tavolo lavoro

F.A.Q. Salario minimo

La direttiva europea entrata in vigore il 14 Settembre 2022 ha come obiettivo dichiarato quello di garantire salari minimi adeguati a lavoratrici e lavoratori di tutti i paesi UE. Lascia campo libero ai Governi su come procedere, se attraverso l’indicazione di un minimo legale o attraverso il miglioramento quantitativo e qualitativo della contrattazione collettiva.
Il Parlamento Italiano, con la mozione 1/00030 del 30 Novembre 2022, ha chiuso la strada ad un minimo legale, invitando il Governo a procedere con vari modi sulla contrattazione collettiva.

Le proposte in campo sono:

  1.  PdL Fratoianni e Mari, Sinistra Italiana (C. 141);
  2. PdL Serracchiani et al., PD (C. 210)
  3. PdL Laus, PD (C. 216)
  4. PdL Conte et al., M5S (C. 306)
  5. PdL Orlando, PD (C. 432)
  6. PdL Richetti et al., Azione – Italia Viva (C. 1053)
  7. Proposta di Legge di Iniziativa Popolare di Possibile

Delle tre proposte del PD (Serracchiani, Laus, Orlando), solo quella a firma Orlando indica una cifra minima, 9,5 euro; tutte stabiliscono che si faccia riferimento ai contratti sottoscritti dalle associazioni maggiormente rappresentative.

La proposta Laus demanda, inoltre, ad una commissione del CNEL la determinazione di un minimo di garanzia per gli ambiti non coperti da contrattazione collettiva.

Nonostante la pdl Orlando – che da Ministro del Lavoro si era guardato bene dall’indicare una cifra minima per legge – si tratta, insomma, di iniziative di facciata, che non mirano a cambiare lo status quo. Il riferimento alle associazioni maggiormente rappresentative – per lavoratrici e lavoratori si tratta dei sindacati CGIL, CISL e UIL non garantisce assolutamente un minimo dignitoso.

Basti pensare al famigerato contratto per i servizi fiduciari, firmato dalle sigle di cui sopra, e rinnovato dopo 8 anni il 30 maggio 2023, che prevedeva un minimo di 3,96 euro orari, dichiarato incostituzionale da diverse sentenze. Il rinnovo prevede un aumento di soli 140 euro in 4 anni, quindi si continua a dichiarare legale la miseria.

Le proposte Conte e Richetti prevedono un minimo di 9 euro lordi orari; quella di Fratoianni 10; la LIP di Possibile 8,5.

Tutte le proposte fanno riferimento ai contratti siglati dalle associazioni maggiormente rappresentative e prevedono meccanismi di rivalutazione a volte indicizzati (Conte, Fratoianni), a volte semplicemente demandati al lavoro di una Commissione (Richetti)

La nostra proposta differisce da quella del M5S, di Azione e di Possibile per la cifra; da quella di Sinistra Italiana per la scelta dell’indice di rivalutazione (IPCA, più vantaggioso se si guarda alla serie storica rispetto al FOI) ma soprattutto per il mancato riferimento, da parte nostra, a criteri di rappresentatività sindacale. In caso di non applicazione di un contratto, o di contratto non conforme alle disposizioni di legge, infatti, noi indichiamo come applicabile il contratto che preveda il trattamento economico di maggior favore, indipendentemente dalla/e sigla/e sindacale/i firmataria/e.

Indichiamo la cifra lorda perché nel lordo ci sono parti imprescindibili del salario, come i contributi pensionistici. 10 euro lordi corrispondono, attualmente, a circa l’80% del salario mediano, quindi il 20% in più rispetto a quanto indicato, ad esempio, dall’Unione Europea come riferimento. Con un salario minimo a 10 euro lordi l’ora aumenterebbe lo stipendio di circa 5 milioni di lavoratrici e lavoratori poveri. 10 euro lordi sono quindi sia una buona cifra in sé, sia una cifra compatibile con l’attuale assetto economico del nostro paese. Siamo convinti che indicare una cifra maggiore – ad esempio i 12 euro della Germania – avrebbe rischiato di esporre maggiormente la nostra proposta all’accusa di essere campata in aria; riteniamo inoltre che un minimo a 10 euro lordi avrebbe effetti positivi, al rialzo, di tutti i livelli salariali superiori.

No. Abbiamo preso il meccanismo di rivalutazione dal modello francese dello SMIC, in vigore dal 1970. L’inflazione in Francia, in questo periodo, non è stata maggiore dell’inflazione in Italia, anzi. L’andamento comparato dei tassi di crescita dei prezzi nei due paesi, che presentiamo nel grafico sottostante, mostra meglio di qualunque altra spiegazione che evidentemente l’inflazione non dipende – se non marginalmente – dalla dinamica salariale.

andamento comparato dell'inflazione tra Italia e Francia per gli anni 1970-2021. Il grafico mostra come le curve siano sostanzialmente sovrapponibili per l'ultimo ventennio, mentre per gli anni precedenti l'inflazione è più alta in Italia, dove non c'era un minimo legale indicizzato.

La nostra proposta prevede che il trattamento salariale minimo non possa essere inferiore a 10 euro lordi. Tutto il resto rimane determinato dalla contrattazione. L’inserimento di un riferimento al contratto che preveda il trattamento di miglior favore costituisce un incentivo nei confronti dei sindacati, per rendere il proprio contratto lo standard di riferimento. Inoltre i 10 euro lordi sarebbero il gradino minimo dal quale partire per definire salari più alti.

