Se l’aspettavano tutti e così, puntuale come il più prevedibile dei film di quart’ordine, ci troviamo davanti a una nuova scena della vicenda catalana. Il Tribunale Supremo spagnolo ha emesso la sua sentenza: pene pesantissime, tra i nove (9) e i tredici (13) anni per tutti i nove (9) indipendentisti sotto processo. Sono stati ritenuti colpevoli del reato di “sedizione” e in aggiunta, per alcuni di loro, c’è quello di “malversazione”. Non colpevoli, invece, per quello di “ribellione”.
In totale fa 100 anni di carcere. 100 anni di carcere per aver organizzato, il 1 ottobre 2017, un processo elettorale, costruito urne, preparato schede, aver tenuto il voto.
Lo Stato Spagnolo ha inviato fin dalle prime ore del mattino la polizia per le strade, negli aeroporti e nelle stazioni dei Paesi Catalani per reprimere sul nascere qualsiasi forma di protesta. L’intento di criminalizzare il movimento catalano è chiaro. E la presunta via d’uscita delle istituzioni dal conflitto è la militarizzazione della società.
La condanna non colpisce solamente gli indipendentisti. Non c’entra nulla, infatti, essere pro o contro l’indipendenza dei Paesi Catalani. La sentenza tocca anche noi, perché parla di democrazia, di come le nostre società e i nostri apparati statali – che si auto-rappresentano continuamente come civili, liberali e democratici – affrontano il dissenso politico: lo Stato Spagnolo dimostra con questa sentenza di farlo con la repressione. Sul banco degli imputati finiamo perciò tutte e tutti noi e il nostro diritto al dissenso politico nel seno delle società europee. Per questo non possiamo voltarci dall’altra parte!
Potere al Popolo! sostiene con forza che il carcere non è la soluzione. Che i conflitti politici non si risolvono per via giudiziaria, col codice penale, come pare che invece accada sempre più spesso in giro per il mondo, tanto da meritare il conio di una nuova parola: lawfare.
Potere al Popolo!, al contrario, crede che la soluzione passi per un’amnistia come atto politico, che comporti la cancellazione dei reati, e per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione. Solo così si potrà davvero inaugurare una nuova strada.