Intervista con Matteo Berardi (Cassinetta) e Gianni Bassani (Siena)
È passata più di una settimana dal decreto “Resto a Casa” con cui il Governo dichiarava lo stato di quarantena nazionale e l’obbligo di permanenza domiciliare. Una settimana molto intensa per gli attivisti del Telefono Rosso, il numero di assistenza, segnalazioni e consulenza per lavoratori attivato da Potere al Popolo per tutta la durata dell’emergenza epidemica.
In questi giorni abbiamo ricevuto oltre 150 segnalazioni e richieste di sostegno da parte di lavoratori di ogni settore e sono decine i casi seguiti attualmente dai nostri legali e attivisti. Non solo: ci siamo impegnati a monitorare quotidianamente la situazione di fabbriche, poli logistici e call centre, rilevando purtroppo che esistono numerosissime situazioni critiche in cui i lavoratori continuano a lavorare in condizioni non adeguate agli standard di sicurezza: distanze insufficienti tra una postazione di lavoro e l’altra, assembramenti spesso inevitabili negli spazi comuni come corridoi, spogliatoi, uffici o sulle catene di montaggio, DPI insufficienti, sanificazioni sporadiche o non effettuate.
Ma non ci sono solo cattive notizie, questi appena passati sono stati anche giorni di grande agitazione in tutto il mondo operaio e non solo. In numerosi stabilimenti in tutta Italia gli operai hanno imposto il rispetto delle condizioni di sicurezza, i più determinati anche l’arresto completo della produzione: scioperi alla FCA di Pomigliano, alla Electrolux di Susegana, alla Fincantieri di Porto Marghera, alla Pasotti di Brescia, all’AST di Terni, alla Piaggio di Pontedera, alla Amazon di Castel San Giovanni. Solo per citarne alcuni. Nei giorni scorsi è arrivato l’arresto di alcuni grandi gruppi attivi in Italia, i più noti: la Fiat-Crysler chiude i siti italiani ed europei fino al 27 marzo, la Fincantieri fino al 29 marzo, seguono Maserati, Yamaha, Ducati fino al 25 marzo e Arcelor Mittal che a Genova ricorre alla cassa integrazione. Decine invece sono le aziende spinte dagli scioperi, spontanei e non, e dai sindacati a sospendere l’attività per sanificare gli stabilimenti, a ridurre le produzioni e a riorganizzare i turni per ridurre il personale operativo.
Ma questo non basta. Sono appena 3 milioni i lavoratori fermi in questo momento per effetto del DPCM 11/03/2020, incerta è la sorte di 4 milioni di lavoratori subordinati, mentre le misure non raggiungono gli 8 milioni i lavoratori dei servizi essenziali che non possono fermarsi (scuola, sanità, pubbliche amministrazioni, catena alimentare), e infine restano a lavoro per il profitto dei privati ben 8 milioni di occupati in settori manifatturieri e di servizio alle imprese. Ben 12 milioni sono i lavoratori ancora occupati in settori non necessari, troppi per contrastare efficacemente l’epidemia del Covid-19.
Tra i grandi gruppi che si ostinano a continuare la produzione c’è Whirlpool, che in Italia conta ben sei stabilimenti. Di queste questioni e non solo, abbiamo voluto parlare con Matteo Berardi, delegato Fiom nello stabilimento Whirlpool di Cassinetta (Lombardia) e con Gianni Bassani, delegato per i Cobas Lavoro Privato nello stabilimento Whirlpool di Siena.
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Matteo, voi della Whirlpool di Cassinetta siete stati una delle prime fabbriche italiane a scioperare dal momento dell’esplosione dell’epidemia da Covid-19. Cosa vi ha spinto a dichiarare lo sciopero e cosa avete ottenuto?
Ci ha spinto innanzitutto la contraddizione del decreto “Io resto a casa”, quindi il fatto che ci siano lavoratori di serie A e serie B. Non era possibile andare a lavorare di fronte a questo dramma. Abbiamo chiesto all’azienda martedì 10 di fermare le fabbriche, l’azienda non ci ha sentito e pertanto siamo scesi immediatamente in sciopero e siamo andati a casa. Mentre il decreto del Governo prevedeva “Io resto a casa”, noi abbiamo scritto sul comunicato “Noi ce ne andiamo a casa” perché non abbiamo le misure di sicurezza. L’obiettivo era di fermare la produzione per tre giorni per mettere in sicurezza le fabbriche, sanificare, rivedere i cicli di lavoro, ridurre i cicli di cadenza, ridurre le persone all’interno dei luoghi comuni e delle fabbriche, perché Cassinetta ha tre fabbriche con 1500 lavoratori, una densità tale da poter essere considerata un paese. L’azienda dopo lo sciopero si è seduta al tavolo e abbiamo concordato tre giornate di chiusura collettive per mettere in sicurezza lo stabilimento e rivedere i cicli produttivi come richiesto. Abbiamo ridotto i turni e il volume delle produzioni, quindi il personale all’interno della fabbrica, oltre a garantire la distanza di sicurezza tra le persone, le mascherine, e tutto quello che c’è da fare per garantire la prevenzione dal contagio. Gli operai ci hanno subito seguito, come sempre hanno fatto in questi anni quando abbiamo mobilitarci per difendere i nostri diritti e in questo caso il diritto alla salute.
