Qui un nostro comunicato rispetto all’attuale situazione in cui si trovano molte italiane e italiani che vorrebbero tornare a casa.
A due mesi dall’inizio dell’emergenza Covid-19, molti-e connazionali si trovano bloccati-e all’estero con il bisogno di rimpatriare per motivi urgenti. Da tutte le parti del mondo si sono moltiplicati appelli, comunicati che rimettono insieme le storie e le testimonianze di queste persone. Inizialmente, la Farnesina aveva dichiarato di essere pronta a consentire a chiunque ne avesse la necessità di tornare a casa.
Purtroppo però questo non è avvenuto: per chi non si trova in un Paese confinante con l’Italia e per chi non dispone di mezzi privati, l’unico mezzo per rimpatriare è costituito dai voli che la Farnesina mette a disposizione. Coordinandosi con le ambasciate sui territori, vengono proposti pochi collegamenti a costi esorbitanti, che non tutti i cittadini e le cittadine all’estero possono permettersi.
Giusto per citare qualche caso, da Bruxelles e da Parigi gli unici voli offerti da Alitalia hanno un costo che oscilla tra i 300 e i 500 euro; da Londra si arriva a 800 euro. Come se non bastasse, le destinazioni coincidono con Roma o Milano: un salasso attende chi dovrà spostarsi in altre regioni (soprattutto se distanti dai due hub).
l costo complessivo dell’operazione, ricadendo totalmente sulla persona, rende questo rimpatrio impossibile proprio a chi ne avrebbe più bisogno. Per tanti e tante la necessità di rimpatriare coincide con il venir meno della ragione per continuare, in questo momento storico, la propria esperienza formativa, professionale e umana all’estero (che avesse o meno carattere definitivo). Dall’oggi al domani sono venuti meno quei redditi che giustificavano lo stare lontano da casa, mentre continuano ad incombere le spese mensili e quotidiane. Un rientro in patria almeno potrebbe rendere, da un punto di vista finanziario, meno insostenibile questa situazione.
Facciamo parte di quei e quelle migranti economici che lasciano l’Italia alla ricerca di un lavoro dignitoso e di una prospettiva di vita un po’ meno precaria. C’è chi viveva passando di stage in stage, chi di cucina in cucina, chi stava partecipando a programmi di studio o missioni di volontariato. A queste figure, di cui ci onoriamo di far parte, la crisi dovuta al coronavirus ha spazzato via, almeno temporaneamente, ogni progettualità all’estero.
Pur credendo fermamente nell’importanza delle misure di sicurezza imposte, troviamo profondamente ingiusta l’organizzazione dei rimpatri a queste condizioni discriminatorie. In questa situazione, far pagare ai precari e alle precarie l’attesa che i voli dei biglietti aerei si abbassino (senza averne affatto la certezza) è altrettanto ingiusto e immotivato. In questo modo il diritto al rimpatrio si sta configurando come un privilegio per pochi e non un diritto per i più.
Dalla recente nazionalizzazione di Alitalia ci saremmo aspettati un servizio pubblico più attento alle esigenze dell’utenza, a partire da quelle economiche e sociali. Ci troviamo costretti ad unirci alle tante voci, comunicati, appelli che si stanno già diffondendo e che si stanno rivolgendo al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Data l’urgenza sociale degli italiani all’estero, invitiamo il Governo ad intervenire per:
(1) registrare le richieste da parte dei cittadini che devono rimpatriare e stilare liste per il rientro;
(2) garantire un viaggio sicuro per i passeggeri e i lavoratori;
(3) abbassare radicalmente il prezzo del biglietto aereo e predisporre un fondo d’emergenza per chi non dispone di risorse sufficienti per permetterselo;
(4) instaurare un servizio di navette e treni per gli spostamenti dagli hub centrali fino alle province di destinazione dei cittadini.