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CROLLO DEL MORANDI, UN ANNO DOPO: DOV’È FINITA LA NAZIONALIZZAZIONE DI AUTOSTRADE?

La mattina del 14 agosto dello scorso anno, alle 11:36 il crollo del Ponte Morandi a Genova causava la morte di 43 persone e il successivo allontanamento di circa 600 abitanti dalla zona del disastro.

Una strage che ha segnato in modo profondo la città di Genova e la vita dei suoi cittadini.

Insieme al Ponte veniva giù un mito tossico, un narrazione tutta funzionale al profitto di pochi, la pretesa verità secondo cui il “privato efficiente” rappresenta la migliore soluzione per il benessere collettivo. A differenza dello Stato, che invece è corrotto, spendaccione, inefficiente.

Già all’indomani abbiamo parlato di strage, non di tragedia. Abbiamo parlato di strage prima ancora che il lento e complesso lavoro di indagine degli organi competenti cominciasse a svelarci che il Ponte era caduto per l’incuria, per lo stato di degrado in cui versava, per la mancata manutenzione. Il Ponte è crollato perché si è privilegiata la garanzia smisurata del profitto di pochi a discapito della sicurezza di tutti.

L’intricato sistema delle concessioni autostradali rappresenta infatti la punta dell’iceberg di un paradigma per il quale il nostro paese ha svenduto, a partire dagli anni ’90, un ingente patrimonio pubblico. Nel giro di pochi anni, con la scusa dell’efficienza del privato, lo Stato italiano ha dismesso la quasi totalità delle imprese pubbliche nel settore bancario, assicurativo, dei trasporti, siderurgico, alimentare, meccanico, chimico ed energetico. I privati si sono ritrovati tra le mani oligopoli o monopoli naturali a bassissimo rischio di impresa e non soggetti alla concorrenza (il gestore di un tratto di autostrade è sicuro del guadagno perché non vi sono naturalmente autostrade alternative). Ciò ha determinato, nella maggior parte dei casi, un aumento dei costi per i cittadini e soprattutto un disinteresse da parte del privato ad investire risorse economiche in alcuni ambiti di interesse collettivo, come ad esempio l’universalità di un servizio (pensiamo ad esempio al trasporto pubblico) o appunto alla messa in sicurezza di una infrastruttura.

Sul Ponte Morandi nel 2017 Autostrade per l’Italia ha effettuato investimenti per soli 500 milioni, a fronte di un utile di oltre 1 miliardo e ricavi di circa 4 miliardi. Oggi tutti i profitti del ristretto gruppo degli azionisti della famiglia Benetton (Edizione) derivano solo ed esclusivamente da Atlantia, la società che gestisce in concessione Autostrade per l’Italia.

Ecco dunque spiegato il terrore dei Benetton: la revoca della concessione (ottenuta nel 1999, sotto un governo di centro-sinistra, con la privatizzazione di ANAS con scadenza nel 2038, prolungata fino al 2042 dal governo Gentiloni) rappresenterebbe un durissimo colpo per la holding di famiglia. Per la famiglia Benetton gli utili derivano dalla rendita e non certo da attività imprenditoriali decotte come, ad esempio, l’impresa del vestiario (che infatti è da anni in perdita).

Non è un caso che venerdì 10 Agosto mentre la possibilità di una crisi del governo faceva salire lo spread tra BTP decennali italiani e Bund tedeschi a quota 240 punti e Piazza Affari crollava, Atlantia guadagnava il 2,94%.

Il governo infatti, dopo averla sbandierata nei primi momenti dopo il crollo del ponte, non ha proceduto alla revoca della concessione ad Atlantia (nonostante le false promesse dei 5 stelle) e la crisi di governo tranquillizzava pertanto il gruppo Benetton. D’altronde, ogni qualvolta si sia trattato di legiferare a favore dell’interesse collettivo e dei lavoratori, il “governo del cambiamento” si è rivelato totalmente in linea con i governi precedenti. Il gruppo Benetton, tra l’altro, oltre a non aver ricevuto nessun benservito per Autostrade, è in prima linea nella partita per il salvataggio di Alitalia.

Dalle attuali forze presenti nel Parlamento, in realtà, c’è poco da aspettarsi.

Nazionalizzare sarebbe l’unica scelta sensata e significherebbe restituire all’interesse della collettività le risorse sottratte dal capitale privato e siamo sicuri che ciò non rientri negli interessi né della Lega, né dei Cinque Stelle, né del Partito Democratico.

Noi continueremo ostinatamente a batterci in Liguria, come in tutto il paese, contro il partito trasversale del cemento e delle privatizzazioni, convinti che i servizi e la sicurezza non possano essere privati, ma debbano essere pubblici e sottoposti al controllo popolare. Perché nessun potere va lasciato con le mani libere di fare quel che vuole. La lezione di Genova è anche questa.

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