Il 26 gennaio, i giudici della Corte internazionale di giustizia (CIG) ritengono “plausibile” l’idea che Israele stia commettendo un genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. La CIG chiama in causa Israele per “prendere tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione di questi atti” che violano la Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio (1948). Sebbene la CIG non abbia espressamente chiesto il cessate il fuoco (come nel 2022 quando ordinò alla Russia di “sospendere le operazioni militari” in Ucraina), anche una lettura casuale di quest’ordine mostra che, per attenersi alla sentenza della Corte, Israele deve porre fine all’assalto di Gaza. Come parte delle sue “misure provvisorie”, la CIG chiama in causa Israele a rispondere alla Corte entro un mese e a dimostrare come ha attuato l’ordine.
Anche se Israele ha già respinto le conclusioni della CIG, la pressione internazionale su Tel Aviv è in aumento. L’Algeria ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di far rispettare l’ordine della CIG, alla quale Indonesia e Slovenia, invece, hanno avviato procedimenti separati che partiranno il 19 febbraio per chiedere un parere consultivo sul controllo e le politiche israeliane nei territori palestinesi occupati, in virtù della risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU adottata nel dicembre del 2022. Inoltre, Cile e Messico hanno interpellato la Corte penale internazionale (CPI) affinché investighi sui crimini commessi a Gaza.
La reazione di Israele all’ordine della CIG è stata tipicamente sprezzante. Il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, taccia la Corte di antisemitismo affermando che questa “non ricerchi la giustizia, ma piuttosto la persecuzione del popolo ebraico”. Ancora più bizzarra è l’accusa che Ben Gvir imputa alla CIG, colpevole di essere “rimasta in silenzio durante l’Olocausto”. Quest’ultimo, perpetrato dal regime nazista tedesco e i suoi alleati contro gli europei di religione ebraica, i romaní, omosessuali e comunisti, avviene tra la fine del 1941 e il maggio del ‘45, quando l’Armata Rossa (sovietica) liberò i prigionieri di Ravensbrück, Sachsenhausen, e Stutthof. Tuttavia, la CIG verrà fondata soltanto un mese dopo la fine dell’Olocausto, nel giugno del 1945, diventando ufficialmente operativa nell’aprile del ‘46. Perciò, il maldestro tentativo di Israele di delegittimare la Corte accusandola di omertà quando questa nemmeno esisteva per poi utilizzare false dichiarazioni per definirla una corte antisemita, mostra come Israele non sappia divincolarsi dall’ordinanza che gli viene imposta.
I numeri sono sconcertanti. Durante questo periodo, Israele ha danneggiato 394 scuole e università, distruggendone 99, così come 30 ospedali, uccidendo almeno 337 sanitari. Questa è la realtà che ha portato al caso di genocidio presso la CIG e alle misure provvisorie della Corte, alla presenza del giudice indiano Dalveer Bhandari, che si è spinto nel dire che “tutti i combattimenti e le ostilità [devono] cessare immediatamente”.
Malak Mattar, nato nel dicembre del 1999, è un giovane artista palestinese che si rifiuta di smettere di sognare. Malak aveva tredici anni quando Israele condusse la sua Operazione Margine di protezione (Operation Protective Edge, 2014) a Gaza, uccidendo più di 2.000 civili palestinesi in poco più di un mese – un orrendo bilancio che si aggiunge al continuo bombardamento dei Territori Palestinesi Occupati che dura da più di una generazione. La madre di Malak l’ha esortata a dipingere come antidoto al trauma dell’occupazione. Entrambi i genitori di Malak sono rifugiati: il padre è originario di al-Jorah (rinominata Ashkelon) e la madre di al-Batani al-Sharqi, uno dei villaggi palestinesi lungo il confine di ciò che oggi è chiamata Striscia di Gaza. Il 25 novembre del 1948, il governo israeliano, appena costituito, approvò l’Ordine n. 40, che autorizza le truppe israeliane ad espellere i palestinesi da villaggi come al-Batani al-Sharqi. “Il tuo compito è espellere i rifugiati arabi da questi villaggi e prevenire il loro ritorno distruggendoli…brucia i villaggi e demolisci le case in pietra”, scrivevano i comandanti israeliani.
Malak ed io ci siamo scritti per tutta la durata di questa violenza, le sue paure sono evidenti, la sua forza è notevole. A gennaio, mi scrive: “Sto lavorando ad un enorme dipinto, ritraendo vari aspetti del genocidio”. Su una tela di cinque metri, Malak ha creato un’opera che inizia a somigliare alla celebre Guernica di Pablo Picasso (1937), che dipinse per commemorare il massacro compiuto dai fascisti spagnoli in una città nella regione basca. Nel 2022, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (UNRWA) pubblica un articolo su Malak, chiamandola il “Picasso della Palestina”. Nell’articolo, Malak spiega: “Ero così ispirata da Picasso che, all’inizio del mio percorso artistico, ho cercato di dipingere come lui”. Questo nuovo dipinto di Malak riflette lo strazio e la fermezza tipiche del popolo palestinese. È un atto d’accusa contro il genocidio sionista e l’affermazione del diritto dei palestinesi a sognare. Se guardate più da vicino, vedrete le vittime del genocidio: i lavoratori sanitari, i giornalisti e i poeti; le moschee e le chiese; i corpi non sepolti, i prigionieri nudi e i cadaveri dei bambini piccoli; le auto bombardate e i rifugiati in fuga. C’è un aquilone che vola nel cielo, un simbolo che richiama la poesia di Refaat Alareer.
Non sorprende il fatto che Israele abbia preso di mira l’UNRWA, incoraggiando – con successo – diversi governi del Nord globale affinché smettessero di finanziare l’Agenzia, istituita dalla Risoluzione 302 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1949 per “realizzare programmi di assistenza diretta e di lavoro per i rifugiati palestinesi”. Ogni anno, mezzo milione di bambini palestinesi come Malak studiano nelle scuole dell’UNRWA. Rispetto alla sospensione dei finanziamenti Raja Khalidi, direttore generale del Palestine Economic Policy Research Institute (MAS) dichiara: “Data la natura precaria delle finanze dell’UNRWA da lungo tempo…e alla luce del suo ruolo essenziale nel fornire servizi vitali ai rifugiati palestinesi e a circa 1,8 milioni di sfollati a Gaza, tagliare i suoi finanziamenti in un momento come questo accresce la minaccia alla vita dei palestinesi già a rischio di genocidio”.
Vi incoraggio a far girare il murale di Malak, a ricrearlo sui muri e negli spazi pubblici di tutto il mondo. Lasciate che penetri nelle anime di coloro che si rifiutano di vedere il genocidio in corso del popolo palestinese.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della quinta newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.