Non stiamo mettendo le parole in bocca a nessuno. Basta leggere il comunicato congiunto delle sedi di Confindustra di Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte per poter cogliere il senso profondo dei desideri degli industriali del nord del paese.
Nonostante venga continuamente affermato da più parti che il periodo che abbiamo di fronte sarà quello decisivo per fermare il contagio; nonostante risulti sempre più chiara la correlazione tra numero di casi Covid-19 e attività produttive aperte (e mezzi pubblici affollati); le sedi di Confindustria del nord Italia chiedono che si torni tutti a lavorare.
Un lockdown solo apparente
I dirigenti delle aziende stanno affrontando la fase attuale di parziale “lockdown” con deroghe, forzature e vere e propri imbrogli pur di rientrare in una classificazione ATECO già troppo generosa con le imprese.
Come se non bastasse adesso chiedono che si torni a lavorare anche con dispositivi di sicurezza non a norma. Nel documento di cui sopra, infatti, si propone che l’Istituto Superiore della Sanità conceda alle aziende di fornire ai propri lavoratori tipologie di dispositivi di protezione anche in deroga alle norme di sicurezza. Come se non bastasse – continua il testo – si chiede al Governo di “regalare” ulteriori fondi alle imprese per adeguarsi alle norme di prevenzione per la salute.
Per non farsi mancare nulla il documento prosegue con una spolverata di “terrorismo psicologico”: se non ci lasciate produrre ci sarà il rischio di non poter più pagare gli stipendi. Più realisticamente, il vero problema delle aziende è che – come al solito – il loro senso della decenza non riesce mai a domare la fame di profitti.
Allargando il campo, è utile ricordare come, anche in tempi non emergenziali, secondo un rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 2019, in materia di salute e sicurezza sui posti di lavoro, 15.859 aziende su 18.446 controllate sono risultate irregolari. L’86%! Praticamente tutte. Teniamo conto di questi dati quando valutiamo di che pasta sono fatti anche i redattori di quel documento.
Una fase 2… “lacrime e sangue”
Ormai sembra evidente come, al di là della retorica, gli ingredienti con cui le imprese vogliono preparare la cosiddetta “Fase Due” assomigliano a un vero e proprio incubo per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Mentre le aziende stanno chiedendo ancora deroghe, contributi statali ed eccezioni, i lavoratori saranno costretti a tornare a lavorare in un clima che tende sempre più a criminalizzare le azioni di sciopero (vedi gli ultimi pronunciamenti della Commissione di Garanzia e di esponenti del Governo sugli scioperi dello scorso 25 marzo); un contesto nel quale il divieto di assembramento sarà una ottima scusa per impedire ai lavoratori per protestare per le mancanze riscontrare in azienda e che rischiano mettere in pericolo la salute.
Come in tempi “normali” e ancor più nel caso del coronavirus,
- l’esagerata e martellante insistenza sul controllo dei comportamenti individuali (la proposta di mascherine obbligatorie per ciascuno di noi; l’attenzione individuale a rispettare la distanza di sicurezza;
- gli interventi della polizia che hanno travalicato il limite della brutalità;
- l’invito alla delazione nei confronti del vicino di casa;
- l’utilizzo di droni e la tracciatura dei cellulari;
- gli inviti a imparare a “convivere” con il virus e il rischio di contrarlo, ecc…) hanno la capacità di nascondere le vere responsabilità più che di prevenire il contagio.
Nel contesto dei posti di lavoro, dunque, la “Fase Due” sognata da Confindustria è proprio questa: tornare ad aprire tutto; fare in modo che nell’opinione pubblica passi il messaggio che se ci si ammala è perché qualcuno ha fatto qualche infrazione e non perché prendiamo mezzi pubblici per recarci in luoghi di lavoro insalubri e con misure di prevenzione del contagio insufficienti: infine, come ciliegina sulla torta, – se qualche lavoratore osa protestare o scioperare – cosa impedirà ai dirigenti d’azienda di approfittare del fatto avere a disposizione un nuovo armamentario retorico e sanzionatorio contro scioperi, assembramenti non autorizzati e uscite di casa per ragioni diverse dall’ “andare a lavorare”? Con la scusa della salute di tutti si avrà un nuovo strumento per garantire la salute dei profitti. (Già negli stabilimenti Amazon degli Stati Uniti sta succedendo, basta vedere la storia di un sindacalista di New York allontanato dal posto di lavoro e sanzionato dall’azienda che ha deciso prontamente di “metterlo in quarantena” perché ha tentato di organizzare una protesta proprio per denunciare l’assenza di misure di sicurezza).
Il ritorno alla “normalità”…per noi!
Confindustria vuole tornare a fare profitti, chiede che tornino tutti a lavoro a tutti i costi.
- Noi pensiamo invece sia necessario prolungare la chiusura delle aziende finché non sarà garantita la salute e la sicurezza per tutti i lavoratori.
- Pensiamo che sia necessario mantenere chiusi i posti di lavoro non essenziali, sanzionare le numerosissime aziende che continuano ad aprire nonostante non rientrino in questi parametri e stringere ancora di più le maglie ai servizi davvero essenziali per la collettività.
- Pensiamo sia da escludere una riapertura che non venga accompagnata da un deciso rafforzamento degli organismi di controllo sulla salute e la sicurezza dei lavoratori e della possibilità per i lavoratori di monitorare e denunciare le carenze nei posti di lavoro che rischiano di mettere in pericolo la vita di tutti noi.
- Le risorse che Confindustria chiede per la messa in sicurezza delle imprese, vengano invece utilizzate dal Governo per supportare ulteriormente lavoratori in sospensione dal lavoro e chi il lavoro lo ha perso, definendo strumenti di integrazione del reddito oltre l’elemosina dei “buoni spesa” ed estendendo le misure esistenti alle categorie che ne rimangono escluse.
Per queste ragioni sosteniamo da subito tutte le forme di agitazione sindacale e di astensione dal lavoro: dalle 48 ore di sciopero indette tempestivamente dal sindacato USB a tutte le altre in corso o che seguiranno, spontanee o organizzate. Resistiamo alla fame di profitto di Confindustria, difendiamo la nostra salute!