Quindi avete ottenuto conquiste importanti in un momento in cui la Whirlpool non voleva fare un solo passo indietro. E tuttavia la Whirlpool ha deciso di continuare a produrre nei suoi stabilimenti…
Gianni, voi a Siena invece non avete scioperato, tuttavia non siete rimasti a guardare e come RSU avete ottenuto ben 4 accordi in pochi giorni, minacciando lo sciopero, e forse anche grazie allo stato di agitazione dei vostri colleghi di Cassinetta avete ottenuto qualche risultato. Com’è andata precisamente e com’è la situazione ora?
Noi abbiamo seguito l’iter dei compagni di Cassinetta, con le dovute eccezioni del caso. A differenza loro, che lavorano a ciclo serrato, noi siamo uno stabilimento in crisi, che lavora in regime di solidarietà, ovvero a produzione ridotta, quindi abbiamo potuto utilizzare delle giornate di “solidarietà”, di chiusura, già previste durante il mese, spostandole a cavallo tra queste due settimane, per consentire le operazioni di messa in sicurezza degli impianti. Dopo non c’è stata la necessità di uno sciopero, non perché non fossimo decisi a farlo, ma perché siamo riusciti attraverso il negoziato a ottenere tutte le condizioni di sicurezza di cui avevamo bisogno, firmando in una settimana ben 4 accordi e monitorando costantemente la situazione, ottenendo molto di più di quello che il Protocollo prevede, quindi non solo la chiusura per la sanifica di tutto lo stabilimento, ma abbiamo ottenuto il congedo retribuito dei colleghi immunodepressi fino al 3 aprile, abbiamo garantito mascherine per tutti ancorché dietro richiesta, guanti in lattice laddove necessario, abbiamo istallato divisori in plexiglass nelle postazioni più vicine di un metro e mezzo, abbiamo modificato gli accessi e i turni di mensa per evitare affollamenti.
L’impressione è che sui posti di lavoro si stia giocando una partita chiave. Da una parte c’è chi vuole tutelare il diritto al profitto e la libertà d’impresa (Confindustria in primis); dall’altro chi vuole tutelare il diritto alla salute. I sindacati confederali, da parte loro, non hanno opposto una resistenza davvero determinata alla volontà degli industriali di continuare le attività produttive, cercando un impossibile compromesso con la controparte. Il risultato è stato un Protocollo firmato dalle parti sociali e dal Governo lo scorso 14 marzo in cui si vuole – citiamo testualmente – “coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza”.
Il documento si limita a “suggerire” e “raccomandare” alle imprese di provvedere al rispetto delle condizioni di sicurezza. Fioccano gli “a meno che”, le eccezioni… Se non si trovano mascherine conformi alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ad esempio, si potrà far uso di mascherine di altre tipologie. Bisogna rispettare la distanza interpersonale non inferiore a un metro, ma solo “a meno che” non sia impossibile. La “sanificazione” non dovrà essere quotidiana, ma solo periodica.
Un Protocollo peraltro non rispettato da tutte le imprese, talvolta proprio per l’impossibilità oggettiva di assicurare le condizioni di sicurezza previste. E il Governo cosa fa? Piuttosto che disporre l’interruzione delle attività produttive negli stabilimenti a rischio, chiude un occhio, ammicca a Confindustria.
Eppure il blocco delle attività produttive non necessarie (al rifornimento di beni alimentari e sanitari) sembrerebbe un provvedimento ancor più sensato ora che il Governo ha finalmente approvato – con il decreto “Cura Italia” – la destinazione di una Cassa integrazione in deroga fino a 9 settimane per coprire i lavoratori delle aziende che arresteranno la propria attività. Per non parlare poi del fatto che il mantenimento della produzione, specie nelle zone più a rischio, espone di fatto a ulteriori rischi di crisi il sistema sanitario già in panne, che non sappiamo come potrebbe reagire a nuove esplosioni di contagio di massa concentrate nei grandi concentramenti produttivi.
Ma insomma Gianni, ti chiedo, davvero secondo te è così importante in questo momento mettere a rischio la salute dei lavoratori per produrre merci non necessarie se non al profitto privato, come potrebbero essere lavatrici, frigoriferi, piani cottura, e altri prodotti del genere?
