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LE DONNE SVOLGONO IL 76,2% DEL LAVORO DI CURA NON RETRIBUITO

Non c’è bisogno di approfondire troppo i dati statistici quando i risultati sono evidenti. Per lo stesso tipo di lavoro, le donne sono pagate in media il 20% in meno degli uomini. Per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa persistente disparità, il 18 settembre l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e le Donne delle Nazioni Unite organizzano ogni anno l’International Equal Pay Day e, attraverso la Equal Pay International Coalition, fanno pressione sulle aziende e i governi per colmare lo sbadigliante divario salariale di genere. L’idea della “parità di retribuzione per lo stesso lavoro” è stata stabilita nella Equal Remuneration Convention dell’OIL (1951), in riconoscimento del fatto che le donne hanno sempre lavorato nelle fabbriche industriali, sempre di più a partire dalla Seconda guerra mondiale. La convenzione ha adottato “il principio della parità di retribuzione tra lavoratrici e lavoratori per un lavoro di pari valore”, ma i governi e il settore privato si sono rifiutati di seguirne l’esempio.

Durante la pandemia del COVID-19 si è intensificata l’attenzione per il settore sanitario, le operatrici e gli operatori sanitari sono state/-i acclamate/-i universalmente come “lavoratrici e lavoratori essenziali”. Nel marzo 2021, Tricontinental: Institute for Social Research ha pubblicato il dossier Uncovering the Crisis: Care Work in the Time of Coronavirus, presentando le opinioni delle lavoratrici del settore sanitario. Janet Mendieta dell’Unione centrale delle lavoratrici argentine ha riflettuto sull’idea di “lavoro essenziale”:

“In primo luogo, dovrebbero riconoscere che siamo lavoratrici essenziali, e poi dovrebbero riconoscerci con un salario per il nostro lavoro, perché lavoriamo molto più di quanto dovremmo. Facciamo un sacco di lavoro per promuovere l’uguaglianza di genere e la salute, lavoriamo come cuoche nelle mense e nei ristoranti, e niente di tutto questo viene riconosciuto o reso visibile. Se non viene reso visibile, di certo non sarà riconosciuto o retribuito”.

“Nulla di tutto questo viene riconosciuto”, ha detto Janet, né durante la pandemia né quando cominciammo a uscirne. Nel 2018, l’OIL ha pubblicato l’importante rapporto Care Work and Care Jobs for the Future of Decent Work, in cui si stima che il valore del lavoro di cura e domestico non retribuito ammonti al 9% del prodotto interno lordo (PIL) globale, ovvero 11.000 miliardi di dollari. In alcuni Paesi il valore è molto più alto, come in Australia, dove il lavoro domestico e di cura non retribuito ammonta al 41,3% del PIL. Sulla base dei dati sull’uso del tempo raccolti in 64 Paesi, il rapporto ha rilevato che ogni giorno 16,4 miliardi di ore sono dedicate al lavoro di cura non retribuito, di cui il 76,2% è svolto da donne. In altre parole, il lavoro di cura quotidiano non retribuito delle donne di tutto il mondo corrisponde a più di 1,5 miliardi di donne che lavorano otto ore al giorno senza retribuzione.

Nel luglio 2022, l’OIL e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno pubblicato un altro rapporto sul divario retributivo, questa volta ponendo l’accento sul settore sanitario. Il rapporto The Gender Pay Gap in the Health and Care Sector: A Global Analysis in the Time of COVID-19 ha stabilito che, nel settore sanitario e dell’assistenza, le donne guadagnano in media fino al 24% in meno degli uomini. Nonostante le donne rappresentino il 67% dei posti di lavoro in questo settore, solo una piccola parte lavora ai vertici aziendali, e il divario tra i salari degli amministratori degli ospedali e quelli delle infermiere, ad esempio, aumenta di anno in anno.

