevra, al suo ritorno dallo Yemen, il portavoce dell’UNICEF James Elder ha informato la stampa, scrivendo: “Il conflitto in Yemen ha appena raggiunto un’altra pietra miliare vergognosa: 10.000 bambini sono stati uccisi o mutilati dall’inizio dei combattimenti nel marzo 2015. Questo è l’equivalente di quattro bambini ogni giorno”. Il rapporto di Elder è scioccante. Dei 15 milioni di persone (il 50% della popolazione yemenita) che non hanno accesso alle strutture di base, 8,5 milioni sono bambini. Ad agosto, il direttore esecutivo dell’UNICEF Henrietta Fore ha detto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “Essere un bambino nello Yemen è roba da incubo”. “Nello Yemen”, ha detto Fore, “un bambino muore ogni dieci minuti per cause prevenibili, tra cui la malnutrizione e le malattie prevenibili con i vaccini”.

Questo, compagne e compagni, è il costo della guerra. La guerra è un’afflizione, orribile nei suoi esiti. Raramente ci si può rivolgere alla storia e individuare una guerra che sia valsa la pena di combattere. Anche se si potesse fare una lista di queste guerre, non ci si troverebbe né lo Yemen, né tanti altri paesi che hanno sofferto per la mancanza di visione di altri.

Milioni di persone hanno perso la vita, per altre decine di milioni la vita si è sgretolata davanti ai loro occhi. Lo sguardo vuoto della persona che ha visto costantemente morte e miseria è ciò che rimane quando le bombe smettono di cadere; si tratta dello stesso sguardo vuoto della persona affamata il cui paese lotta per affrontare altre guerre di sanzioni economiche e conflitti commerciali – queste guerre sì silenziose, ma altrettanto mortali. Poco di buono viene da questa belligeranza per le persone che ne sono vittime. I paesi potenti muovono le pedine degli scacchi per favorire sé stessi; i trafficanti di armi aprono nuovi conti bancari per conservare i loro soldi – e così via.

Le ragioni esterne della guerra yemenita

La guerra nello Yemen non è solo guidata dalla politica interna del paese; è anche in gran parte il risultato della terribile rivalità regionale tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Questa rivalità sembra essere dovuta alle differenze settarie tra l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, mentre in realtà la rivalità deriva da qualcosa di più profondo: l’Arabia Saudita, islamica e monarchica, non può tollerare un governo islamico repubblicano nelle sue vicinanze. L’Arabia Saudita non aveva problemi quando l’Iran era governato dagli scià Pahlavi (1925-1979). La sua animosità crebbe solo dopo la rivoluzione iraniana del 1979, quando divenne chiaro che una repubblica islamica poteva realizzarsi nella penisola arabica (si trattava di una ripetizione della guerra saudita e britannica tra il 1962 e il 1970 contro la repubblica dello Yemen del Nord).

È quindi un gradito sviluppo che funzionari di alto livello sia dell’Iran sia dell’Arabia Saudita si siano incontrati prima a Baghdad nell’aprile di quest’anno, e poi di nuovo a settembre per preparare il tavolo per un allentamento delle tensioni. Le discussioni hanno già sollevato le questioni delle rivalità regionali in Iraq, Libano, Siria e Yemen – tutti paesi afflitti dai problemi tra Arabia Saudita e Iran. Se si raggiungesse un grande accordo tra Riyadh e Teheran, diverse guerre nella regione potrebbero terminare.

Alla ricerca delle sue origini

Nel 1962, Abdullah al-Sallal, un ufficiale militare proveniente dalla classe operaia, guidò un colpo di stato militare nazionalista che rovesciò l’ultimo sovrano del Regno Mutawakkilita dello Yemen. Molte persone sensibili si precipitarono a far parte del nuovo governo, tra cui il brillante avvocato e poeta Abdullah al-Baradouni. Nella capitale Sana’a, Al-Baradouni lavorò al servizio radiofonico dal 1962 fino alla sua morte nel 1999, elevando la qualità del discorso culturale del suo paese. Il suo diwan (raccolta) di poesie include Madinat Al Ghad’ (La città del domani), del 1968 e Al Safar Ela Ay Ayyam Al Khudr (Viaggio nei giorni verdi), del 1979. Da esilio a esilio è uno dei suoi versi classici:

Il mio paese viene consegnato da un tiranno
a quello successivo, un tiranno peggiore;
da una prigione all’altra,
da un esilio all’altro.
È colonizzato dall’invasore osservato
e da quello nascosto;
consegnato da una bestia a due
come un cammello emaciato.

Nelle caverne della sua morte
il mio paese né muore
né si riprende. Scava
nelle tombe mute alla ricerca
delle sue origini pure
della sua promessa di primavera
che dormiva dietro i suoi occhi
del sogno che verrà
del fantasma che si è nascosto.
Passa da una notte schiacciante
a una notte ancora più buia.

Il mio paese si addolora
nei suoi stessi confini
e nella terra di altri popoli
e anche sul suo stesso suolo
soffre l’alienazione
dell’esilio.

La promessa di primavera

Il paese di Al-Baradouni soffre nei suoi confini non solo per la distruzione, ma anche per la sua “promessa di primavera”, per le sue storie perdute. Come l’Afghanistan, il Sudan e tanti altri paesi del mondo, lo Yemen era una volta un centro di possibilità di sinistra, sede della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (PDRY) dal 1967 al 1990, nel sud del paese. La PDRY è emersa da una lotta anticoloniale contro gli inglesi; lotta condotta dai sindacati (Aden Trade Union Congress e il suo leader carismatico Abdullah al-Asnag) e da formazioni marxiste (il Fronte di Liberazione Nazionale), che – dopo conflitti interni – nel 1978 si fusero nel Partito Socialista Yemenita guidato dal presidente Abdul Fattah Ismail. Il PDRY tentò di attuare riforme agrarie e far avanzare la produzione agricola, creò un sistema educativo nazionale (che promuoveva l’istruzione femminile), costruì un forte sistema sanitario (compresi i centri sanitari nelle campagne), e fece approvare la legge sulla famiglia del 1974 che mise l’emancipazione femminile in cima alla sua agenda. Tutto questo fu distrutto con l’unificazione dello Yemen nel 1990. Quella memoria socialista rimane fragile negli angoli del paese devastato dalle bombe.

Con affetto,
Vijay

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