In questi giorni vengono riportate diverse mistificazioni da alcuni organi di stampa in merito al CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), il trattato di liberalizzazione del commercio tra Canada e Europa, già entrato a settembre scorso in applicazione provvisoria, per cui ci sembra opportuno ribadire che questo mette a rischio le risorse di acqua dolce e i servizi idrici su ambedue le sponde dell’Atlantico.
Infatti, alcune disposizioni di questo trattato pongono serie minacce all’acqua come risorsa naturale e ne favoriscono la definitiva mercificazione.
Innanzitutto, intendiamo ribadire che l’acqua è inclusa nel CETA a dispetto di tutte le promesse che questa sarebbe stata esclusa dalle trattative e nonostante il parere del Parlamento Europeo espresso nella risoluzione dell’8 settembre 2015 a seguito dell’Iniziativa dei Cittadini Europei Right2Water (2014/2239 (INI), no. 22), in cui il Parlamento “richiede alla Commissione di escludere in via permanente i servizi idrosanitari e il trattamento/smaltimento delle acque reflue dalle regole del mercato interno e da qualsiasi trattato commerciale”.
Le clausole dell’Art. 1.9 del CETA potrebbero portare ad una ulteriore mercificazione dell’acqua e ad un accaparramento da parte delle multinazionali. L’articolo afferma: “Se una delle parti permette l’utilizzo commerciale di una specifica risorsa idrica, ciò verrà fatto in conformità al presente accordo”, senza definire cosa si intende per “utilizzo commerciale” o “risorsa idrica”. Nel caso di “utilizzo commerciale” i diritti sull’acqua sono soggetti alle regole del CETA sul commercio e gli investimenti.
Le riserve all’Accesso al Mercato ed al Trattamento Nazionale adottate per i servizi di “raccolta, trattamento e distribuzione dell’acqua” non sono sufficienti a garantire una completa protezione. Sarebbe stato necessario introdurre le riserve sulla Nazione Maggiormente Favorita e sui Requisiti sui Livelli di Prestazione.
La cooperazione regolatoria e la protezione degli investimenti blinderebbero la privatizzazione dei servizi idrici e renderebbero impossibile ai governi di richiedere di ricondurre i servizi idrici sotto gestione pubblica, tendenza che sta crescendo in Europa.
Il CETA potrebbe limitare la capacità operativa delle aziende pubbliche in quanto i diritti sull’acqua sono trattati come investimenti e le riserve non coprono tutte le attuali e future attività che gli operatori pubblici devono espletare in accordo alla legislazione nazionale.
Nel CETA è assente un approccio basato sul principio di precauzione, che è un componente inerente alla legislazione UE. La cooperazione regolatoria potrebbe potenzialmente restringere lo spazio politico degli stati membri della UE. Ciò potrebbe avere grosse ripercussioni sulla salute, l’ambiente e la tutela delle risorse idriche.
Il CETA ignora la natura unitaria del ciclo dell’acqua, la limitatezza delle risorse idriche del pianeta e la natura multifunzionale dell’acqua negli ecosistemi.
L’Unione Europea e lo Stato Italiano devono considerare l’acqua come un bene comune, e l’accesso all’acqua ed ai servizi idrosanitari come un diritto umano.
Per queste ragioni chiediamo al Governo Italiano e al Parlamento di non ratificare il CETA e di approvare subito la legge per l’acqua pubblica nella versione aggiornata e depositata nella scorsa legislatura dall’intergruppo parlamentare per “l’acqua bene comune”.
17 Luglio 2018.
Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua