Alla fine il nome scelto è quello di Mattarella.
Dopo una settimana in cui è stata messa in scena tutta l’inconsistenza dell’espressione politica della classe dirigente di questo Paese, la vendetta dei partiti contro Draghi è una lancia smussata.
Incapaci di proporre un nome in grado di mettere in discussione la catena di comando che negli ultimi 12 mesi ha tenuto le redini del paese, con un Parlamento ridotto a ratificare scelte assunte altrove, falcidiate dalle proprie contraddizioni interne e nelle rispettive coalizioni, le maggiori forze politiche riescono nel disperato tentativo di riprendersi il centro della scena solo ricompattandosi attorno all’usato garantito.
Dopo Re Giorgio, la formula del doppio mandato presidenziale diventa prassi consolidata e questa elezione si conferma un passo ulteriore della torsione costituzionale di fronte alla quale da mesi portiamo avanti una campagna politica nazionale, che non finirà certamente con questa nuova puntata della messa in scena istituzionale.
La pavidità e gli interessi di bottega dei partiti hanno impedito ai rispettivi leader di andare oltre un ciclo di schede bianche e l’indicibile proposta di trasformare le spoglie della Repubblica in uno Stato di Polizia, optando quindi per la riconferma dell’esistente.
Lo scollamento della politica di palazzo rispetto al resto della società mai è stato evidente come negli ultimi 7 giorni.
Pochi sono stati i sussulti di dignità di pochi parlamentari coerenti con l’incarico affidatogli di ascoltare le istanze della popolazione, e certamente la votazione di Emilio Scalzo ha rappresentato una luce nel buio di queste ore, a riportare per un attimo la realtà sul tavolo di questa partita truccata.
Domani come ieri l’inquilino del Quirinale sarà Mattarella, quello del golpe bianco del giugno 2018, quello che senza colpo ferire ha ratificato i decreti sicurezza e altre misure vergognose lo stesso artefice della nomina di Draghi a Palazzo Chigi. Domani come ieri, la cabina di regia guidata da Draghi porterà a compimento il programma messo a punto dalle oligarchie nazionali e continentali per rispondere alla crisi globale sulla pelle dei lavoratori e delle classi popolari. Il PNRR è pronto per partire, e le decine di riforme connesse continueranno a essere approvate senza colpo ferire da tutto l’arco parlamentare alla rincorsa della spartizione delle briciole.
Il premier ne esce certamente indebolito, e se negli ultimi mesi l’esplosione della pandemia e l’economia che arranca già ne avevano messo a nudo le debolezze, ora saranno anche i mercati finanziari e la tecnocrazia europea a fare sentire il proprio peso, i ricatti e le condizionalità stringenti.
Che il futuro dell’ex governatore della BCE debba essere nel 2024 alla presidenza della Commissione Europea o altrove, sappiamo che da oggi un altro velo è caduto a smascherare un potere disgregato in una situazione sempre meno sotto controllo.
Abbiamo ora un motivo in più per prendere coraggio in mezzo alla nostra gente, per sostenere le lotte di chi ha alzato la testa e di chi finora ha tentennato nella scelta della strada del conflitto, riponendo magari le speranze nelle risposte di una classe dirigente che ormai si è dimostrata completamente sorda all’urlo che arriva dai luoghi di lavoro, dalle periferie e dalle scuole di questo paese. Ci prepariamo a questa nuova fase per stare quindi nelle lotte sociali, nelle piazze e animando lo scontro politico, riconoscendo anche nella scadenza elettorale del 2023 un primo orizzonte attorno a cui raccogliere l’opposizione sociale alla macelleria che sta venendo portata avanti, contro Draghi e chi lo sostiene. Costruiamo un’alternativa a questo sistema politico marcio!