Massimo Congiu da tempo vive e lavora a Budapest, dove collabora con diverse università, riviste e centri di ricerca. Studioso di geopolitica dell’Europa centro-orientale, storico contemporaneista e giornalista, è autore di Lavoro e sindacato nell’Europa dell’Est. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia a confronto (2004), Un decennio cruciale. L’Ungheria dal secondo dopoguerra al 1956 (2011), La sinistra alternativa in Ungheria (2014), L’Ungheria di Orbán. Rigurgiti nazionalisti e derive autoritarie (2014),
Gli abbiamo chiesto un breve commento sull’incontro di Milano fra Orbán e Salvini. Eccolo.
Di recente Milano è stata teatro dello scambio di “affettuosità” tra due leader “sovranisti” europei. Tra due promotori del “prima ci siamo noi” – “prima gli italiani” e “prima gli ungheresi”, a ciascuno il suo… Si parla ovviamente del primo ministro ungherese Viktor Orbán e del ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini che nella sua iperattività svolge anche le funzioni di ministro degli Esteri, di Grazia e Giustizia e perfino quelle di primo ministro, a seconda delle necessità.
“È il mio eroe”, ha detto Orbán del politico che oggi come oggi detta l’agenda al governo italiano. Due destini comuni, secondo il premier di Budapest che si vanta di aver indicato a diversi politici europei la strada da seguire per ripristinare sovranità nazionali e valori europei. Valori che per Orbán sono inequivocabilmente cristiani e che sarebbero esposti al pericolo dell’invasione di migranti musulmani aiutati dal magnate americano di origine ungherese George Soros, dalle ONG che quest’ultimo finanzia e dalla tecnocrazia di Bruxelles. Orbán, Salvini e chi come loro, però, non ci stanno e si impegnano perché l’Europa non si islamizzi e non diventi una colonia del capitale globale e dei suoi manovratori, tra essi Soros.
Due destini comuni, si diceva. Anche Salvini, come il premier magiaro, parla di valori cristiani, di valori nazionali e della necessità di fermare i flussi migratori, non “semplicemente” di gestirli, come dice invece l’Ue. Per Orbán e per i suoi sostenitori ungheresi e non, Budapest ha dimostrato che questi flussi si possono fermare, e il pluriministro italiano non vuole essere da meno, come dimostra il suo atteggiamento di fronte alle imbarcazioni delle ONG che portano i migranti in “crociera” per il Mediterraneo. Ma per loro la pacchia è finita, dice Salvini in un crescendo di volgarità che elettori confusi e/o sprovveduti prendono per fermezza con cui affermare le ragioni dell’Italia a livello europeo. Come Orbán, Salvini agita lo spauracchio dell’invasione (anche se i flussi sono diminuiti considerevolmente rispetto agli anni scorsi), alimenta tensioni e guerre fra poveri, per mascherare un vuoto politico grande come una voragine e l’assenza di un progetto per risolvere i veri problemi che affliggono il paese.
Anzi, far leva sulle paure dell’invasione distoglie l’attenzione pubblica dalle cose che non vanno veramente: l’economia, la disoccupazione, il malaffare, il vuoto pneumatico istituzionale. Il gioco è quello e Orbán ha fatto da apripista. In Ungheria la crescita economica è dovuta sostanzialmente ai fondi comunitari, la sanità e l’istruzione se la passano sempre peggio, c’è carenza di manodopera specializzata che appena può va all’estero e la stampa è in mano al governo, ma il problema è quello dei migranti. Questo è il modello da seguire?
Così agiscono i governi della “paura” che danno agli elettori la sensazione di essere tutelati da pericoli che vengono sempre da fuori. L’impegno di questi ultimi consiste nell’addormentare l’opinione pubblica e ridurla ad una passività funzionale agli interessi del potere. Il messaggio di Orbán ai suoi connazionali è chiaro: “alla politica e agli affari pubblici pensiamo noi, non dovete far altro che votarci e lasciarci lavorare per continuare a occuparci di voi e dei vostri problemi, sicuri di riuscire a risolverli”. È così che il governo ungherese ha costruito un sistema fortemente dirigista teso a controllare un po’ tutti i settori della vita pubblica.
Questo è il modello da seguire? Per Salvini e per tutti i sovranisti di destra europei sì. Le loro politiche che creano ostilità nei confronti di chi è diverso, dei migranti che “in fondo così poveri non sono, in fondo non vengono da paesi in guerra”, sta inaridendo il panorama morale europeo. La loro propaganda sta intossicando le opinioni pubbliche di riferimento producendo danni duraturi. La loro retorica è sempre più simile e si ripete allo sfinimento.
L’incontro di Milano è un passo verso una sempre maggior saldatura delle forze cosiddette sovraniste che vogliono spostare l’asse politico europeo a destra e in direzione del discorso delle nazioni e delle patrie. Magari il Fidesz di Orbán cerca, in prospettiva, di fare la stessa cosa col PPE, dall’interno di questa forza politica di cui fa parte. Queste consultazioni hanno inoltre luogo anche in funzione delle elezioni europee dell’anno prossimo. Vincerle, per Orbán, e per chi come lui, sarebbe un’affermazione importante e la conferma che la gente ne ha abbastanza del liberalismo e delle false sinistre che predicano solidarietà e sono invece votate al capitalismo. Lo scenario è preoccupante e tutt’altro che lontano dal realizzarsi. Non bisogna trascurare questo aspetto.
Lo scorso 28 agosto Milano è stata anche teatro delle manifestazioni organizzate in opposizione all’incontro dei “primi”. È stato un segno importante ma anche l’invito a occuparsi di queste tendenze politiche che uccidono democrazia, solidarietà, coscienza e capacità critica e di discernimento. Bisogna fare una scelta tra viltà e coraggio della coscienza, tra barbarie e civiltà ed evitare che le paure irrazionali, sapientemente alimentate e strumentalizzate da certi sistemi di potere, diventino il criterio con cui concepire il rapporto con il diverso e con la vita stessa.
L’auspicio è che aumenti l’impegno a far circolare tali messaggi all’interno di questa martoriata Europa nell’intento di far da contrappeso a quelli tossici dei leader ultranazionalisti che praticano disinvoltamente la prassi del razzismo. Intendiamoci, i tempi non sembrano propizi al prevalere delle più nobili pulsioni umane. Ma sarà già qualcosa riuscire ad attivarci concretamente e accendere delle luci in questa notte della coscienza. È una battaglia di cultura e civiltà e va combattuta.
Massimo Congiu