38 NO contro 31 SI’. Il progetto che prevedeva la legalizzazione dell’aborto non sarà legge. L’aborto continuerà a essere un reato, le donne continueranno a morirne.
17 ore di discussione, e poi una pioggia di lacrimogeni sulla distesa di donne in verde.
“I contraccettivi per non abortire e l’aborto legale per non morire”, è il motto delle centinaia di migliaia di donne, di tutte le età, che in questi mesi hanno invaso le piazze argentine.
E che non torneranno a casa, questo è certo.
Se ci fermassimo al voto però non capiremmo troppe cose. Non capiremmo un’Argentina in cui il pañuelo (fazzoletto) verde è diventato un simbolo di uguaglianza, che trascende la questione dell’aborto. Un paese in cui l’aborto non è più tabù, che l’aborto l’ha già socialmente depenalizzato. Non vedremmo le madri e le nonne che hanno raccontato alle loro figlie e nipoti dei propri aborti, della paura di ammalarsi, della voglia di decidere se e quando essere madri, della società bigotta e conservatrice che ti marchia come una strega.
Non vedremmo le adolescenti entrare in aula, a scuola, per discutere, dibattere. Non vedremmo questa gioventù che scende per strada e insieme alle altre generazioni lo fa a milioni.
Chi pensa che una sconfitta parlamentare segni la parola fine, non capisce nulla della storia. Non sa o non vuol sapere che nessuno ci ha mai regalato nulla. Per studiare all’università, per il diritto al voto, per poter decidere sulla vita dei nostri figli, per un accesso gratuito ai contraccettivi, siamo sempre dovute scendere in strada e combattere.
Le lotte femministe avanzano. I voti che ieri sono mancati non sono altro che un ostacolo lungo il cammino. Ieri non è stato il giorno tanto atteso. Sarà domani. In Argentina. Ma anche nel nostro altrove.