Il 16 agosto 2024, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), la cui formazione nel 1948 come istituzione della Guerra Fredda fu promossa dagli Stati Uniti, ha votato una risoluzione sulle elezioni presidenziali venezuelane. Il nocciolo della risoluzione proposta dagli Stati Uniti chiedeva all’autorità elettorale venezuelana, il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), di pubblicare al più presto tutti i dettagli delle elezioni (compresi le actas, o registri di voto, a livello di seggi locali). Questa risoluzione chiede al CNE di andare contro la legge organica sui processi elettorali del Venezuela (Ley Orgánica de Procesos Electorales o LOPE): poiché la legge non richiede la pubblicazione di questi materiali, farlo sarebbe una violazione del diritto pubblico. La legge indica che il CNE deve annunciare i risultati entro 48 ore (articolo 146) e pubblicarli entro 30 giorni (articolo 155) e che i dati provenienti dai seggi elettorali (come le actas) devono essere pubblicati in forma tabellare (articolo 150).
È pura ironia che la risoluzione sia stata votata nella sala Simón Bolívar della sede dell’OSA a Washington. Simón Bolívar (1783-1830) liberò il Venezuela e i territori limitrofi dall’Impero spagnolo e cercò di realizzare un processo di integrazione che rafforzasse la sovranità della regione. Per questo motivo la Repubblica Bolivariana del Venezuela rende omaggio alla sua eredità nel suo nome. Quando Hugo Chávez vinse le elezioni presidenziali nel 1998, mise Bolívar al centro della vita politica del Paese, cercando di portare avanti questa eredità attraverso iniziative come l’Alleanza Bolivariana per i Popoli delle Nostre Americhe (ALBA), che avrebbe proseguito il percorso di affermazione della sovranità nel Paese e nella regione. Nel 1829, Bolívar scrisse: “In nome della libertà, gli Stati Uniti sembrano destinati dalla prudenza ad affliggere l’America [latina] con la miseria”. Questa miseria, nel nostro tempo, è esemplificata dal tentativo degli Stati Uniti di soffocare i Paesi latinoamericani attraverso colpi di Stato militari o sanzioni. Negli ultimi anni, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Venezuela sono stati l’epicentro di questa “piaga”. La risoluzione dell’OSA fa parte di questo soffocamento.
Molti Paesi con governi apparentemente di centro-sinistra o di sinistra si sono uniti agli USA nel votare la risoluzione dell’OSA. Tra questi, Brasile, Cile e Colombia. Il Cile, nonostante abbia un presidente che ammira Salvador Allende (ucciso in un colpo di Stato imposto dagli Stati Uniti nel 1973), su molte questione (tra cui il Venezuela e l’Ucraina) ha mostrato un orientamento di politica estera in linea con il Dipartimento di Stato americano. Dal 2016, su invito del governo cileno, il Paese ha accolto quasi mezzo milione di migranti venezuelani, molti dei quali privi di documenti e ora esposti alla minaccia di espulsione da un ambiente sempre più ostile in Cile. È quasi come se il presidente del Paese, Gabriel Boric, volesse vedere cambiare la situazione in Venezuela per poter ordinare il ritorno dei venezuelani in patria. Questo atteggiamento cinico nei confronti dell’entusiasmo del Cile per la politica statunitense sul Venezuela, tuttavia, non spiega il posizionamento di Brasile e Colombia.
Nel dossier proponiamo sette spiegazioni per questa fragilità:
1. le crisi finanziarie e ambientali mondiali, che hanno creato divisioni tra i Paesi della regione sulla strada da seguire;
2. la riaffermazione del controllo degli Stati Uniti sulla regione, che avevano perso durante la prima ondata progressista, in particolare per contrastare quello che gli USA considerano l’ingresso della Cina nei mercati latinoamericani. Questo include le risorse naturali e lavorative della regione;
3. la crescente uberizzazione dei mercati del lavoro, che ha creato molta più precarietà per la classe operaia e ha avuto un impatto negativo sulla sua capacità di organizzazione di massa. Ciò ha comportato un significativo arretramento dei diritti dei lavoratori e un indebolimento del potere della classe operaia;
4. la riconfigurazione della riproduzione sociale, che si è incentrata sul disinvestimento pubblico nelle politiche di assistenza sociale, ponendo così la responsabilità della cura nella sfera privata e sovraccaricando soprattutto le donne;
5. l’aumento del potere militare degli Stati Uniti nella regione, come principale strumento di dominio in risposta al declino del loro potere economico;
6. il fatto che i governi della regione non siano stati in grado di sfruttare l’influenza economica della Cina e le opportunità che essa offre per promuovere un’agenda sovrana e che la Cina, che è emersa come il principale partner commerciale dell’America Latina, non abbia cercato di sfidare direttamente l’agenda statunitense per assicurarsi l’egemonia sul continente;
7. le divisioni tra i governi progressisti, insieme all’ascesa del neofascismo nelle Americhe, ostacolano la crescita di un’agenda regionale progressista, comprese le politiche di integrazione continentale simili a quelle proposte durante la prima ondata progressista.
Questi e altri fattori hanno indebolito l’assertività di questi governi e la loro capacità di realizzare il sogno bolivariano condiviso di sovranità e partenariato regionale.
Come sosteniamo nel dossier, “la difficoltà di costruire un progetto politico di sinistra che possa superare i problemi quotidiani ed esistenziali della classe operaia ha allontanato molti di questi progetti elettorali progressisti dalle esigenze delle masse”. Le classi lavoratrici, intrappolate in occupazioni precarie, hanno bisogno di massicci investimenti produttivi (guidati dallo Stato) che si basano sull’esercizio della sovranità su ogni Paese e sulla regione nel suo complesso. Il fatto che alcuni Paesi della regione si siano allineati agli Stati Uniti per diminuire la sovranità del Venezuela dimostra che questi fragili progetti elettorali hanno una scarsa capacità di difendere la sovranità.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della trentaquattresima newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.