Siamo fortemente contrari all’apertura di un CPR a Catanzaro perché è un istituto strutturalmente legato alla violazione dei diritti umani di chi vi si trova rinchiuso. Dal 1998 ad oggi i CPR italiani sono stati teatri di profonda sofferenza, caratterizzati da sostanziali e innumerevoli violazioni di quei diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Costituzione, del diritto alla difesa, del diritto alla salute, del diritto a una vita dignitosa, della libertà di comunicazione con l’esterno. La scarsa trasparenza legata alla gestione privata dei centri e a quanto vi accade all’interno rende da sempre i CPR impermeabili alla società civile, ostacolandone le diverse possibilità di denuncia.
È infatti con grandi difficoltà che nel corso degli anni si è riusciti a ottenere documenti e testimonianze che evidenziano una realtà indegna di uno Stato che si ritiene civile e rispettoso dei diritti. A venticinque anni dalla loro esistenza, sono trenta le vittime dei Cpr in Italia, trentuno con Ousmane. Secondo quanto ricostruito in “Corpi reclusi in attesa di espulsione”, tra il 1998 e il 2020 sono morte ventiquattro persone a cui, in base alla lista fornita dal Dipartimento di pubblica sicurezza alle a associazioni, vanno aggiunte altre sei persone, cinque delle quali morte nel solo 2022, come segnalato anche dal Garante nazionale nella sua Relazione al Parlamento del 2023. Di queste vittime, sette rimangono senza nome: morti rese invisibili, per le quali non è possibile ricostruire una storia, rintracciare una famiglia, chiedere verità e giustizia.
I centri di permanenza per i rimpatri sono strutture che, laddove già presenti, sono state teatro di situazioni di oppressione e marginalizzazione, caratterizzati da numerosi atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, un inquietante utilizzo degli psicofarmaci come emerge da una recente inchiesta, Luoghi opachi dove la difficoltà di accesso da parte della società civile e i limiti posti alla comunicazione verso l’esterno a chi viene recluso rendono quanto mai complessa la denuncia delle violazioni di diritti, mancando figure come il magistrato di sorveglianza, presente invece nelle carceri. Violazioni che, infine, vengono già finanziate con enormi somme di soldi pubblici: 44 sono i milioni stanziati in tre anni secondo il rapporto di CILD “Buchi neri: La detenzione senza reato nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR)” (2021) stilato su dati raccolti dal 2019 al 2021. Secondo la Relazione annuale 2023 del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che elabora i dati forniti dal Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, sono morte cinque persone dentro un Cpr nel 2022. Il numero sale a 14 se si considerano gli ultimi cinque anni, come ha ricostruito il report “Al di là di quella porta” pubblicato lo scorso ottobre dall’associazione Naga e dalla rete Mai più lager – No ai cpr (che raccoglie immagini e testimonianze da tutta Italia e che per prima ha diffuso la notizia del decesso di Sylla).
L’estrema confusione legata a finalità, efficienza e rispetto dei diritti riscontrata nelle recenti dichiarazioni da parte di amministratori è disarmante e pericolosa. Chi è rinchiuso nei CPR non ha alcuna possibilità di “passeggiare” per le vie della città o sul lungomare di Catanzaro Lido. Risulta fondamentale chiarire alcuni aspetti: • Il presupposto per essere trattenuto in un CPR non è la commissione di un reato, bensì la mancanza di un permesso di soggiorno, ai fini dell’esecuzione del rimpatrio qualora sia ragionevole ritenere che possa essere effettuato. La grave scarsità di canali di ingresso regolari e possibilità successive di regolarizzazione rende, ad oggi, estremamente difficile ottenere e mantenere un titolo amministrativo valido per rimanere sul territorio italiano. Il trattenimento viene attuato anche nei confronti dei richiedenti protezione internazionale fino ad un termine massimo di un anno di privazione della libertà personale, talvolta in maniera automatica e in continuità con le prassi di ostacolo all’esercizio del diritto di asilo attuate in frontiera.
È sempre opportuno ricordare che la detenzione amministrativa costituisce una misura eccezionale prevista esclusivamente per i cittadini stranieri, costituendo una detenzione sostanzialmente legata alla provenienza geografica e quindi da condannare e smantellare. Non si tratta quindi di detenere criminali, ma persone in condizioni di mera irregolarità amministrativa. La rivendicata finalità deterrente del CPR non trova alcun fondamento; • Nel CPR non vengono peraltro trattenute esclusivamente persone di una determinata “area di competenza”. L’idea di realizzare un CPR al fine di reprimere episodi di criminalità risulta, oltre che illogica, fuorviante. Le persone trattenute sono spesso sottoposte a trasferimenti tra centri, per cui non di rado chi viene fermato senza documenti in una regione si trova ad uscire dal CPR in una regione differente, senza alcun punto di riferimento sul territorio. Infatti, più della metà delle persone che transitano dai CPR italiani viene rilasciata dopo mesi di trattenimento, rimanendo sul territorio in condizioni di aumentata marginalità sociale e forte disagio psichico, anche e soprattutto in conseguenza del trattenimento stesso. I Centri di Permanenza per il Rimpatrio sono strumenti di oppressione la cui efficacia in rapporto agli obiettivi che lo Stato gli pone, quindi l’esecuzione del rimpatrio, è estremamente marginale, producendo quello stesso disagio sociale che nella narrativa dominante si propone di eliminare. Chi condivide la realizzazione dei CPR si trova in perfetta continuità con le istanze del Governo a guida Fratelli d’Italia che nella legge di bilancio stanzia ben 42.000.000 di euro per l’ampliamento della rete dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Una continuità di intenti che ha origini a partire dal Ministero dell’Interno a guida Minniti, il quale chiedeva la realizzazione di un CPR per ogni regione, istanza ripresa da allora da ogni Governo succeduto, di qualsiasi colore. Per ultimo, la Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani e il Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale, hanno più volte denunciato la compressione dei diritti fondamentali all’interno dei CPR e la loro inadeguatezza, rimanendo, purtroppo, inascoltati.
In questa occasione intendiamo ribadire come Potere al Popolo che:
ci opponiamo fermamente alla realizzazione di un CPR a Catanzaro, chiedendo una netta e immediata inversione di tendenza sia a livello territoriale che a livello nazionale;
Esprimiamo incondizionata solidarietà a chi è rinchiuso nei CPR, alle loro famiglie e a quelle di chi, nel corso di ormai 25 anni di detenzione amministrativa, vi ha trovato la morte;
Denunciano la gravità della continua riproposizione di un modello incostituzionale basato sulla privazione della libertà personale che inevitabilmente e quotidianamente dimostra le sue pesanti ricadute sui diritti umani delle persone trattenute.