*Dall’America Latina ferita arriva la richiesta di porre fine all’irrazionale Guerra alla droga.
Ogni anno, nelle ultime settimane di settembre, i leader mondiali si riuniscono a New York per parlare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Molto spesso i contenuti degli interventi previsti si conoscono con largo anticipo; si tratta di ripetitive articolazioni di valori che non vengono mai messe in pratica o di parole bellicose che minacciano la guerra in un’istituzione costruita proprio per evitare la guerra.
Tuttavia, di tanto in tanto si sente pure un brillante discorso, una voce che si diffonde nell’aula e che riecheggia in tutto il mondo per la sua chiarezza e sincerità. Quest’anno, quella voce appartiene al presidente colombiano recentemente inaugurato, Gustavo Petro, le cui brevi considerazioni hanno distillato con precisione poetica i problemi del nostro mondo e le crisi delle difficoltà sociali, della dipendenza dal denaro e dal potere, della catastrofe climatica e della distruzione ambientale. Nelle parole del Presidente Petro: “È tempo di pace. Siamo in guerra anche con il pianeta. Senza pace con il pianeta, non ci sarà pace tra le nazioni. Senza giustizia sociale, non ci sarà pace sociale”.
Quando si pensa alla violenza in un Paese come la Colombia, c’è la tentazione di concentrarsi sulla droga, in particolare sulla cocaina. Spesso si suggerisce che la violenza sia una conseguenza del traffico illecito di cocaina. Ma questa è una valutazione astorica. La Colombia ha vissuto terribili spargimenti di sangue molto prima degli anni ’60, quando la cocaina altamente lavorata diventasse popolare. L’élite del Paese ha usato una forza micidiale per impedire qualsiasi diluizione del suo potere, compreso l’assassinio di Jorge Gaitán nel 1948, l’ex sindaco della capitale Bogotá, episodio che ha portato a un periodo noto come La Violencia. Politici liberali e militanti comunisti hanno affrontato l’acciaio dell’esercito e della polizia colombiana che agiva per conto di questo granitico blocco di potere sostenuto dagli Stati Uniti. Gli USA ha da sempre usato la Colombia per estendere il proprio potere in Sud America; foglie di fico di vario tipo sono state utilizzate per coprire le ambizioni dell’élite colombiana e dei suoi benefattori a Washington. Negli anni ’90, una di queste coperture è stata la Guerra alla droga.
Negli Stati Uniti, ad esempio, quasi due milioni di persone – in misura sproporzionata neri e latinos – sono intrappolati nel complesso industriale carcerario, con 400.000 di loro imprigionati o in libertà vigilata per reati non gravi legati alla droga (per lo più piccoli spacciatori in un impero della droga molto redditizio). Le sempre meno opportunità di lavoro per i giovani provenienti dalla classe operaia e i salari affascinanti dell’economia della droga continuano ad attrarre i lavoratori di basso livello nella catena globale della droga, nonostante i pericoli di questa professione. La Guerra alla droga ha avuto un impatto trascurabile su questa filiera, motivo per cui molti Paesi hanno iniziato a depenalizzare il possesso e il consumo di droghe, in particolare della cannabis.
Nell’ambito di questa guerra, le forze armate colombiane hanno utilizzato il glisofato contro i contadini, cioè una terribile arma chimica (nel 2015, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò che questa sostanza chimica è “probabilmente cancerogena per l’uomo” e nel 2017, la Corte Costituzionale colombiana stabilì che il suo uso deve essere drasticamente limitato). Nel 2020, la Harvard International Review ha espresso la seguente valutazione: “Invece di ridurre la produzione di cocaina, il Plan Colombia ha in realtà fatto sì che la produzione e il trasporto di cocaina si spostassero in altre aree. Inoltre, la militarizzazione della Guerra alla droga ha causato un aumento della violenza nel Paese”. È proprio questo il contenuto delle parole pronunciate dal Presidente Petro alle Nazioni Unite.
Secondo il potere irrazionale del mondo, la colpa non è del mercato che distrugge l’esistenza, ma della giungla e di coloro che la abitano. I conti bancari sono diventati illimitati; il denaro accumulato dalle persone più potenti della terra non potrebbe nemmeno essere speso nel corso dei secoli. L’esistenza vuota prodotta dall’artificialità della competizione si riempie di rumore e di droghe. La dipendenza dal denaro e dal possesso ha un altro volto: la tossicodipendenza di chi perde la competizione nella gara artificiale che l’umanità è diventata. La malattia della solitudine non si cura gettando glifosato sulle foreste; la colpa non è della foresta. La colpa è della vostra società educata al consumo infinito, alla stupida confusione tra consumo e felicità che permette alle tasche dei potenti di riempirsi di denaro.
Petro ha continuato: “La Guerra alla droga è una guerra ai contadini colombiani e una guerra ai poveri precari dei Paesi occidentali”. E ancora: “Non abbiamo bisogno di questa guerra; dobbiamo invece lottare per costruire una società pacifica che non sottragga significato ai cuori delle persone che, nella logica della società dominante, sono trattate come un popolazione in eccedenza”.
In questa casa, tutto è in rovina,
in rovina sono gli abbracci e la musica,
ogni mattina, il destino, le risate sono in rovina,
lacrime, silenzio, sogni.
Le finestre mostrano paesaggi distrutti,
carne e cenere sui volti delle persone,
le parole si combinano con la paura nelle loro bocche.
In questa casa siamo tutti sepolti vivi.
Carranza si è tolta la vita quando le fiamme dell’inferno stavano travolgendo la Colombia.
L’accordo di pace nel 2016, il ciclo di proteste dal 2019 e ora l’elezione di Petro e Francia Márquez nel 2022 hanno cancellato la cenere dai volti dei popoli colombiani e gli hanno dato l’opportunità di provare a ricostruire la loro casa. La fine della Guerra alla droga, cioè della guerra ai contadini colombiani, non potrà che far progredire la fragile lotta della Colombia verso la pace e la democrazia.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della trentanovesima newsletter (2022) di Tricontinental: Institute for Social Research.