Site icon Potere al Popolo

Cuba, il vaccino per i bambini ignorato dall’Occidente

Di Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo

 

Pochi giorni fa M. è tornato finalmente a respirare da solo, senza l’aiuto di macchine, respiratori automatici o dei caschi usati nelle terapie sub-intensive.

M. è un ragazzino di soli 11 anni che dall’8 novembre è stato ricoverato nella rianimazione dell’Ospedale pediatrico Santobono di Napoli perché ammalatosi di Covid. All’arrivo era in una situazione difficilissima, a rischio della sua stessa vita.

Da qualche giorno, per fortuna, è in costante miglioramento. Festeggerà finalmente il suo undicesimo compleanno, anche se lì in reparto e senza poter ovviamente soffiare sulle candeline. E anche se lo farà in ritardo rispetto alla sua data di nascita, 20 novembre, lui, la sua famiglia e i suoi amici hanno di che esser felici e di che festeggiare.

M. non è purtroppo l’unico bambino ad aver sofferto e a soffrire a causa del Covid-19.

Per quanto il coronavirus finora abbia inciso meno nei bambini che negli adulti, in Italia nella fascia d’età 0-19 abbiamo già pianto 35 morti. I numeri (fonte: Istituto Superiore di Sanità) poi di bambini o adolescenti passati per Terapie Intensive (252), ospedalizzati (2.088) o comunque contagiati (235.157) restituiscono il quadro di un virus che non dispensa i bambini.

E negli ultimi mesi la situazione su questo fronte è in deciso e costante peggioramento. Se a fine ottobre 2021 si registrava un 24% di under 20 tra il totale dei contagiati, dopo un mese – a fine novembre 2021 – la percentuale era già salita al 30%, con particolare rilievo per la fascia 5-11 anni, che conta quasi il 50% dei contagi registrati nella popolazione minorenne.

Più aumentano i contagi tra giovani e giovanissimi, più avanza il dibattito sulla necessità o meno di allargare il vaccino anche a queste fasce d’età. Non è discussione solo italiana e, anzi, in alcuni Paesi è già iniziata la somministrazione ai bambini.

Qui da noi non abbiamo ancora una data certa, sebbene di annunci ne abbiamo già ascoltati: il sottosegretario alla Salute Andrea Costa ha affermato che ci si sta organizzando per “essere pronti a iniziare la somministrazione prima di Natale, tra il 20 e il 25 di dicembre”. Più rapidi i tempi secondo Figliuolo, per il quale la data potrebbe essere lunedì 16 dicembre.

Tra qualche giorno, quindi, alla popolazione tra i 5 e gli 11 anni sarà somministrato un vaccino Pfizer a dosaggio ridotto, pari a un terzo di quello autorizzato per adulti e adolescenti, e con formulazione specifica. È questa la decisione presa dall’autorità regolatoria italiana AIFA nella riunione del 1 dicembre.

La conferma che l’attenzione si è ormai concentrata sulle terze dosi e sulle vaccinazioni pediatriche – ponendo ancora una volta irresponsabilmente in secondo piano la necessità di vaccinare tutto il mondo per impedire che il virus continui a circolare senza ostacoli, con la possibilità che ci siano nuove mutazioni e varianti – è venuta dalle parole rilasciata il 2 dicembre dal CEO della Pfizer, Albert Bourla, alla BBC: “le scuole stanno diventando il bacino del contagio SARS2 […] per la creazione di nuove varianti”.

Tuttavia, è qui che iniziano a sorgere i primi problemi. I dubbi e le preoccupazioni sono tutt’altro che trascurabili. A maggior ragione quando a porre domande sono membri della comunità scientifica tutt’altro che tacciabili di essere “no vax”. Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova, ad esempio, si è dichiarato “attendista”, sostenendo che “fra due mesi, quando avremo i dati di Israele dove sono partiti a tamburo battente con la campagna pediatrica, potremo concludere che questi vaccini sono sicuri”.

O, anche, genitori impauriti che, come mostra un’inchiesta effettuata negli USA: se è vero che il 70% risponde di essere già vaccinato o di esser pronto per vaccinarsi a breve, la percentuale scende al 58% quando si chiede loro se abbiano intenzione di vaccinare i propri figli.

Di fronte a fasce di popolazione che potrebbero essere recalcitranti dinanzi al fatto che vaccini a tecnologia mRNA, come Pfizer e Moderna, non sono mai stati utilizzati finora sui bambini, sarebbe stupido pensare di risolvere il problema apponendo l’etichetta di ignoranti o “no vax”. Come suggerisce lo statunitense “The Atlantic”, “il vaccino a vettore adenovirale della Johnson & Johnson potrebbe essere una alternativa attraente per tutti coloro i quali sono preoccupati dei vaccini mRNA sulla base della loro relativa novità”.

