In fondo è accaduto ciò che era naturale accadesse. I risultati delle elezioni consegnano l’immagine di un paese frammentato e confuso nel quale gli strati popolari non perdonano le forze di governo e vanno dove possono andare in un dato momento, pronti ad investire sulla prossima offerta politica se risulterà più attrattiva e credibile.
Il disagio sociale crescente che necessita di risposte immediate e la mancanza di una progetto politico che indichi una reale alternativa di sistema alla opprimente governance europeista, sono alcuni dei fattori che spiegano quel “dinamismo” elettorale che porta forze politiche a clamorose impennate e poi, a stretto giro, ad altrettanti repentini capitomboli.
Intanto è bene interpretare il voto nell’ambito delle dinamiche più globali.
L’ascesa di Macron e le elezioni in Germania, dopo la vicenda Trump, la Brexit ed il referendum costituzionale del 4 dicembre, avevano illuso gli ambienti più europeisti che si fosse definitivamente interrotto il trend dell’instabilità.
In fondo il patto tra Berlusconi e Renzi ed una legge elettorale confezionata ad hoc, avevano apparecchiato la tavola per un nuovo governo che riaffermasse i sacri valori della stabilità e della governabilità.
I risultati del 4 marzo ci consegnano, invece, una realtà diversa, dove alla caduta verticale di consensi del PD e PDL corrisponde un impressionante risultato da parte di quelle forze (M5S e Lega) che sono state percepite anti-sistema da larghi strati della popolazione.
Per quanto riguarda il PD, al di là delle personali responsabilità di Renzi, il tracollo è in linea con il più generale fallimento dell’opzione delle socialdemocrazie europee: ovunque si sono candidate a gestire e governare la crisi, ne sono uscite con le ossa irrimediabilmente rotte.
Sulla presunta e non reale natura anti-sistema di Lega e M5S è già stato scritto molto: diciamo però che a livello di percezione quel mix di ricette economiche (il reddito di cittadinanza per i pentastellati, la flat tax per la Lega e l’abolizione della Fornero per ambedue) unitamente a pulsioni marcatamente razziste e xenofobe, e a un antieuropeismo soltanto sbandierato, hanno costituito un cocktail elettoralmente vincente.
E’ in questa quadro, esposto sinteticamente, che va indagato il risultato conseguito da Pap; ingabbiato, quindi, tra il generale tracollo della sinistra complessivamente considerata (basti pensare anche al modestissimo risultato di Leu), e l’occupazione di spazi da parte del M5S e della Lega proprio in quei settori popolari che dovrebbero costituire il naturale bacino di riferimento per Pap.
Senza dubbio i risicatissimi tre mesi a disposizione non potevano riscattare quel trend di disastri accumulati dalla sinistra cosiddetta “radicale” nel corso di questi lunghi anni; ed una campagna elettorale tutta orientata a destra ed egemonizzata da posizioni razziste e xenofobe non hanno costituito l’ambiente idoneo per far emergere la proposta di Potere al popolo.
Non più costretti dalla frenesia che inevitabilmente l’appuntamento elettorale genera è ora opportuno fare qualche riflessione, con spirito costruttivo ed orientandola verso una prospettiva futura: se questa nascente coalizione sociale vuole candidarsi ad intercettare ampi settori sociali annichiliti dalla crisi ed impoveriti da oltre un decennio di politiche di austerità, occorre proprio partire dai limiti che si sono manifestati durante questi tre mesi e sciogliere alcuni nodi politici non più rinviabili.
Ho trovato molto interessanti gli spunti di riflessione offerti nel suo articolo da Domenico Moro, nel quale in particolare si evidenzia una sorta di genericità emersa dalla proposta politica di Pap, nella quale troppe questioni sono state lasciate senza soluzione e il programma è risultato “un insieme di temi da una parte troppo ampio (con punti spesso insieme divisivi e francamente non essenziali nel duro confronto elettorale) e dall’altro poco concreto e generico”.
Insomma per il futuro è necessario delineare una proposta e una strategia politica (cosa ben differente da un programma elettorale) che non sia il risultato della sommatoria di tanti temi, anche giusti e condivisibili, ma che delinei una radicale alternativa di sistema
Si tratta in altre parole di dare a Pap una identità (non un identitarismo autoreferenziale) decisamente più marcata e una caratterizzazione indispensabile se realmente si vuole intercettare l’ampio disagio sociale e la domanda di cambiamento che anche da queste elezioni, se pur in forma contraddittoria, è emersa.
Insomma occorre quel quid pluris necessario per fare il salto ed uscire dal sempre più angusto mondo della sinistra radicale. Laddove in alcuni territori, ove certamente vi era un maggiore e forte insediamento sociale, si è condotta una campagna elettorale più “decisa” e meno generica nei contenuti, i risultati sono andati ben oltre il dato nazionale.
Senza girarci troppo attorno, bisogna sciogliere ed affrontare apertamente alcuni nodi politici, individuando alcuni temi sui quali costruire una proposta politica chiara e capace di caratterizzare Pap:
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sciogliere le ambiguità, le timidezze, gli equivoci sulla reale natura dell’Unione europea, anche de- ideologizzando il ragionamento e calandolo nella realtà. La manovra di maggio sulla quale proprio in questi giorni è tornata ad insistere l’Unione Europea e l’approvazione del fiscal compact ci danno senz’altro una mano a guardare ancora una volta in faccia la realtà e ad individuare dove risiedono i veri centri decisionali. Su questo punto si apre la sfida anche con quelle forze erroneamente percepite come anti-sistema (Lega e M5S) le cui proposte annunciate in campagna elettorale (abrogazione del Job act e della Fornero, introduzione del reddito di cittadinanza) presto si scontreranno con le rigidità degli organismi sovranazionali;
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formulare una proposta di uscita dalla crisi radicalmente alternativa. L’alleanza tra i paesi dell’area mediterranea, basata sulla cooperazione e sulla solidarietà e non sulla concorrenza tra stati, è una proposta già nelle corde di Eurostop, ma comincia a farsi largo in Europa (vedi France Insoumise). Può rappresentare quella “utopia” necessaria per cominciare ad immaginare un radicale cambiamento sociale.
Il passaggio dal programma elettorale alla costruzione di un progetto politico credibile ed attrattivo sarà la vera scommessa da vincere, e l’assemblea del 18 marzo sarà una prima occasione di confronto.
La sfida aperta con la partecipazione alle elezioni deve continuare e l’entusiasmo, il meccanismo virtuoso che ha rimesso in moto tanti attivisti, la volontà di rappresentare politicamente chi si colloca sul piano del conflitto, non sono una base di partenza da sottovalutare.