Allora, per quanto riguarda noi Cobas Lavoro Privato diciamo una cosa molto chiara: per noi non c’è profitto che tenga rispetto alla salute dei lavoratori. Per quanto ci riguarda si doveva restare a casa punto e basta. Devo dire che noi abbiamo contribuito molto volentieri a realizzare tutte le norme che sono state messe in campo per garantire la sicurezza dei lavoratori, però resta il fatto che l’unico provvedimento certo per tutelare la salute di chi lavora è interrompere le produzioni. Il danno economico è già stato fatto, quindi bisognerebbe abbandonare la logica del debito, del rientro del debito, ecc. Il Protocollo firmato tra parti sociali e Governo può servire a dare una omogeneità nei luoghi di lavoro, nella stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro dove le condizioni igieniche e di sicurezza già di per sé normalmente sono infami… quindi da questo punto di vista se c’è una omogeneità di norme bisogna sicuramente accoglierla, però, manca d’altra parte tutta la parte su chi controlla… Il controllo viene scaricato interamente sulle rappresentanze sindacali, che se hanno rapporti di forza favorevoli possono far valere il rispetto di queste norme, laddove questi rapporti di forza non ci sono non si capisce chi dovrebbe far rispettare queste norme… Insomma, questo Protocollo nasce veramente sciagurato…
Insomma grande è l’agitazione nel mondo operaio, alcune aziende hanno già deciso di interrompere la produzione, ma la Whirlpool nei suoi sei stabilimenti in Italia, da Cassinetta a Napoli, continua a produrre. E questo forse è un oltraggio tanto maggiore nei confronti di quanti, lo scorso 31 maggio, si sono visti sbattere in faccia una decisione unilaterale di chiusura da parte dell’azienda. Quella stessa azienda che per decenni si è arricchita sulle spalle dei lavoratori, che poi ha sbattuto loro in faccia contratti di solidarietà, cessioni e ristrutturazioni (Carinaro, Teverola, Trento, Napoli), ora pretende la fedeltà e la dedizione degli operai per continuare a fare profitti. Come a dire, vi chiudiamo però vi sfruttiamo fino alla fine, ammalati o in buona salute…
Matteo, questa Whirlpool non cambia mai… ma, ti chiedo, questa situazione di crisi non potrebbe essere una opportunità per unire gli operai del gruppo Whirlpool da Cassinetta a Napoli, in una lotta solidale e comune, oggi contro il Covid-19 per il blocco della produzione negli stabilimenti di frontiera in Lombardia e Toscana, domani per il rinnovo della solidarietà e per l’impedimento di cessione dello stabilimento di Via Argine?
Secondo me questa era l’opportunità… così com’è successo nel 1920 quando ci fu un grande sciopero generale contro la guerra, contro l’avanzare di questo capitalismo… Io credo che qui siamo nella stessa situazione, siamo in guerra, e pertanto avremmo dovuto dichiarare uno sciopero generale per portare, non Confindustria, ma i padroni a sedersi al tavolo… Ai padroni bisogna dire che le fabbriche non sono fatte di processi produttivi, non sono fatte di uffici e di linee di montaggio, sono fatte di persone, di persone in carne e ossa che hanno a casa dei figli, degli anziani, dei familiari. Questo era il momento opportuno per far capire a questi personaggi che le loro fabbriche le facciamo girare noi. Bisogna dare valore aggiunto all’operaio, perché se non c’è l’operaio, se non c’è questo valore aggiunto, non c’è nessun profitto per gli imprenditori. Allora speriamo che questa sia l’occasione per far capire a questi signori che al centro di ogni trattativa c’è la persona, c’è l’operaio, con tutti i suoi problemi. Nelle fabbriche ci siamo noi e i padroni devono rispettare la nostra libertà, la nostra dignità, i nostri bisogni. Noi non abbiamo paura per noi, ma per le nostre famiglie. Abbiamo paura di portare il virus a casa, dove abbiamo persone più deboli, persone anziane. Pertanto il fatto che non abbiamo fermato le fabbriche con uno sciopero generale è stato un errore grave perché qui avevamo l’opportunità per mettere al centro il valore delle persone e il valore di quanti oggi sono al centro dell’economia.
Ringraziamo Matteo e Gianni per essere stati con noi e auguriamo loro una buona sorte, lontano dal Coronavirus. Agli operai e alle operaie di tutto il paese auguriamo il blocco immediato di tutte le attività NON necessarie. Ma siamo consapevoli che anche in questa tragica situazione la classe operaia e i lavoratori di questo paese non otterranno concessioni dalla controparte se non lottando strenuamente e scioperando per difendere i propri diritti, primo tra tutti il diritto alla salute. Oggi come mai prima è proprio il caso di dirlo:
CHIUDIAMO TUTTE LE ATTIVITA’ NON NECESSARIE E IN CASO CONTRARIO PROCEDIAMO CON UNO SCIOPERO GENERALE IN TUTTO IL PAESE!
PER LE SEGNALAZIONI AL TELEFONO ROSSO CHIAMA
Dalle 11,30 alle 13,00 – 3283965965
Dalle 13,00 alle 15,00 – 3208719037
Dalle 18, 00 alle 19,30 – 3519675727
Dalle 19,00 alle 20,30 – 327 2979156
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