Un ragionamento di assoluto buon senso, fondato sulla convinzione che quante più armi avremo a disposizione nella battaglia contro il Covid-19, meglio sarà. Senza dimenticare quegli strumenti ormai quasi spariti dal mainstream: tracciamento, tamponi a tappeto, uso dei DPI e rispetto del distanziamento.

Seguendo questa linea di ragionamento, però, diventa ancor più incomprensibile il silenzio che avvolge i vaccini non occidentali, in particolare il cubano Soberana 02, che ha una caratteristica che lo rende di fatto unico al mondo: si tratta, infatti, dell’“unico vaccino coniugato contro SARS-CoV-2, disegnato pensando direttamente alla popolazione pediatrica”, per usare le parole del ricercatore palermitano Fabrizio Chiodo, che ha partecipato in prima persona allo sviluppo dei vaccini con l’Istituto Finlay de L’Avana.

Quando sono stato a Cuba per partecipare allo studio clinico che prevedeva la somministrazione del Soberana Plus come “booster” su soggetti convalescenti o già vaccinati con vaccini approvati da EMA, ho avuto modo di chiedere direttamente agli scienziati del Finlay per quale motivo, quando all’inizio della pandemia in tutto il mondo circolavano voci rassicuranti sulla “gentilezza” del Covid-19 nei riguardi dei bambini, a Cuba si fossero impegnati tanto nella ricerca di un vaccino appositamente pensato per la popolazione pediatrica. Ricardo Pérez, responsabile delle Relazioni Internazionali dell’Istituto Finaly, ha sottolineato due ragioni principali: “Abbiamo innanzitutto dovuto constatare che alcuni adulti e anziani, malgrado le restrizioni e l’isolamento in casa, continuavano ad ammalarsi. Ci siamo così resi conto che i bambini erano potenziale vettore di contagio per le persone con cui vivevano, a partire dai nonni. In secondo luogo, sebbene molti bambini non sviluppino sintomi gravi, purtroppo non sempre e per tutti va così. E per noi la vita, e a maggior ragione quella dei più piccoli, è sacra e non conosciamo altare su cui possa valere la pena sacrificarla”.

Un vaccino per i bambini ma anche per aumentare la capacità di resistenza della società nel suo complesso, dunque. E dai dati che oggi Cuba può mostrare al mondo intero, si tratta per ora di una storia di assoluto successo: dal 3 settembre a oggi è stato già vaccinato il 97% della popolazione tra i 2 e i 18 anni – pari a quasi 2 milioni di bambini e adolescenti – e nessun grave effetto collaterale registrato.

Lo schema vaccinale per i bambini ha mostrato in adulti un’efficacia del 91,2% e consiste nella somministrazione di due dosi di Soberana 02 a un intervallo di 28 giorni l’una dall’altra e di una terza con Soberana Plus, boost, dopo ulteriori 28 giorni.

Proprio sulla base di questa massiccia campagna vaccinale – accompagnata dal mantenimento delle misure su mascherine obbligatorie anche all’aperto e distanziamento – il 15 novembre su tutta l’isola c’è stata la riapertura delle scuole. “Cosa sarebbe successo se avessimo mandato i nostri figli a scuola senza vaccinazione?”. Una parziale risposta alla domanda posta da Vicente Vérez Bencomo, direttore dell’Istituto Finlay, arriva dall’osservazione di quanto accade in questi giorni in Italia. Classi che chiudono una dietro l’altra perché si registrano nuovi contagi, dopo difficili riaperture seguite a lunghissimi periodi di DaD e chiusure, mostrano plasticamente quanto sia fallimentare pensare al Covid-19 slegandolo da una risposta complessiva, che attiene anche alle necessarie trasformazioni sociali e politiche, a partire dal mondo della scuola.

Di fronte ai dati e ai fatti che vengono da Cuba sarebbe da irresponsabili girare la faccia dall’altra parte in virtù di un pregiudizio ideologico nei confronti dell’isola della “revolución”. A partire dall’AIFA, le nostre istituzioni dovrebbero prendere in seria considerazione la possibilità di allargare l’arsenale a nostra disposizione contro il Covid-19, a partire da quei vaccini che hanno dato prova di funzionare, di essere sicuri e affidabili. Esistono le possibilità di procedere anche ad autorizzazioni per uso d’emergenza, a vagliare la possibilità di studi.

Visto che ogni giorno ci ripetono che dobbiamo accelerare e fare in fretta, cosa stiamo aspettando?

Articolo pubblicato su Left il 17 dicembre 2021.

Exit mobile version