Il rapporto offre una serie di spiegazioni per questo divario retributivo. Le donne sono pagate meno a causa della “minore retribuzione associata a settori e occupazioni altamente femminilizzati”. Nei settori dell’assistenza sanitaria, come quello infermieristico, le paghe sono meno alte non a causa di livelli di competenza oggettivamente inferiori, ma perché vengono associate al “lavoro delle donne”, che è abitualmente meno valorizzato in tutto il mondo. Inoltre, il rapporto sottolinea che esiste un “divario di maternità” nelle retribuzioni – di cui non si parla spesso – visibile nei dati statistici e nelle richieste avanzate dai sindacati delle operatrici e degli operatori sanitari. I livelli di lavoro part-time nel settore sanitario sono bassi, eccezione fatta per le donne tra i 20 e i 30 anni, quando, si legge nel rapporto, “le donne devono abbandonare il mercato del lavoro o ridurre l’orario di lavoro per conciliare il lavoro con la cura non retribuita delle figli e dei figli”. Quando le donne lasciano il settore e vi rientrano più tardi o optano per il part-time, non ottengono le promozioni e gli aumenti salariali che ricevono le loro controparti maschili. In questo modo trascorrono il resto della loro vita lavorativa con salari inferiori a quelli degli uomini che svolgono lo stesso lavoro.

Durante gli ultimi 150 anni, le donne hanno lottato contro queste condizioni sociali e grazie alle loro lotte sono state stabilite tante delle convenzioni internazionali sul lavoro e sui diritti umani. A Tricontinental: Institute for Social Research abbiamo raccolto le storie di queste lotte e delle donne che le hanno condotte. Una delle nostre ultime pubblicazioni – realizzata in collaborazione con ALBA Movimientos – porta il titolo Chrysalises: Feminist Memories from Latin America and the Caribbean. Qui si parla di Arlen Siu del Nicaragua (1955-1975), di Dona Nina del Brasile (nata nel 1949) e della Confederazione nazionale delle donne contadine Bartolina Sisa della Bolivia (i cui membri sono noti come Las Bartolinas), fondata nel 1980. Ognuna di queste donne e le loro organizzazioni hanno fatto parte della lotta globale contro le miserevoli condizioni sociali di disuguaglianza.

Sono state donne come Arlen, Dona Nina e Las Bartolinas a elaborare le richieste di autonomia economica della Marcia Mondiale delle Donne. La newsletter di questa settimana si conclude con le loro parole, che rivendicano:

  • Il diritto di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori (comprese quelle vulnerabili, come le lavoratrici domestiche e migranti) a un impiego in condizioni sicure e sane, senza molestie e nel rispetto della loro dignità, in tutto il mondo e senza discriminazioni (nazionalità, sesso, disabilità, ecc.) di alcun tipo.
  • Il diritto alla sicurezza sociale, che comporta la garanzia del reddito in caso di malattia, disabilità, congedo di maternità e paternità e pensionamento che permettano a donne e uomini di avere una vita dignitosa.
  • Parità di salario a parità di lavoro per donne e uomini, tenendo conto anche della remunerazione del lavoro nelle aree rurali.
  • Un salario minimo equo legale (che riduca la differenza tra i salari più alti e quelli più bassi e permetta alle lavoratrici e ai lavoratori di sostenere se stessi e le proprie famiglie) che serva da riferimento per tutti i lavori salariati (pubblici e privati) e per la previdenza sociale. La creazione o il rafforzamento di una politica di adeguamento permanente del salario minimo e di valori comuni per regioni e subregioni.
  • Il rafforzamento dell’economia solidale con crediti a basso interesse, il sostegno alla distribuzione e alla commercializzazione, e lo scambio di conoscenze e pratiche locali.
  • L’accesso delle donne alla terra, alle sementi, all’acqua, alle materie prime e a tutto il supporto necessario per la produzione e la commercializzazione in agricoltura, pesca, allevamento e artigianato.
  • La riorganizzazione del lavoro domestico e di cura in modo che la responsabilità di questo lavoro sia condivisa equamente tra uomini e donne all’interno di una famiglia o di una comunità. Affinché ciò diventi realtà, chiediamo l’adozione di politiche pubbliche di sostegno alla riproduzione sociale (come asili nido, lavanderie e ristoranti collettivi, assistenza agli anziani, ecc), nonché una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della quattordicesima newsletter (2023) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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