La produttività è la quantità di valore aggiunto prodotta per ogni ora lavorata. Più che dipendere dall’intensità del lavoro, come vogliono farci credere, dipende dalla qualità del lavoro. Un’ora di un operaio di una fabbrica di smartphone produce più valore aggiunto di un’ora di un cameriere di un ristorante, quale che sia l’intensità del lavoro svolto da entrambi. L’Italia negli ultimi trent’anni ha cambiato rapidamente il suo tessuto economico: le piccole produzioni “di eccellenza”, che spesso si reggevano su ipersfruttamento, bassi salari ed evasione fiscale, sono state soppiantate da aziende di paesi esteri che potevano garantire condizioni lavorative e salariali ancora peggiori, o da aziende che hanno investito nel capitale umano e nella innovazione tecnologica. È aumentata così la percentuale di lavoratrici e lavoratori addetti ai servizi, in particolare ai servizi alla persona – turismo, ristorazione, alloggi, pulizie, etc – dove la produttività è necessariamente più bassa. Per farla breve, il salario non può dipendere dalla produttività perché la produttività non dipende dai salari, se non in una parte residuale. Chi sostiene il contrario in realtà vuole scaricare sulle lavoratrici e sui lavoratori le responsabilità della classe imprenditoriale più indecente d’Europa, arricchitasi solo ed esclusivamente con lo sfruttamento e l’evasione, che oggi vorrebbe scaricare la propria inettitudine su chi lavora. Noi invece diciamo, seguendo la Costituzione, che il salario deve essere proporzionato al lavoro e alla possibilità di garantire una vita dignitosa. Niente di più, niente di meno.

Oggi i salari inferiori ai 10 euro lordi l’ora si concentrano in settori poco produttivi, come turismo, ristorazione, servizi alla persona, guardiania, etc. Nel settore industriale, nei servizi alle imprese, nel pubblico impiego i salari sono più alti. Il minimo legale inciderebbe innanzitutto sui circa 5 milioni di lavoratrici e lavoratori poveri, e andrebbe a costituire il gradino dal quale partire per contrattare i salari maggiori per gli altri settori. Inoltre la rivalutazione automatica del minimo sulla base dell’inflazione comporterebbe l’immediato adeguamento di tutti quegli importi immediatamente superiori che, scavalcati dal minimo legale, si troverebbero “fuorilegge” e dovrebbero quindi gioco forza essere rivalutati. Certo, gli imprenditori potrebbero essere portati a “compensare” i mancati profitti provando a schiacciare i salari più alti (del resto l’hanno fatto anche senza il salario minimo) e quindi il minimo legale potrebbe anche, in una piccola misura, fare da “calamita” per i salari immediatamente superiori, ma in realtà è stato studiato che, a regime, l’introduzione di un minimo legale apporterebbe benefici a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, e che al contrario è proprio l’assenza di un minimo a trascinare al ribasso tutti i livelli salariali superiori.

Facile: gli imprenditori! In particolare quelli che non hanno mai pagato il giusto, che hanno evaso il fisco, che hanno intascato incentivi su incentivi senza innovare ma andando ad aumentare solo i dividendi degli azionisti e le rendite dei proprietari. L’introduzione di un salario minimo costituirebbe un aumento dei costi per le imprese di svariati miliardi, e determinerebbe sicuramente il fallimento di quelle imprese che sono “competitive” solo perché “offrono” salari bassi e sfruttamento. Ci sarebbe certamente un cambiamento della struttura produttiva e dell’offerta di lavoro, sicuramente in positivo. Il costo maggiore stimato per le imprese, per un salario minimo di 9 euro lordi, sarebe di circa 6 mld: che paghino, finalmente!

Gli imprenditori oggi attivi nei settori a più bassi salari non possono andare altrove. Il proprietario di un ristorante in Costiera Amalfitana che paga una miseria cuochi e camerieri non può chiudere e riaprire altrove; può solo adeguarsi, rinunciando ad una parte di profitto o provando a compensare con l’aumento dei prezzi, ma entro un certo limite per non andare fuori mercato. Gli imprenditori di settori più produttivi non possono spostarsi solo per cercare salari più bassi: ci sono ragioni logistiche, o legate alle competenze richieste, che porterebbero a restare qui. Qualcuno andrà via, qualcuno lo minaccerà e basta, ma è provato che, invece, tra gli effetti sul medio-lungo periodo del salario minimo c’è uno spostamento del capitale verso settori più produttivi, più qualificati, quindi in generale un miglioramento del quadro economico del Paese.

È un problema che ci siamo posti. Abbiamo pensato ad un minimo mensile, ma è risultato complesso trovare una soluzione realistica. Abbiamo anche pensato ad interventi legislativi sulle tipologie di lavoro precario, ad esempio a limitazioni sul part-time o, come in Spagna, sui contratti a termine, ma alla fine abbiamo deciso di concentrare gli sforzi su un solo punto. Naturalmente il problema resta ed ogni soluzione è la benvenuta, quindi se vuoi confrontarti con noi sul tema…scrivici!

Sì, e no. Certamente qualcuno ci proverà, magari con falsi part-time o altre soluzioni ben note a chi lavora. Ma come per il caso del reddito di cittadinanza, il problema non è nella proposta migliorativa che può essere aggirata, ma nella totale assenza di controlli nei confronti di chi commette illeciti sul lavoro. Il lavoro grigio e nero esiste oggi, ha continuato ad imperversare come “offerta” nei confronti dei percettori di reddito e continuerebbe nel caso di un minimo legale. La soluzione è togliere il reddito di cittadinanza e dimenticarsi il salario minimo? No. La soluzione è stanare chi commette illeciti e fargliela pagare molto più cara di quanto non costi loro oggi.

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