Per cosa si spendono i soldi in Italia? Di certo non per la ricerca! Regali a imprese private, favori ad amici, evasori e speculatori, miliardi per spese militari e milioni in vere e proprie truffe come i lager in Albania… il Governo Meloni non si fa mancare niente! Tranne, appunto, il finanziamento di settori strategici come quello della formazione universitaria e della ricerca.
Si è parlato nelle settimane scorse dei tagli universitari più cospicui dai tempi della “riforma” Gelmini del 2008 (Governo Berlusconi con Meloni ministro!), che determinarono un vasto movimento di protesta che attraversò il paese per due anni. Ma ora il Governo Meloni, mentre cerca di portare al 2% il PIL in spesa militare in osservanza ai dettami della NATO, abbandona anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche, principale ente pubblico di ricerca italiano. Che, come molti enti, negli ultimi 30 anni è stato spinto, tra tagli, de-regolamentazioni e sotto-finanziamenti voluti sia dai governi di centrodestra che di centrosinistra, a impiegare sempre di più forza lavoro precaria.
La dotazione statale del CNR è esigua e viene impiegata per lo più per pagare le sedi e il personale di ricerca a tempo indeterminato. Per questo gli 88 Istituti, per svolgere le loro attività, devono vivere principalmente di finanziamenti esterni legati a bandi (PRIN, ERC etc). Ovviamente si tratta di fondi limitati, a scadenza, e così a scadenza diventano anche tanti lavoratori, peraltro utilissimi agli stessi Istituti, che inventano mille “trucchi” per poter conservare quelle professionalità.
Il PNRR – il grande piano dell’Unione Europea varato dopo la pandemia – ha, da questo punto di vista, drogato un sistema già “precario-dipendente”. Il Piano ha infatti portato nelle casse del CNR 500 milioni di euro che però non possono essere usati – per i meccanismi di spesa previsti dall’Unione Europea – per creare forza-lavoro stabile, o acquisizione di competenze “interne”, mentre possono paradossalmente essere utilizzati per faraoniche spese una tantum a ditte private per servizi esternalizzati. Così i contratti del PNRR sono stati usati o per “prolungare” chi collaborava già con l’Istituto in maniera precaria, o per assumere nuovi lavoratori per uno o due anni, da spremere e poi mandar via con una riga in più sul curriculum.
Siamo arrivati al punto che le precarie e i precari al CNR, tra “storici” e nuovi post-2020, sono così tanti che non se ne ha una stima precisa. C’è chi dice 2.000, chi arriva a contarne 4.000 – su un corpo di circa 8.400 stabilizzati, ovvero più di un terzo dei lavoratori complessivi! Per rendere l’idea, si pensi che il personale di ricerca del CNR è solo un terzo del CNRS francese e un terzo (proporzionalmente, per migliaio di abitanti) dell’analogo tedesco – peraltro il personale italiano viene pagato il 40% in meno.
La situazione dunque, con la fine dei fondi PNRR, si è fatta critica. Ed è resa ancora più critica dal fatto che il Governo impone all’Ente un blocco del turnover al 75% (ovvero: per 100 ricercatori che se ne vanno in pensione, solo 75 saranno assunti – una riduzione dei posti stabili di un quarto) e l’unico concorso che si intravede all’orizzonte da qui ai prossimi anni, parole della Presidente Maria Chiara Carrozza, è per sole 90 persone, praticamente un’unità per Istituto…
Eppure una soluzione semplice per stabilizzare i precari ci sarebbe, ed è la cosiddetta “legge Madia” che fu ottenuta con le mobilitazioni partite a fine 2016 all’ISS e all’ISTAT, e che riconosceva, a chi aveva una certa anzianità di servizio nel CNR, la possibilità di essere inserito in organico in base alla qualifica già ricoperta. D’altronde, se un ente pubblico ha strutturalmente bisogno di forza-lavoro, allora tenerla in condizioni di precarietà e di differenza con gli altri lavoratori è anti-costituzionale, oltre che ingiusto. Grazie alla lotta e alla conseguente legge Madia furono assorbiti migliaia di precari, e la possibilità di ricorrere a questo provvedimento è stata estesa fino al 31 dicembre 2026.
Insomma, la fine del precariato nel più grosso ente pubblico di ricerca è solo una questione di volontà politica da parte del Governo Meloni e della dirigenza del CNR.
Il Governo Meloni non sembra però intenzionato a mettere nemmeno “due spiccioli” sulla fine della precarietà di tante lavoratrici (spesso giovani mamme) e lavoratori italiani, che si vedranno costretti in alcuni casi a migrare all’estero. Alla faccia del sovranismo e delle chiacchiere sul contrasto al calo demografico, il Governo Meloni non intende sostenere una ricerca che è spesso eccellenza nel mondo. Da parte sua, la dirigenza dell’Ente è da anni incapace di una reale programmazione, non vuole entrare in conflitto con il Governo (forse la piddina centrista Carrozza spera in una riconferma da parte di un Governo Meloni che fa fatica a trovare nomi?), non vuole premere per assorbire una massa di lavoratori che preferisce tenere nella condizione di usa-e-getta.
L’unico modo quindi per sbloccare la situazione è la mobilitazione diretta delle lavoratrici e dei lavoratori. Così il 28 novembre le precarie e i precari CNR, dopo mesi di assemblee e vane richieste di ascolto, hanno deciso di occupare la sala convegni della sede romana del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Piazza Marconi, richiamando a Roma precari da tutta Italia. Quello che chiedono è semplice: rispetto e avviamento di un percorso di stabilizzazione dei precari come previsto dall’articolo 20 del decreto legislativo 75/2017.
La richiesta che arriva dalle lavoratrici e dai lavoratori è di dare visibilità alla lotta, di fare circolare le notizie e avvisare giornali e TG, di dare sostegno politico ed economico (è stata aperta una raccolta fondi qui), di dare una mano all’occupazione in tutti i modi possibili. Ci sono tutte le condizioni per far cedere il Governo e la dirigenza del CNR e costringerli a una negoziazione!
Come Potere al Popolo, forza che è composta da tantissime e tanti giovani precari, non possiamo che essere dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori che occupano, che si mobilitano, che lottano per i loro diritti. Invitiamo dunque a rilanciare la notizia e a sostenerli in tutti i modi possibili!